Questo post deriva da uno scambio avvenuto in un gruppo di Facebook, e che sulle prime aveva generato un dibattito interessante che inevitabilmente (come sempre accade su fb), è poi deviato su binari più futili e si è persa. La discussione derivava a sua volta da una presunta citazione di Neil Gaiman (dico "presunta" perché ormai le citazioni si attribuiscono con leggerezza a chiunque torni comodo, e in questo caso non ho verificato). Ora, senza ripartire da capo con tutto il discorso, la parte che mi interessa affrontare è quella riguardante l'attribuzione delle "colpe" nel caso in cui scrittore e lettore non si comprendano. Ovvero: se io scrittore ricevo da un lettore l'appunto che quanto da me scritto non è comprensibile, devo correre ai ripari o piuttosto è il lettore a dover fare qualcosa?
Chiariamo subito un paio di cose. Quando dico che il lettore "non capisce" non mi riferisco a una questione di gusti: non sto dicendo che il lettore non gradisce quello che ha letto, ma che non è riuscito a cogliere quello che era il senso che lo scrittore ha cercato di esprimere con la sua opera. Allo stesso modo "non capire" non va inteso in senso sintattico/lessicale (beh, certo, conta anche quello, ma se lo scrittore scrive in una lingua non accessibile il problema è evidente), ma nell'impossibilità di trasmettere qualcosa al lettore, di rendere chiara non solo la trama di quanto si racconta, ma anche il senso più profondo del proprio lavoro. Do quindi per scontato che uno scrittore non si limiti a narrare una serie di eventi, ma con questo mezzo cerchi di far arrivare qualcosa al lettore, e come specifico ogni volta non mi riferisco a morali, o insegnamenti didascalici (del tipo "la violenza è una cosa brutta"), quanto una serie di suggestioni o di idee suggerite ma non spiattellate.
Mi rendo conto che il discorso in questi termini risulta piuttosto astratto. Faccio quindi un esempio più immediato, e visto che guardacaso pure io scrivo, parlo di una mia storia. Considerato che da parecchio parlo della mia raccolta Spore, parto da quella e del racconto eponimo (possibili spoiler più avanti se non l'avete letto!). Non parlo di Spore per narcisismo o autopromozione, ma semplicemente perché avendolo scritto io so quello che ho scritto e perché.
[Inizio spoiler] In Spore assistiamo a più sequenze ambientate in epoche differenti, a partire dal presente e fino a un futuro lontano. In ognuna di queste viene mostrato un diverso grado di "interazione" tra gli uomini e una particolare specie di funghi saprofagi, e della lenta simbiosi che si viene a instaurare tra i due organismi, fino al completo assorbimento della Terra da parte dei funghi. [Fine spoiler] Questa è la trama. Ma che cosa volevo dire, con tutto ciò? Il mio obiettivo era quello di far riflettere il lettore sulla definizione di umanità, e indurlo a pensare che il confine tra ciò che consideriamo noi e ciò che è altro sia molto più flessibile di quanto siamo abituati a pensare, tanto che anche se alla fine le spore hanno completamente preso il sopravvento, cionondimeno l'umanità intera è ancora il nucleo pulsante di questo macrorganismo planetario.
Ora, chiedo a quelli che hanno letto Spore: sono davvero riuscito a farvi pensare a questo (o almeno a questo)? Il mio racconto vi ha fatto riflettere su temi di questo tipo? E se non è così, di chi è la colpa? Sono io, scrittore, a non essere in grado di esercitare la giusta pressione su chi mi legge, o è dall'altra parte il lettore incapace di seguire le mie implicite argomentazioni?
