Mi pare giusto dedicare un post a una serie tv che ha ricevuto forse meno attenzione di quanta ne avrebbe meritata. Io stesso me la sarei persa, se non fossi stato incuriosito, lo ammetto, dalla presenza dell'ottimo Michael Emerson, il famigerato Benjamin Linus di Lost, qui in un ruolo diverso ma per certi versi affine. Ideato da Jonathan Nolan, la serie è andata in onda dal 2011 al 2016, cinque stagioni per un totale di 103 episodi. È una serie particolare, che partendo come un poliziesco/procedural si evolve poi verso il techno-thriller e la distopia. Ma partiamo dall'inizio.
Person of Interest si basa sull'esistenza della Macchina: un sofisticato software in grado di raccogliere i dati provenienti da ogni fonte di informazione (banche dati, videocamere, cellulari) e incrociarli per ottenere delle previsioni. La Macchina è stata progettata da Harold Finch (Michael Emerson, appunto) e un collega, ed è stata poi acquisita dal governo USA per prevenire atti terroristici. Il progetto funziona perfettamente, ma la Macchina oltre a segnalare le possibili minacce "serie" è in grado di ricavare anche centinaia di casi irrilevanti: crimini che stanno per compiersi, ma che non hanno alcun peso geo-politico tale da dover essere pervenuti. Anni dopo aver creato la Macchina, Finch si convince che anche questi irrilevanti meritano di essere trattati. Programma quindi una backdoor nel sistema che gli fornisca questi dati: riceve dalla Macchina il numero di previdenza sociale delle persone di interesse (termine con cui si indicano gli individui che potrebbero fornire informazioni su un crimine) e nient'altro. Sta poi a lui ricostruire la storia della persona e capire quale sia la minaccia incombente, oltre a determinare se il soggetto sarà la vittima o il perpetratore del crimine. Non essendo esattamente un uomo d'azione, per aiutarlo in questa missione Finch assolda John Reese (Jim Caviezel) ex agente speciale della CIA in fuga. Insieme seguono i vari "numeri" indicati dalla Macchina per cercare di salvare chi è in pericolo.
Come dicevo all'inizio, questa premessa porta a una serie che è sostanzialmente un procedural: la Macchina indica una persona, Finch recupera tutti i dati su di lei, Reese la segue e interviene quando c'è bisogno. Ci si trova davanti a un piccolo caso da risolvere, scene di azione per mostrare la badassery di Caviezel, e titoli di coda. Ma il punto importante, è che la Macchina non è un componente passivo della squadra. Finch l'ha appositamente limitata per evitare che venisse sfruttata per scopi illeciti, ma gradualmente si apprende che la Macchina ha una sua storia, obiettivi, forse anche una personalità. Ovvero, la Macchina è la prima IA della storia. Ci vuole del tempo (tutta la prima stagione) per vedere compiersi questo passaggio, e notare le prime decisioni autonome della Macchina, ma gradualmente questo diventa il focus centrale della storia, fino a quando (segue moderato spoiler) nella stagione 4 e 5 assistiamo allo scontro tra la Macchina e Samaritan, un'IA concorrente dai poteri più vasti ma una "moralità" ben diversa.
Oltre a Finch e Reese ci sono altri personaggi principali che si ricavano un po' per volta il ruolo di comprimari: la detective Joss Carter (Taraji P. Henson), inizialmente ossessionata dall'idea di catturare Reese ma in seguito sua alleata; il detective Fusco (Kevin Chapman), poliziotto corrotto lentamente convertito alla causa della Macchina; Root (Amy Acker) hacker di pari livello di Finch, convinta che la Macchina sia il nuovo dio; Sameen Shaw (Sarah Shahi), agente in precedenza assegnato ai casi rilevanti della macchina ma poi eliminato dal progetto. Ogni personaggio ha un suo ruolo che si incastra con gli altri, e ognuno di questi è legato a una particolare sottotrama, filoni narrativi ricorrenti che si affiancano a quello principale per dare continuità agli episodi, in genere slegati tra loro, ma via via sempre più connessi in un'unica storia, soprattutto nelle ultime due stagioni. C'è da fare fin da subito l'abitudine a scene d'azione un po' sopra le righe, ma d'altra parte sia Reese che Shaw vengono presentati come dei superagenti in grado di maneggiare qualunque arma, o all'occorrenza uccidere a mani nude. Fusco è invece la controparte goffa ma di buon cuore, e la sua presenza serve di solito ad alleggerire la tensione, anche se riesce comunque a compiere atti eroici. La Carter è la poliziotta ligia al dovere che confida nella giustizia e nel sistema, e che deve faticosamente fare i conti con la realtà dei fatti. Root è più difficile da inquadrare, a volte paranoica, altre profetica, la sua unica costante è l'adorazione assoluta per la Macchina. La Macchina stessa, a un certo punto, diventa un personaggio vero e proprio, anche se non ha una sua dimensione fisica: ma se si considera che in pratica tutti gli episodi sono narrati dalla sua prospettiva (vediamo quello che vede lei, seguiamo il flusso di dati nei suoi archivi), il passaggio da strumento a protagonista è naturale.
