Non leggere per scrivere meglio

Mi è capitato diverse volte negli ultimi mesi di trovarmi coinvolto in conversazioni (principalmente all'interno di qualche grupppo facebook) in cui un autore o aspirante tale dichiara qualcosa del tipo "Non leggo molto perché voglio essere libero di trovare la mia ispirazione e non voglio farmi influenzare dalle idee di altri scrittori". Mi sembra interessante affrontare brevemente questo tema, e cercare di capire se questo approccio alla scrittura abbia senso o meno.

Per venire incontro agli standard SEO, riassumo in una parola il mio punto di vista, che poi argomenterò meglio: cazzata.

Cerco di dividere la mia analisi in due parti: cosa ne penso a livello personale e quali sono gli elementi obiettivi a favore della teoria. Per quanto mi riguarda, ritengo che la lettura sia uno dei compiti essenziali e inderogabili di uno scrittore. Se posso comprendere il fatto che, se si vuole dedicare il "tempo libero" alla scrittura, ne rimane sempre meno per leggere (anche se, come ho già detto in passato, il tempo per leggere lo si può sempre trovare), ma affermare chiaramente che non si vuole leggere è ben diverso. A me pare proprio assurdo che si possa pensare di essere in grado di scrivere senza aver bisogno di leggere. Leggere, per un autore, non è solo uno svago, è un'importantissima fase di documentazione e preparazione che tornerà utile in ogni progetto successivo. È un po' come per un falegname visitare un mobilificio, per un violoncellista assistre a un concerto, per un centometrista guardare le olimpiadi. Come si può pensare di raggiungere buon risultati nella propria "arte" senza confrontarsi con gli altri esponenti della stessa? Nella mia formazione di autore non sono del tutto sicuro di cosa si sia rivelato più importante: scrivere con frequenza e sottoporre i miei lavori al giudizio degli altri, o leggere i lavori degli altri e sottoporli al mio giudizio. Per convenzione diciamo 50 e 50, ma non ne sono così sicuro. Leggere le opere altrui è importante su due fronti diversi: i lavori degli autori "famosi" servono come riferimento qualitativo, per sapere cosa si trova sulla piazza e quale livello bisogna raggiungere per potersi proporre; i lavori degli autori al proprio livello invece (e chiaramente mi riferisco a un "autore emergente", anche perché non credo che Neil Gaiman voglia leggere i miei consigli di scrittura) servono invece per migliorare la propria tecnica a in modo più immediato: per ogni D eufonica che segnaliamo, o trama incomprensibile che ci passa davanti, diventiamo più abili a individuare le stesse cose nei nostri lavori.

Queste sono mie considerazioni personali, magari basate sulla mia esperienza e non necessariamente condivisibili. Ma c'è anche un altro aspetto più pragmatico che qualunque autore dovrebbe considerare. Scrivere narrativa significa trasformare delle semplici idee in storie. Questo è maggiormente vero per la narrativa di genere, che poi è l'ambiente che conosco e frequento, perché se potete anche arrivare in finale allo Strega* con il tema libero "Il mio cane", difficilmente potrete scrivere un buon racconto horror basandovi su quello che mangiate a colazione (e se invece è così, rivedete la dieta...). Le idee, purtroppo, non vengono in sogno, cioè, a volte sì, ma di solito non sono quelle più affidabili. Avete bisogno di esercitare quel muscoletto che avete nel cranio, renderlo flessibile e dargli qualcosa su cui lavorare. E leggere è l'esercizio migliore che esista, in questo senso. Anche in questo caso, aiuta in due modi: da una parte si possono trarre spunti da ciò che si legge, il che non vuol dire copiare le idee altrui, ma partire da quanto si legge per elaborare le proprie storie, senza nascondersi dietro l'originalità a tutti i costi, che tanto è già dimostrato che non esiste più, da Omero in poi; dall'altra parte, se non avete mai letto fantascienza, e pensate che la vostra idea per un racconto sia straordinaria e innovativa, è probabile che i primi sei lettori di fantascienza a cui la esponete vi citeranno sei libri diversi in cui è già stata usata. Cadere nel cliché più scontato è la peggior presentazione per qualunque nuovo autore, e il tonfo non è attutito dal fatto che era un'idea davvero davvero originale, nella testa di chi l'ha pensata (infatti sarebbe molto utile avere un team di Loriti per controllare tutte le illuminazioni).

Infine c'è anche chi dice che leggendo le opere altrui si contamini il proprio stile e non sia possibile trovare la propria voce. Anche questo è assurdo, pressappoco per le stesse ragioni di sopra, e anche perché è chiaro che se dopo aver letto King vi viene da scrivere come King, magari dopo aver letto King, Ballard, Eco, Stross e Rowling, non sarà così facile uniformarsi allo stile di un autore in particolare e si dovrà necessariamente crearne uno tutto proprio, anche incosapevolmente.

Alla luce di tutto questo, mi viene da pensare che l'idea di non voler leggere al fine di mantenersi puri nella scrittura può derivare da due tendenze. Una è la scarsa confidenza con la lettura e la scrittura, da cui deriva la convinzione che possano essere due cose indipendenti: una tesi miope ma giustificabile per chi ancora deve trovare la sua strada. Al contrario, sospetto che molti mascherino con questa giustificazione la loro chiusura a qualunque tipo di "arte" che non sia la propria, diretta conseguenza di un ego sproporzionato e probabilmente di troppe o troppo poche sculacciate prese durante l'infanzia.



*posto che abbiate 500 copie da regalargli, beninteso

1 commento:

  1. Ho sentito qualcosa di simile pronunciato per radio da una poetessa: «Non leggo altri poeti per non guastarmi la vena». Singolare osservazione pensando quanti sono i poeti che la donzella scaricava con una singola frase. Personalmente penso sia un'affermazione di voluto anonimato, ma non sono così pochi come credevo i fan di se stessi.

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