Personalmente, per mia formazione (sia di lettore che di scrittore) e deontologia, sono portato a credere che se un testo non è chiaro al lettore, la "colpa" è principalmente dell'autore. Questo perché è vero che il lettore può essere distratto, superficiale, ma fa parte del lavoro dello scrittore anche quello di rendersi "appetibile", nel senso di riuscire a farsi seguire. Solo conquistando il lettore (con la storia, con il ritmo, con lo stile), lo si può accompagnare lungo il percorso logico/tematico che conduce all'idea di fondo che si vuole trasmettere. Se questo non succede, allora è lo scrittore ad aver sbagliato qualcosa. Certo c'è anche una questione di numeri: se su cento lettori uno solo ha difficoltà, è probabile che sia un problema suo. Ma considerato che che mi muovo su numeri molto bassi, anche un solo lettore "perso" è un campanello d'allarme.
Nella discussione su Facebook, qualcuno sosteneva che il lettore "deve fare la sua parte", e che se non capisce che cosa gli viene raccontato è probabile che sia lui ad essere ignorante. È davvero così? È possibile che un lettore casuale si trovi davanti un testo che va oltre le sue capacità, ma se il mestiere dello scrittore è proprio quello di guidare i suoi lettori affinché lo capiscano, non è anche un lettore ignorante un problema da tenere di conto? Certo può capitare che un lettore ignori alcuni concetti (ed è tanto più vero in un genere come la fantascienza): io stesso in Spore utilizzo termini forse non di conoscenza diffusa: micelio, ifa, rizomorfo. Il lettore che non conosce queste parole si può considerare ignorante e pertanto "colpevole" di non capire? O piuttosto, è compito dell'autore fare in modo che anche eventuali lacune nozionistiche siano colmate, o invoglino il lettore a informarsi?
Chiariamo subito un paio di cose. Quando dico che il lettore "non capisce" non mi riferisco a una questione di gusti: non sto dicendo che il lettore non gradisce quello che ha letto, ma che non è riuscito a cogliere quello che era il senso che lo scrittore ha cercato di esprimere con la sua opera. Allo stesso modo "non capire" non va inteso in senso sintattico/lessicale (beh, certo, conta anche quello, ma se lo scrittore scrive in una lingua non accessibile il problema è evidente), ma nell'impossibilità di trasmettere qualcosa al lettore, di rendere chiara non solo la trama di quanto si racconta, ma anche il senso più profondo del proprio lavoro. Do quindi per scontato che uno scrittore non si limiti a narrare una serie di eventi, ma con questo mezzo cerchi di far arrivare qualcosa al lettore, e come specifico ogni volta non mi riferisco a morali, o insegnamenti didascalici (del tipo "la violenza è una cosa brutta"), quanto una serie di suggestioni o di idee suggerite ma non spiattellate.
Mi rendo conto che il discorso in questi termini risulta piuttosto astratto. Faccio quindi un esempio più immediato, e visto che guardacaso pure io scrivo, parlo di una mia storia. Considerato che da parecchio parlo della mia raccolta Spore, parto da quella e del racconto eponimo (possibili spoiler più avanti se non l'avete letto!). Non parlo di Spore per narcisismo o autopromozione, ma semplicemente perché avendolo scritto io so quello che ho scritto e perché.
[Inizio spoiler] In Spore assistiamo a più sequenze ambientate in epoche differenti, a partire dal presente e fino a un futuro lontano. In ognuna di queste viene mostrato un diverso grado di "interazione" tra gli uomini e una particolare specie di funghi saprofagi, e della lenta simbiosi che si viene a instaurare tra i due organismi, fino al completo assorbimento della Terra da parte dei funghi. [Fine spoiler] Questa è la trama. Ma che cosa volevo dire, con tutto ciò? Il mio obiettivo era quello di far riflettere il lettore sulla definizione di umanità, e indurlo a pensare che il confine tra ciò che consideriamo noi e ciò che è altro sia molto più flessibile di quanto siamo abituati a pensare, tanto che anche se alla fine le spore hanno completamente preso il sopravvento, cionondimeno l'umanità intera è ancora il nucleo pulsante di questo macrorganismo planetario.
