Iniziamo una nuova annata di rapporti letture, e anche se questo mese abbiamo solo due titoli di cui parlare, dedicheremo diverso spazio a entrambi quindi è utile tenerli in un unico post invece di accorpare più mesi come sto facendo ultimamente. Infatti per combinazione a gennaio ho letto gli ultimi romanzi di due autori italiani che considero a oggi tra i migliori nel loro genere prevalente di appartenenza, quindi mi pare appropriato dedicargli spazio.
Il primo di cui parlo è Livio Gambarini, che reputo uno degli autori più autorevoli del fantasy italiano, anche se lui per mantenere la reputazione preferisce che lo chiamino "fantasy storico" (un po' la stessa storia per cui si dice "speculative fiction" invece di "fantascienza"). A novembre è uscito Inferno, quarto e ultimo volume della saga di Eternal War, che seguiva le vicende dei poeti stilnovisti a Firenze (principalmente Guido Cavalcanti e Dante Alighieri) contrapposte a quelle delle schiere degli spiriti che muovono in segreto l'umanità, tra i quali spicca Kabal, l'Ancestrarca (una sorta di spirito protettore della famiglia) di Cavalcanti. Tra le pagine del blog trovate i miei commenti ai volumi precedenti e potete verificare che ho sempre apprezzato questa serie. Gambarini riesce a intrecciare in modo avvincente i fatti storici (pur dovendo piegarli occasionalmente alle sue esigenze narrative, per lo più per far coincidere cronologicamente alcuni episodi) e le dinamiche che si svolgono nelle Lande degli spiriti, invisibili agli occhi degli umani, o almeno quasi tutti loro. Dopo che nel terzo libro il focus si era spostato da Cavalcanti ad Alighieri e il progetto di Kabal per far diventare il suo protetto signore di Firenze era fallito e portato alla mezza-morte di Guido, eravamo arrivato a un plot twist finale che preparava il viaggio all'Inferno che Dante racconta nella Commedia, con lo stesso Kabal nei panni di Virgilio. Questo libro riprende l'azione proprio da quel momento, con Kabal che incoraggia il poeta a compiere questa impresa, il cui vero scopo (taciuto a Dante) è quello di salvare l'anima di Guido. Ma l'Inferno è un posto pericoloso, soprattutto perché esiste da pochissimo tempo, si è originato dalla fusione dei paradigmi cristiani con i miti classici ed è potuto nascere solo grazie alle azioni di Kabal stesso, che da manipolatre si è trovato a essere inconsapevolmente manovrato da forze più grandi di lui. La traversata dell'Inferno quindi si rivela piena di pericoli per Kabal, perché richiede da un parte di comprendere i meccanismi che lo regolano, e dall'altra di mantenere il segreto sul vero motivo per cui ha trascinato Dante con sé. Dante è l'unico che può salvare Guido ma se lo scoprisse probabilmente si opporrebbe a questa missione, per cui Kabal deve ricorrere alla sua arma più affidabile: l'inganno. Tutta la saga di Eternal War è basata sulle macchinazioni di Kabal, che è il vero protagonista della storia anche se gli altri personaggi principali intorno a lui affrontano comunque percorsi di cambiamento rilevanti. In quest'ultimo episodio l'attenzione è ancora più concentrata su di lui, che già dopo la tragedia del sacrificio di Guido aveva iniziato a nutrire dubbi sulla sua condotta. Ma mentre scende nell'Inferno e incontra i peccatori condannati lì dentro, tra i quali spiccano alcuni membri defunti della famiglia Cavalcanti di cui lui era stato protettore, il suo sistema di valori si frantuma pezzo per pezzo, ed è costretto a cedere parti della sua essenza (che aveva in un certo senso "rubato" ai Cavalcanti del passato) per poter andare avanti. Il percorso di Kabal quindi è genuinamente struggente, mentre Dante acquisisce via via più spessore e sicurezza, visto che si trova in un ambiente in cui la sua poesia ha effetti diretti e visibli sulla realtà. Naturalmente il loro viaggio li porterà a confrontarsi con Satana in persona, che può essere affrontato solo dopo aver appreso la sua natura grazie ad alcuni opportuni flashback che ricollegano episodi fino al primo libro (con giusto una spruzzatina di retcon). Il romanzo quindi scorre come un'avventura, molto più dei precedenti che dovendo aderire ai fatti storici non sempre avevano spazi per imprese e scontri, ma si basavano più su macchinazioni e sotterfugi. Purtroppo devo ammettere