Person of Interest si rivela a sorpresa una serie di buon livello perché se da un lato non richiede un impegno costante (i singoli episodi autoconclusivi possono essere seguiti con una certa leggerezza), dall'altra quando entra nel merito dei suoi temi princpali tocca argomenti profondi e di grande attualità: il punto di equilibrio tra sicurezza e libertà, la sorveglianza imposta dai centri di potere, la moralità che consegue dall'intelligenza, l'autodeterminazione. Questi ultimi temi sono presenti fin dall'inizio, ma emergono soprattutto sul finire della serie, quando la Macchina è costretta a intervenire in maniera più diretta per la propria sopravvivenza: si possono riscontrare alcuni echi dei temi che saranno poi ripresi ed espansi da Nolan in Westworld, che tratta con un approccio diverso ma risultati affini le IA.
Purtroppo PoI ha subìto un trattamento non troppo favorevole, e la sua ultima stagione è stata forzatamente accorciata: 13 episodi invece dei soliti 22-23. Questo ha costretto gli autori a correre più del dovuto, tagliando alcune trame secondarie e risolvendo fin troppo in fretta alcune di quelle principali. La serie ha una sua conclusione, e in effetti uno spiraglio rimane anche aperto per un eventuale seguito, ma non si può non notare la brusca accelerata da metà della quinta stagione in poi, che si lascia qualch pezzo per strada. Nonostante questo, il messaggio ultimo è chiaro e il tragitto avvincente, per cui merita sicuramente una visione.
Person of Interest si basa sull'esistenza della Macchina: un sofisticato software in grado di raccogliere i dati provenienti da ogni fonte di informazione (banche dati, videocamere, cellulari) e incrociarli per ottenere delle previsioni. La Macchina è stata progettata da Harold Finch (Michael Emerson, appunto) e un collega, ed è stata poi acquisita dal governo USA per prevenire atti terroristici. Il progetto funziona perfettamente, ma la Macchina oltre a segnalare le possibili minacce "serie" è in grado di ricavare anche centinaia di casi irrilevanti: crimini che stanno per compiersi, ma che non hanno alcun peso geo-politico tale da dover essere pervenuti. Anni dopo aver creato la Macchina, Finch si convince che anche questi irrilevanti meritano di essere trattati. Programma quindi una backdoor nel sistema che gli fornisca questi dati: riceve dalla Macchina il numero di previdenza sociale delle persone di interesse (termine con cui si indicano gli individui che potrebbero fornire informazioni su un crimine) e nient'altro. Sta poi a lui ricostruire la storia della persona e capire quale sia la minaccia incombente, oltre a determinare se il soggetto sarà la vittima o il perpetratore del crimine. Non essendo esattamente un uomo d'azione, per aiutarlo in questa missione Finch assolda John Reese (Jim Caviezel) ex agente speciale della CIA in fuga. Insieme seguono i vari "numeri" indicati dalla Macchina per cercare di salvare chi è in pericolo.