Ora, chiedo a quelli che hanno letto Spore: sono davvero riuscito a farvi pensare a questo (o almeno a questo)? Il mio racconto vi ha fatto riflettere su temi di questo tipo? E se non è così, di chi è la colpa? Sono io, scrittore, a non essere in grado di esercitare la giusta pressione su chi mi legge, o è dall'altra parte il lettore incapace di seguire le mie implicite argomentazioni?
Personalmente, per mia formazione (sia di lettore che di scrittore) e deontologia, sono portato a credere che se un testo non è chiaro al lettore, la "colpa" è principalmente dell'autore. Questo perché è vero che il lettore può essere distratto, superficiale, ma fa parte del lavoro dello scrittore anche quello di rendersi "appetibile", nel senso di riuscire a farsi seguire. Solo conquistando il lettore (con la storia, con il ritmo, con lo stile), lo si può accompagnare lungo il percorso logico/tematico che conduce all'idea di fondo che si vuole trasmettere. Se questo non succede, allora è lo scrittore ad aver sbagliato qualcosa. Certo c'è anche una questione di numeri: se su cento lettori uno solo ha difficoltà, è probabile che sia un problema suo. Ma considerato che che mi muovo su numeri molto bassi, anche un solo lettore "perso" è un campanello d'allarme.
Nella discussione su Facebook, qualcuno sosteneva che il lettore "deve fare la sua parte", e che se non capisce che cosa gli viene raccontato è probabile che sia lui ad essere ignorante. È davvero così? È possibile che un lettore casuale si trovi davanti un testo che va oltre le sue capacità, ma se il mestiere dello scrittore è proprio quello di guidare i suoi lettori affinché lo capiscano, non è anche un lettore ignorante un problema da tenere di conto? Certo può capitare che un lettore ignori alcuni concetti (ed è tanto più vero in un genere come la fantascienza): io stesso in Spore utilizzo termini forse non di conoscenza diffusa: micelio, ifa, rizomorfo. Il lettore che non conosce queste parole si può considerare ignorante e pertanto "colpevole" di non capire? O piuttosto, è compito dell'autore fare in modo che anche eventuali lacune nozionistiche siano colmate, o invoglino il lettore a informarsi?
La mia opinione (che per definizione è opinabile) è che non sia così. Non esiste il lettore troppo ignorante per capire, a maggior ragione se ci si rivolge a un pubblico specializzato (come fanno praticamente tutti gli autori di genere). Con questo non dico che, per ogni appunto ricevuto, sia necessario rimettere mano ai propri lavori e renderli più "fruibili": è sottinteso che sta all'autore decidere fino a che grado e per quali pubblico i suoi testi debbano essere comprensibili, perché si può anche puntare a non essere capiti, o esserlo solo in parte o solo da qualcuno. Ma se si parte dall'assunto che scrivere è comunicare, quando questa comunicazione non avviente ci troviamo di fronte a un fallimento. E il lettore che si dichiara sconfitto è un fallimento più per lo scrittore che per se stesso.
In alto in questo post, potete vedere un libro che mi ha sconfitto. Un terribile fallimento per William Gibson e Bruce Sterling.
Ma in Spore ci sono i funghi? XD
RispondiEliminaA parte gli scherzi, il tuo ragionamento mi lascia un pelino perplesso. Mi spiego meglio. Non credo che il vero problema sia se "il lettore capisce" o "lo scrittore si spiega" ma piuttosto, secondo me, esistono due visioni diverse di una stessa opera. Si, anche se lo scrittore è colui che la crea, questa opera.
In sostanza Leonardo Da Vinci ha creando "L'ultima cena" o la "Gioconda", credo avesse in mente delle idee ben precise, ma poi è chi vede l'opera a darle una sua identità e farla "sua".
Se io leggo il tuo "Spore" e ci vedo un ragionamento sulla botanica, i casi sono due: o sono pazzo (ipotesi che va per la maggiore XD) o magari sto reinterpretando un'opera secondo i miei canoni e gusti.
