C'è un film che adoro,
The World's End scritto e diretto da Edgar Wright, l'ultimo della cosiddetta "Trilogia del Cornetto". La storia (
spoiler a seguire se non l'avete visto) segue il protagonista quarantenne Gary King (Simon Pegg, e chi sennò?) che convince i suoi vecchi amici a tornare nel paese in cui sono cresciuti per replicare la maratona alcolica che fecero da diciottenni. Gary è quello che secondo i canoni capitalisti si definisce "fallito", un mezzo alcolizzato che non ha mai realizzato nulla nella sua vita. Nel climax del film, nonostante siano sotto attacco da parte di cyborg alieni che stanno sostituendo la popolazione della cittadina, Gary King fugge da solo per arrivare all'ultimo pub sulla sua lista e bere l'ultima birra, quella che decreterà il successo della maratona alcolica che non è riuscito a finire nemmeno da diciottenne. Pur di bere quella birra, mentre il pub viene fatto a pezzi e i suoi compagni sono stati ammazzati, arriva anche a fare a pugni con l'unico amico rimasto (Nick Frost, e chi sennò?). Perché quella birra alla Fine del Mondo è
tutto quello che gli è rimasto. È un momento forte, che mi colpisce ogni volta che lo vedo. Anche all'interno del contesto assurdo, e in un film dal tono tutto sommato leggero come tutti quelli di Wright, è una scena estremamente drammatica, che ti si rivolta contro e ti sbatte in faccia le tue aspettative. Quella che credevi una storia goliardica, da ridersela, condita con qualche mistero e un po' di mostri, ti colpisce con un pugno sotto lo sterno e ti fa ripensare a tutto quello che hai già visto, e se davvero lo hai
capito. Ti poni delle domande, e se va bene ti dai qualche risposta.
Leggere Il Potere mi ha provocato una reazione molto simile.
Prima di iniziare a parlarne, una doverosa premessa. Nel prosieguo di questo post ci saranno
spoiler sul libro. Soprattutto, ci sarà
lo spoiler, cioè parlerò apertamente di cosa è questo "potere" del titolo. Questo perché ritengo che per fare un commento ragionato sia necessario poter parlare liberamente di cosa contiene, e perché come ho già detto altre volte,
gli spoiler sono sopravvalutati. Ma, anche se la scoperta del
potere (o
facoltà) avviene molto presto, entro il terzo-quarto capitolo, devo ammettere che arrivare a scoprirla e rendersi conto che
è davvero questo!?, è stato molto gustoso. Pertanto chi volesse godere di questo piacere della scoperta chiuda ora questa pagina e torni dopo aver letto il libro, o quantomeno quei primi capitoli in cui il mistero viene delicatamente svelato. Risolto questo, andiamo avanti.
Di
Alessandro Vietti ho già parlato in precedenza, in particolare nel mio commento a
Real Mars, il precedente romanzo pubblicato sempre da
Zona 42 e che a sua volta aveva un'idea di fondo e una struttura molto particolari. Questo nuovo romanzo è per certi versi del tutto diverso da
Real Mars, ma per altri sottilmente affine. Non sono in alcun modo collegati e non fanno parte dello stesso "universo narrativo", ma c'è un'unità tematica sottotraccia, come un rumore bianco di fondo che suscita reazioni simili.
Il Potere è un'autobiografia narrata dal protagonista Alessandro durante il suo soggiorno in prigione. Alessandro è famoso, perché è intervenuto in diretta tv in una trasmissione molto seguita e ha dato dimostrazione della sua facoltà: far cacare la gente. Questa è la capacità straordinaria di cui dispone: nelle giuste circostanze (e quali siano le circostanze lo ritegno più interessanto della capacità in sé, per cui questo non lo rivelerò) Alessandro può indurre il bisogno impellente e incontenibile di defecare. Può farlo verso più persone insieme, senza essere fisicamente presente, senza vederle, senza nemmeno conoscerle. Incoraggiato da un agente letterario che gli promette successo assicurato, Alessandro mette insieme le sue memorie e racconta la lenta presa di coscienza della sua facoltà, di cui dispone fino dall'infanzia ma che solo nell'adolescenza inizia a maneggiare con cognizione.