che la mia conoscenza della Commedia si limita a quanto ho studiato alle superiori (anche se ci ho fatto pure il tema della maturità!), quindi non sono in grado di cogliere i numerosi riferimenti agli episodi citati, o almeno non quelli più nascosti. Ovviamente mi ricordo di Ulisse e Paolo e Francesca, ma per esempio del castello dei savi non credo di aver mai sentito parlare prima. Questo per dire che sicuramente con una conoscenza più approfondita dell'opera di partenza questo libro si può godere molto di più di quanto sia capitato a me, che pure l'ho apprezzato parecchio. L'autore è davvero abile a rendere il viaggio all'Inferno in una salsa più "pulp", ma senza scadere nelle trashate di Dante che impugna il bazooka e spara un missile nel culo ai demoni, piuttosto collegando gli episodi già presenti nell'opera originale con la lore della sua stessa saga. D'altra parte, come viene spiegato nella postfazione, molte delle vicende narrate che sembrano esagerate dal punto di vista dell'azione o del grottesco, sono invece riprese in modo fedele dalla Commedia, Gambarini si è limitato a tradurle in prosa e incastrarle nel suo contesto narrativo. Se poi devo muovere un punto di critica (certo che devo), ho trovato il finale un po' anticlimatico, o meglio, sofferente di quella "sindroma del blockbuster" per cui succedono cose gigantesche, spettacolari, devastanti... ma non portano a niente. Avete presente come in tutti i film di supereroi nella battaglia finale si apre questo varco nel cielo da cui partono i fulmini e le fiamme, e il cattivo sta lì a declamare come distruggerà tutto, mentre intorno a lui i buoni hanno tutto il tempo di organizzarsi e contrattaccare, e quindi tutto quel pandemonio non ha nessuna conseguenza? Ecco, succede qualcosa di simile nello scontro con Satana: si prepara una battaglia immensa che coinvolge tutta la popolazione dell'Inferno, schiere celesti e demoniache, un Nemico immenso, dal potere inimmaginabile capace di sconvolgere le fondamenta della realtà... e niente, se ne sta fermo in un punto a lanciare palle di fuoco 2D6+1 mentre i nostri chiacchierano e si organizzano per trovare il modo di sconfiggerlo. Insomma quello che doveva essere lo scontro epico che si preparava da quattro libri alla fine non mi ha soddisfatto in pieno: funziona benissimo a livello di conflitto interno dei personaggi, ma esagera nella battaglia esterna, mettendo in campo troppi effetti speciali che forse non avevano bisogno di stare lì. Al confronto, i climax di EW2 e EW3 mi erano sembrati molto più equilibrati nel modo in cui trattavano i diversi livelli di conflitto. Questo però non squalifica il libro, che fa un ottimo lavoro nell'aggiornare l'opera dantesca e nel portare a compimento gli archi introdotti all'inizio della serie. Ci sono anche un paio di ottimi agganci metanarrativi sullo scopo di un lavoro del genere che ne giustificano l'esistenza agli occhi di chi direbbe "nooooo non puoi toccare la Divina Commedia!!!!". EW4 è un'ottima conclusione di una saga che già dai primi capitoli dimostrava la sua originalità e competenza, e dimostra appunto come il fantasy possa essere "italiano" senza diventare macchiettistico. La mia previsione è che con gli anni questi libri diventeranno un classico del fantasy italiano, e se aiuteranno anche qualcuno ad appassionarsi alla poesia stilnovista, alla storia di Firenze, e all'opera di Dante, tanto di guadagnato. Voto: 8/10
E se Gambarini è tra i migliori autori fantasy, Alessandro Forlani è tra i migliori autori di fantascienza (ha scritto anche fantasy, e molte volte scrive borderline, ma personalmente lo apprezzo di più quando affronta il genere speculativo). In questo caso è facile farsi ingannare dal titolo, perché Memorie di un colonnello di soldatini non dà l'idea di che cosa contiene il romanzo, che l'autore ha autopubblicato (fear not: è uno di quelli che quando pubblica in self lo fa in modo competente), ma fortunatamente c'è la copertina di Martina Biondini che aiuta molto a inquadrare il tutto. MCS è un romanzo che parla di contemporaneità, di come ci creiamo il nostro piccolo mondo alimentando le nostre bolle di autoconfermazione e crediamo che la realtà sia limitata a ciò che shariamo e gli altri likano e viceversa. Siamo nel 2025 o giù di lì (difficile esserne sicuri), e la protagonsita è Arianna, una inging: una che di mestiere si occupa di "ingizzare" le vite degli altri, cioè trasformarle in storytelling, perché tutto è narrazione, dall'alzarsi la mattina (waking) ad andare al cesso (toileting), fare colazione (breakfasting) per poi hanging insieming e dining sushing mentre gossiping sulle shipping dei friending. Quello che raccontiamo è quello che succede, ma il problema è che accade anche l'inverso: succede solo quello che raccontiamo e come lo raccontiamo, quindi è difficile mantenere un appiglio saldo con la realtà, che inizia a sfaldarsi per via delle versioni contrastanti. Per mantenerla insieme c'è bisogno di un inging fatto bene, ed è proprio questo che il Colonnello chiede ad Ary: accompagnarlo nella sua rivoluzione allo scopo di ristabilire la realtà come deve essere. Non fosse che il Colonnello stesso, ex docente in una facoltà in cui ormai basta farsi un selfie con il prof per prendere i crediti e appassionato di modellismo di guerra (facile identificarlo come un alter ego dell'autore), ha una concezione della realtà plasmata dalle ideologie periodiche e contrastanti che nel corso del tempo hanno trascinato le persone: dai fasci ai punk, i rasta i nerd e i centro sociali, la realpolitik e il lavoro che nobilita l'uomo. Tutte queste sintesi incociliabili devono scontrarsi e non possono sopravvivere in un universo in cui ciò che è reale è determinato da ciò che ottiene più follower. Se Dick diceva che la realtà è quella cosa che continua a esistere quando smettiamo di crederci, qui avviene il contrario: la realtà esiste solo finché ci credi, e se non credi più in niente non esisterà niente. Il romanzo quindi assume anche una forte componente satirica, come accade spesso nelle storie di Forlani, e riprende un discorso che l'autore aveva iniziato molto tempo fa, e che forse potremmo definire il nucleo di tutta la sua poetica: elementi di questa idea si trovano già in Eleanor Cole e in T, che pure sono storie completamente diverse. Peraltro un germe di quello che è sbocciato poi in MCS nel racconto di Forlani Io mi fermo qui che abbiamo pubblicato su Specularia, al punto che lo si potrebbe quasi considerare un prequel. Se poi parliamo dello stile, come sappiamo Forlani scrive in metrica e quindi la lettura ha la musicalità di una ballata, anche quando racconta di schieramenti di giocatori di ruolo che si bestemmiano contro perché uno ha avuto un tiro fortunato con il dado da 20. Forlani ne ha per tutti (c'è anche una frecciatina che credo sia diretta a Story Doctor),
si scaglia in modo subdolo contro la profusione di professionisti, le
orde di narratori, gli eserciti di poser, che si lasciano manipolare
come soldatini di plastica. Il fatto di usare come protagonista un
personaggio che riprende molte delle sue stesse caratteristiche è
indicativo di come la critica sia rivolta anche a se stesso, che di
questo sistema fa parte e non può fare a meno. Anche in questo caso, a mio avviso ci troviamo di fronte a un testo (e in generale a una produzione) che acquisirà valore col tempo, e per come la penso io questo è ciò di cui la fantascienza dovrebbe parlare oggi, perché è il vero campo di battaglia su cui dovremo scontrarci nei prossimi anni. L'umanità sta perdendo il controllo delle proprie idee, i memi stanno diventando l'unità fondamentale della realtà, e se vi sembra di aver già sentito qualcosa del genere è perché si tratta degli stessi concetti che sto cercando di portare avanti nelle mie storie del Memeverse. Può darsi che sia questa mia affinità spirituale con le tematiche proposte a farmi ritenere questo libro di Forlani un'opera di alto livello, ma anche al netto degli argomenti trattati, bisogna riconoscere l'oggettiva qualità tecnica della scrittura, la competenza con cui la storia è stata scritta adereno agli stessi modelli di cui annuncia di voler fare a meno, e la profonda e sottile ironia di cui tutto il testo è pervaso. L'autore ha dichiarato che non scriverà più fantascienza, ma non ha ricevuto abbastanza like a questa affermazione, quindi possiamo confidare sul fatto che lo farà ancora. Questa è la fantascienza di cui abbiamo bisogno, ma che forse non ci meritiamo. Voto: 9/10
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