Stiamo parlando di opere letterarie, non di meccanismi scientifici o programmi di computer in cui le interpretazioni sono limitatissime. Stiamo parlando di opere in cui il significato intrinseco potrebbe cambiare, anche radicalmente, da lettore a lettore.
Quello che intendo è che una interpretazione potrebbe non essere compatibile con quella dello scrittore. Anzi, lo scrittore dovrebbe giovare di nuove interpretazioni diverse da quella che aveva pensato, perché il gioco sta proprio qui.
Una volta che tu scrittore hai permesso al mondo di leggerti, sei ben consapevole che la tua opera non è più tua ma di chiunque la legga (naturalmente non sto parlando di proprietà legali ;)).
Uno scrittore dovrebbe estraniarsi da ciò che vorrebbe esprimere proprio perché quel suo obiettivo potrebbe non essere comunemente condiviso, invece dovrebbe divertirsi a scrivere puntando più in alto, trascendendo il "senso" del racconto o del romanzo.
Se leggo un racconto "a senso unico" o con uno scopo preciso e piuttosto chiaro, questo racconto mi annoia a morte.
Beninteso che considero i tuoi racconti molto sopra la media, alcune volte trovo delle storie troppo "unidirezionali" e con una eccessiva concentrazione nel "volersi far capire" (Spore è uno di questi. "Il guardiano del faro", invece, è splendido).
Spero che tu prenda questa sopra come critica costruttiva, in quanto non sono certo un critico letterario e leggere per me è è "solo" una grande passione.
Sulla questione dei termini, esiste il "dizionario questo sconosciuto" e non è una battuta! Molto spesso per pigrizia, fretta o spocchia si pretende di capire delle frasi senza averne il pieno senso di tutte le parole. Questa è vera ignoranza e in questi casi è davvero dura che uno scrittore possa fare qualcosa. Io preferisco un vocabolario ricco e stimolante piuttosto che una serie di frasi infantili che nel contesto rendono il testo banale, anche se pieno di idee e invenzioni.
capisco cosa intendi, e approvo perfettamente. un'opera (stiamo parlando di narrativa, ma il discorso vale anche per qualunque altro tipo di forma creativa) viene assimilata dal fruitore, e da esso interpretata. questo è auspicabile e giusto, e significa che la "comunicazione" di cui parlo alla fine in effetti c'è stata.
Eliminaquello a cui mi riferisco io è un discorso ancora più a monte: se un lettore non "sente" nulla, e si trova quindi di fronte a un'opera inaccessibile. in questo caso c'è il fallimento di cui parlavo, l'incapacità di comunicare tra i due soggetti. poi l'autore può avere l'intenzione di comunicare qualcosa, e suggerire (anche a sua insaputa) qualcos'altro, ma si tratta comunque di uno scambio efficace che ripaga il lettore.
sempre parlando di me, perché posso citarmi senza pestare i piedi a nessuno, in effetti alcuni lettori mi hanno fatto notare interpretazioni e tematiche che io stesso non avevo considerato, ma che col senno di poi mi sembrano evidenti. se un lettore non trova nel racconto "Spore" quello che intendevo (mi pare difficile che non emerga quel discorso, ma può anche essere) ma una prospettiva diversa che lo porta comunque a ritenersi coinvolto e soddisfatto, mi sta bene lo stesso. in questo senso può infatti essere che proprio un lettore "ignorante", che non possiede alcune delle nozioni che io do per scontato, percepisca il senso che volevo esprimere partendo da un'altra direzione (avendo un differente punto di partenza per sviluppare i concetti).
quello di cui l'autore è colpevole, a mio avviso, è l'impossibilità di dire qualcosa (QUALSIASI cosa!), perché incapace di condurre con sé il lettore lungo un percorso.