Affrontiamo subito l'argomento: l'idea di questo superpotere è folle e geniale. Folle perché sembra tirata fuori dai peggio film con Alvaro Vitali, o da una barzelletta raccontata da Proietti: "'a sapete quella de Alfredo er Cacatore?". Ma è geniale perché permette di mettere in scena sequenze di qualunque tipo, dal grottesco all'avventuroso al drammatico. E nel contesto più ampio del libro (di cui parleremo più avanti), la scelta di una capacità del genere è quanto di più azzeccato si possa immaginare. Perché indurre il prossimo a cacarsi sotto è un potere sconvolgente, è l'umiliazione definitiva, è un trauma difficilmente recuperabile. Pensate se Superman invece di dover prendere a cazzotti Lex Luthor gli potesse scatenare attacchi di diarrea: al pelato passerebbe la voglia di fare il guappo, soprattutto sapendo che può essere colpito sempre e ovunque. Se sbagli, caghi.
Ma questa idea formidabile è calata all'interno di una storia ben più articolata. La narrazione prosegue grosso modo in ordine cronologico, ma ci sono frequenti salti temporali da un momento all'altro della vita del protagonista, alcuni episodi sono raccontati non per come sono avvenuti ma per come lui ricorda di averli ricordati in passato. Da un flashback si passa a un altro, poi alla situazione presente che si svolge intorno a lui mentre scrive. Poi di nuovo indietro, avanti, nel mezzo. Alla fine si ha un quadro abbastanza esaustivo della vita di Alessandro, praticamente dalla nascita al momento in cui finisce in galera, ma il tutto viene presentato come un puzzle con i pezzi sparsi sul pavimento. Questa confusione iniziale però non è fine a sé stessa, non è disorientamento per il gusto di disorientare. Il racconto atemporale di Alessandro è coerente con il modo e le circostanze in cui scrive, come una conversazione libera in cui ogni appiglio porta alla memoria qualcosa che allora va raccontato subito, per poi tornare al punto iniziale ma magari nel frattempo è successo qualcos'altro quindi lasciamo perdere. Ed è anche l'opera di qualcuno che non ha mai scritto niente in vita sua, e mai pensava di doverlo fare. Non ci sono tentativi di organicità o applicazioni studiate di tecniche narrative. Che è precisamente ciò che ci si aspetta da un personaggio del genere.
Ma appunto, che personaggio è Alessandro? Quando si legge un'autobiografia tutto dipende da questo: che cosa rende la sua storia meritevole di essere letta. Beh, certo c'è il fatto che abbia la facoltà. Cresciuto con i fumetti, lui e il suo amico Saverio fanno presto ad associare la cosa ai supereroi. La facoltà si può a tutti gli effetti considerare un superpotere, per quanto bizzarro. E se inizialmente è una variabile fuori controllo, per poi diventare un gioco, a un certo punto diventa anche un'arma. Uno strumento per intervenire con la forza nei confronti degli altri, un modo di esercitare potere su di loro. Alessandro lo capisce e non ne fa mistero. Anzi, dopo essersi rivelato al pubblico, la sola menzione della sua facoltà è sufficiente a metterlo in condizione si superiorità. Per questo, e per altre vicende che gli sono capitate e nelle quali sente di aver sbagliato, Alessandro si considera (ironicamente) uno stronzo. Una persona senza morale, qualcuno da cui non si può imparare nulla, anzi, dal quale ci si dovrebbe distanziare il più possibile.
Eppure, a mio avviso, questa considerazione di Alessandro per se stesso è soprattuto una posa. L'impressione è che, condizionato dal personaggio pubblico che lui stesso si è creato, debba necessariamente mostrarsi per quello che non è. Certo, non è un paladino, non ha la bussola morale perfetta di un Superman o Capitan America. Ha commesso degli errori, a volte per leggerezza, altre per arroganza. Ma un codice etico ce l'ha e come. E lo si vede metterlo in azione, più di una volta, nei momenti in cui conta. Sono le sue azioni a parlare, più delle parole che lui stesso (ma non solo lui) dice di sé. Ed è questo un livello curioso di "narratore inaffidabile", perché non abbiamo un narratore che mente o che non ricorda o che è limitato nella sua visione, soltanto una discrepanza tra ciò che dice di sé e ciò che effettivamente è. Una sorta di incarnazione del principio dello show don't tell.