Come dicevo all'inizio, questa premessa porta a una serie che è sostanzialmente un procedural: la Macchina indica una persona, Finch recupera tutti i dati su di lei, Reese la segue e interviene quando c'è bisogno. Ci si trova davanti a un piccolo caso da risolvere, scene di azione per mostrare la badassery di Caviezel, e titoli di coda. Ma il punto importante, è che la Macchina non è un componente passivo della squadra. Finch l'ha appositamente limitata per evitare che venisse sfruttata per scopi illeciti, ma gradualmente si apprende che la Macchina ha una sua storia, obiettivi, forse anche una personalità. Ovvero, la Macchina è la prima IA della storia. Ci vuole del tempo (tutta la prima stagione) per vedere compiersi questo passaggio, e notare le prime decisioni autonome della Macchina, ma gradualmente questo diventa il focus centrale della storia, fino a quando (segue moderato spoiler) nella stagione 4 e 5 assistiamo allo scontro tra la Macchina e Samaritan, un'IA concorrente dai poteri più vasti ma una "moralità" ben diversa.
Oltre a Finch e Reese ci sono altri personaggi principali che si ricavano un po' per volta il ruolo di comprimari: la detective Joss Carter (Taraji P. Henson), inizialmente ossessionata dall'idea di catturare Reese ma in seguito sua alleata; il detective Fusco (Kevin Chapman), poliziotto corrotto lentamente convertito alla causa della Macchina; Root (Amy Acker) hacker di pari livello di Finch, convinta che la Macchina sia il nuovo dio; Sameen Shaw (Sarah Shahi), agente in precedenza assegnato ai casi rilevanti della macchina ma poi eliminato dal progetto. Ogni personaggio ha un suo ruolo che si incastra con gli altri, e ognuno di questi è legato a una particolare sottotrama, filoni narrativi ricorrenti che si affiancano a quello principale per dare continuità agli episodi, in genere slegati tra loro, ma via via sempre più connessi in un'unica storia, soprattutto nelle ultime due stagioni. C'è da fare fin da subito l'abitudine a scene d'azione un po' sopra le righe, ma d'altra parte sia Reese che Shaw vengono presentati come dei superagenti in grado di maneggiare qualunque arma, o all'occorrenza uccidere a mani nude. Fusco è invece la controparte goffa ma di buon cuore, e la sua presenza serve di solito ad alleggerire la tensione, anche se riesce comunque a compiere atti eroici. La Carter è la poliziotta ligia al dovere che confida nella giustizia e nel sistema, e che deve faticosamente fare i conti con la realtà dei fatti. Root è più difficile da inquadrare, a volte paranoica, altre profetica, la sua unica costante è l'adorazione assoluta per la Macchina. La Macchina stessa, a un certo punto, diventa un personaggio vero e proprio, anche se non ha una sua dimensione fisica: ma se si considera che in pratica tutti gli episodi sono narrati dalla sua prospettiva (vediamo quello che vede lei, seguiamo il flusso di dati nei suoi archivi), il passaggio da strumento a protagonista è naturale.
Person of Interest si rivela a sorpresa una serie di buon livello perché se da un lato non richiede un impegno costante (i singoli episodi autoconclusivi possono essere seguiti con una certa leggerezza), dall'altra quando entra nel merito dei suoi temi princpali tocca argomenti profondi e di grande attualità: il punto di equilibrio tra sicurezza e libertà, la sorveglianza imposta dai centri di potere, la moralità che consegue dall'intelligenza, l'autodeterminazione. Questi ultimi temi sono presenti fin dall'inizio, ma emergono soprattutto sul finire della serie, quando la Macchina è costretta a intervenire in maniera più diretta per la propria sopravvivenza: si possono riscontrare alcuni echi dei temi che saranno poi ripresi ed espansi da Nolan in Westworld, che tratta con un approccio diverso ma risultati affini le IA.
Purtroppo PoI ha subìto un trattamento non troppo favorevole, e la sua ultima stagione è stata forzatamente accorciata: 13 episodi invece dei soliti 22-23. Questo ha costretto gli autori a correre più del dovuto, tagliando alcune trame secondarie e risolvendo fin troppo in fretta alcune di quelle principali. La serie ha una sua conclusione, e in effetti uno spiraglio rimane anche aperto per un eventuale seguito, ma non si può non notare la brusca accelerata da metà della quinta stagione in poi, che si lascia qualch pezzo per strada. Nonostante questo, il messaggio ultimo è chiaro e il tragitto avvincente, per cui merita sicuramente una visione.
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