Ho paura di uscire leggermente dal seminato, ma neanche troppo ;)
RispondiEliminaCredo che il vero fallimento di uno scrittore avviene quando la lettura delle sue opere crea indifferenza. Ho letto in passato parecchie produzioni "soliste" (autoproduzioni?) e la delusione nel leggere "niente" mi ha allontanato da questo settore tanto discusso in rete. Eppure ci ho provato. E non credo, con poca modestia, di essere così ignorante. Solo che quegli scrittori non riescono ad esprimere anche il minimo concetto, e anche se lo esprimono o è troppo arzigogolato o addirittura contro ogni logica umana! Questo avviene troppo spesso per la voglia di raggiungere il maggior pubblico possibile.
Non è cattiveria, ma se voler raggiungere più persone possibili vuol dire abbassare la qualità dello scritto, allora il compromesso non è affatto buono.
Troppo spesso i "bestseller" contengono storie e concetti di una banalità talmente elevata da rendere la lettura assolutamente inutile.
Se un lettore non capisce il tuo racconto, è un fatto suo. Anche se lo spiegassi, si perderebbe quella finezza che sta nei sottotesti. E allora, a spiegare tutto, non è anche questo un fallimento? A questo punto rischieresti di perdere l'altra parte di lettori che capisce.
Io credo che la comunicazione avvenga quando c'è la volontà di crearla da tutte le parti in gioco, altrimenti si chiama TV... ;)
penso di capire il tuo discorso, e non credo che sia fuori tema. forse non è chiaro cosa intendo quando parlo di "non capire" un testo (mi sarò spiegato male...? :D). mi sa che alla fine stiamo parlando della stessa cosa usando termini diversi.
Eliminalimitiamo il discorso alla narrativa che comunque è il campo di nostro interesse, poi lo stesso può essere esteso con i dovuti aggiustamenti agli altri campi. il mio "non capire" non va inteso a livello di svolgimento della trama, natura o obiettivi dei personaggi, meccanismi narrativi ecc. si può leggere una storia chiarissima, in cui l'eroe parte dal punto A e arriva al punto B nella maniera più semplice assoluta, e alla fine ci si trova a pensare: "embè!?". questo è quello di cui parlo io, e penso che sia la stessa cosa a cui ti riferisci dicendo "indifferenza": l'incapacità di trasmettere qualcosa al di là del significato letterale delle parole. in quel caso, io lettore, ho capito perfettamente cosa mi stai raccontando, ma non ho capito PERCHE, cosa stavi cercando di dirmi, al di là della semplice elencazione di una serie di eventi.
e mi ripeto di nuovo ma no voglio che si travisi il mio discorso. io non sostengo che la narrativa debba essere per forza "impegnata", che si debba sempre veicolare un messaggio profondo, quelle cose tipo il disagio la modernità l'integrazione il sociale, io sono completamente a favore della letteratura d'evasione, ma "evasione" non significa assenza di contenuti.
Infatti credo che stiamo dicendo più o meno la stessa cosa ;)
RispondiEliminaL'unico punto di disaccordo ce l'abbiamo sul fatto che tu dici che dovrebbe essere lo scrittore ad andare incontro al lettore, mentre io credo che se un lettore arriva a fine del racconto con un "embè!?", sia un lettore che si aspetta la spiegazione totale e non ha voglia di sforzarsi un pelo a capire cosa sta leggendo. Non c'entra la narrativa "impegnata", ma la possibilità di leggere qualcosa che smuova un pò quei 4 neuroni che mi ritrovo in testa! Altrimenti leggo Twilight o qualche "young adult" a caso in libreria :)
Mi preoccupa di più chi scrive partendo dal presupposto che di questi lettori ce ne siano a bizzeffe... O_o'
beh sì, ci sono anche scrittori che volutamente si rivolgono a un pubblico che non abbia pretese... e da quel punto di vista è legittimo, nel senso che se io scrivo a contenuto zero per lettori che cercano contenuto zero, siamo tutti contenti. il problema sorge quando i lettori a cui mi rivolgo (perché bene o male chi scrive sa già quale sarà il suo pubblico di riferimento) non recepiscono il mio messaggio.