Ma Il Potere non è solo una storia personale di formazione. È anche (e forse, ancora prima) un romanzo che affronta importanti temi sociali e politici. Come Real Mars affrontava la pervasività dei media e il modo in cui la realtà viene filtrata dalla loro prospettiva, anche in questo caso c'è un'importante porzione di critica sociale. Non è una di quelle lezioncine didascaliche da Huffington Post, ma qualcosa di molto più subdolo. Il presente narrativo della storia è sostanzialmente paragonabile al nostro presente (potrà essere qualche anno più avanti, ma niente di più), ma il contesto politico e sociale non è quello che conosciamo. Il sistema politico italiano è denominato dalla Società, una sorta di partito unico che occupa tutti i ruoli e vigila sul corretto svolgimento della vita pubblica. La Società affida a ogni cittadino una Spesa di Cittadinanza mensile, un importo predefinito da spendere tutto entro la scadenza, corrisposto in cambio di un lavoro assegnato. È piuttosto evidente quale siano le fonti di ispirazione per questa distopia leggera, ma la cosa più interessante è che la situazione politica è un elemento di fondo, un semplice ambiente in cui Alessandro si muove con naturalezza perché per lui è la normalità. È solo nella parte finale, dopo la sua rivelazione pubblica, che il protagonista entra in contatto diretto con la Società ed è proprio da questo confronto tra diversi tipi di potere (quello personale e sfuggente, e quello pubblico e costituito) che si arriva alla conclusione della storia.
Parlando della forma del romanzo, l'eccellente padronanza di Vietti è di quelle che permette di leggere paginate di wall of text senza sentirsi affaticati. Come dicevo in precedenza, qui a mio avviso è stato molto bravo nell'ignorare volutamente le regole della scrittura professionale, come farebbe uno scrittore che in realtà non è scrittore. Non che ci siano errori ortografici o congiuntivi mancati, ma quello che ci si aspetta a livello di struttura da un narratore di una certa abilità (come sappiamo essere Vietti) viene sovvertito. Un esercizio simpatico per il lettore può essere la ricerca di tutti quei piccoli indizi che concorrono a mostrare che il mondo di Alessandro non è esattamente il nostro. Ci sono decine di easter egg, piccole discrepanze nella storia che conosciamo, per lo più insignificanti ma tutt'altro che casuali. Io ne ho individuate una quindicina, ma ce ne sono sicuramente di più. Ma c'è un'altra caratteristica molto particolare di questo romanzo: la sua italianità. Il Potere è fortemente caratterizzato dall'ambientazione e dalla quotidianità italiana. Non solo nomi, luoghi, eventi, tradizioni, ma anche un certo tipo di situazioni e valori sono molto tipici e caratteristici, ma non nel modo in cui è "caratteristico" il chioschetto a Venezia che vende i portachiavi di Pinocchio. Non è un'italianità macchiettistica, è un terreno da cui crescono gli sviluppi della storia, che forse piantata in un altro suolo avrebbe dato fruddi diversi. In tal senso, l'intero romanzo ha una notevole affinità con un certo cinema italiano, ricorda nei toni e nelle situazioni quelle commedie dal sapore agrodolce come possono esserle quelle di Monicelli.
Ma in ultima analisi, qual è il messaggio de Il Potere? Che cosa vuole dirci Alessandro (quale Alessandro?) con quello che ha scritto? Non credo che ci sia una risposta univoca. Non ci si può limitare a contenere il senso di questo romanzo in un solo tema o in una sola frase. È una storia tanto personale quanto universale. Lo dice proprio in apertura: voi tutti che leggete vorreste essere come lui, e alla fine dei conti in effetti lo siete. Alessandro è un personaggio unico per la sua capacità, ma estremamente vicino al suo lettore, anche quando finge di disprezzarlo. Per questo la sua storia risulta così accessibile e lui, nonostante si presenti come un personaggio negativo, finisce per risultare simpatico e relatable. E forse alla fine è vero, da lui non abbiamo niente da imparare, perché Alessandro non è migliore di noi, ha solo avuto la casualità di ritrovarsi con la facoltà e il resto è andato come è andato. Ma leggendo la sua storia, probabilmente possiamo imparare qualcosa di più su noi stessi, che forse non abbiamo quel potere, ma ne esercitiamo tanti altri, con tanta naturalezza da non accorgercene nemmeno. E se come si usa dire, da grandi poteri derivano grandi responsabilità, questo non significa che poteri limitati liberano dalla responsabilità: sta a noi capire in che modo affrontarla. E se questo libro certo non offre una soluzione, forse può indicare una strada.