EliminaPuò anche essere che il lettore semplicemente non abbia chiaro il contesto. (Scusa, ma dopo "spoiler" non ho più letto per evitare anticipazioni, magari ci tornerò.) O che gli manchino informazioni. Galassie di Malzberg aveva bisogno dell'introduzione - a questo servono, non a riempirle di termini magniloquenti! In altre parole, se il lettore è ignorante - non è necessariamente colpa sua - vi si può rimediare.
RispondiEliminaEsiste anche il "dolo" da parte dell'autore, ma a volte capita che l'autore abbia proprio una concezione dell'arte che richiede uno sforzo da parte del lettore... quindi come possiamo farlo ricadere nella stessa categoria di chi, invece, non viene compreso perché non riesce a farsi capire? Personalmente ritengo che sia in entrambi i casi una sconfitta, ma sicuramente c'è chi la pensa diversamente.
questo rientra comunque in quello che dicevo: l'autore che pur muovendosi in un contesto non tanto facile e di comune dominio accompagna il lettore affinché possa comprenderlo.
Eliminafacciamo l'esempio degli Xeelee di Stephen Baxter di cui parlavamo qualche tempo fa. tutti i racconti di questa serie sono basati su un nucleo scientifico solido e che richiede nozioni leggermente sopra la media di fisica/matematica: le costanti di planck, il teorema di incompletezza, e così via. ora, Baxter sa che i suoi lettori sono "portati" per questi argomenti, ma non è detto che li conoscano quanto basta per seguire una storia che li dà per scontati. per cui, costruendo abilmente una storia intorno all'idea, Baxter fornisce gli elementi non solo per capire la nozione di base, ma anche la speculazione da lui effettuata su di essa. il lettore quindi parte "ignorante", ma arriva "imparato"!
altro esempio clamoroso che mi viene in mente è Anathem di Neal Stephenson. lo stesso autore nella premessa ammette che all'inizio la storia sarà difficile da seguire, per la presenza di termini e riferimenti estranei alla nostra società, ma che gradualmente tutto troverà il suo posto, e in effetti per il lettore attento funziona proprio così.
per cui, quando l'autore sa fare il suo mestiere, non c'è ignoranza (intesa qui nel senso più immediato del termine, ovvero mancanza di nozioni) che tenga.
Sì, il mio esempio (Malzberg) era di un autore che parla del fandom US e dell'evoluzione dell'editoria SF tra gli anni '50 e i '70, libro scritto un decennio dopo ma comunque tre decenni prima del qui e ora (2014, Italia). In questo caso l'introduzione è d'obbligo. Nel caso della sequenza Xeelee, io ho letto solo Ring, dove ci sono concetti difficili anche per uno che come me avrebbe una laurea in fisica, ma in effetti c'è proprio l'uso di uno squisito escamotage per fornire al lettore gli strumenti per comprendere di cosa si sta parlando. Non approfondisco perché mi sembra tu sia arrivato al libro precedente, ma è veramente efficace. Anzi, grazie per averlo citato.
Eliminasì meglio, non dirmi niente perché ora di tutta la saga mi manca proprio "Ring", e visto che è dall'inizio dell'anno che ci sto dietro a leggerlo so già che mi mancherà un po', quindi voglio godermelo!
EliminaOrmai il mio punto di vista dovrebbe risultarti abbastanza chiaro dalle discussioni svoltesi altrove, però ci tengo a dirti la mia sul caso specifico, perché spero che l'esempio che porti possa aiutarmi a precisare ulteriormente il punto di vista che ho sposato.
RispondiElimina"Spore" è un racconto molto audace, che propone un tema abbastanza di frontiera da risultare ostico a molte persone (il tabù della morte e di quella che potrebbe essere vista da alcuni come una "violazione" dei corpi, il postumanesimo, etc.). Come autore hai scelto uno stile sobrio, e con questo credo che tu abbia dimostrato al meglio la sensibilità che l'autore può avere nei riguardi dei suoi lettori. Chi leggerà il libro (o nel caso in questione il racconto) non lo sappiamo a priori, abbiamo solo una vaga idea del pubblico a cui potrebbe interessare e di quello che riusciremo a raggiungere attraverso il nostro editore (quando, nei casi più fortunati, conosciamo già in partenza l'editore a cui l'opera è destinata). Se le idee avessero avuto un ruolo meno pesante nell'economia della tua storia, avresti potuto optare per un approccio più sperimentale a livello stilistico. E in entrambi i casi avresti potuto lasciare il lettore scontento. Ma come autore fai delle scelte, sacrifichi qualcosa a cui tieni meno per raggiungere un compromesso sul fronte della comunicabilità del testo, un compromesso che abbia per te un prezzo accettabile. Se avessi deciso di sacrificare qualcosa sul fronte tematico, avremmo avuto forse un'opera più accessibile, ma non altrettanto coraggiosa. E ci avremmo perso tutti.
E' quello che intendo quando sostengo che gli autori non dovrebbero lasciarsi dettare l'agenda dall'idea presunta dei lettori che avranno in mano il libro. Se Pynchon avesse ragionato in questi termini probabilmente non avremmo mai avuto "L'arcobaleno della gravità". Ora nessuno pretende di essere alla sua altezza, però credo che un autore non sbagli a darsi come modello i migliori autori in circolazione. Sappiamo più cose su di loro, dopotutto, anche nel caso di uno spettro come Pynchon, che sui nostri futuri lettori.
comprendo quello che dici, ma ti confermo che non condivido. mi spiego meglio: quando parlo di "seguire" il lettore, non intendo che l'autore deve sedersi e pensare "uhm, cos'è che i lettori vogliono?" e scrivere di conseguenza. il mio punto di vista è che l'autore scrive con l'intenzione di comunicare qualcosa a "l'altra parte". la sua non è una comunicazione orizzontale (cioè tra lui e i suoi pari, gli altri autori), ma verticale (ai lettori). di questo quindi deve necessariamente tenere conto.
Eliminadopodiché è chiaro che l'autore fa le sue scelte, e decide se essere più accessibile o meno, se sacrificare un aspetto potenziale del suo lavoro in favore di un altro eccetera, ma questo è un processo che fa parte dello scrivere in sé, indipendentemente dai propri obiettivi. se poi riesce ad aggiustare il tiro in modo da coinvolgere (e non dico "assecondare" perché non si tratta di quello) i suoi lettori, allora verrà premiato.
poi va anche considerato (lo accenno nel post, ma approfondisco) che ogni autore si rivolge a un pubblico specifico. per dire, io Pynchon ce l'ho nella mia libreria ma non mi sento ancora pronto ad affrontarlo, e dubito che il primo ragazzetto che ha appena finito di leggere i libri del battello a vapore passi a quello. per il lettore che cerca Pynchon, Pynchon è il massimo (sembra tautologico, ma spero si capisca cosa intendo). in questo il ruolo maggiore lo riveste probabilmente l'editore, perché deve essere lui a saper selezionare tanto il suo pubblico quanto le opere da proporgli. se ai pynchoniani dai da leggere Poirot, probabilmente rimarranno insoddisfatti (e viceversa): a quel punto l'editore pynchoniano che ha pubblicato Poirot dovrebbe cogliere qualche segnale e agire di conseguenza.
e naturalmente esistono i lettori disattenti, superficiali, impazienti e indolenti, ma si riconoscono bene. è facile pesare un commento dettato dalla leggerezza ("troppo lungo, non l'ho finito") da uno con cognizione.
ok, forse ho divagato, ma l'argomento secondo me è molto importante, in questo ambito. in ogni caso ti ringrazio per il confronto, che è comunque stimolante, e per avermi dato due parole sul mio lavoro.