The Road è uno di quei tanti film che ho "in lista" da anni e anni, e che riesco a vedere solo quando mi capitano sotto mano perché sono così tanto che nemmeno me li ricordo. Stessa cosa dicasi per il libro da cui è tratto, che sento sempre ripetere essere il capolavoro di Cormac McCarthy, di cui peraltro non ho letto mai niente. Ho fatto male a rimandare finora?
Per come l'ho capito io, sì. E mi riferisco al fatto che probabilmente l'ho visto in un momento della mia vita in cui sono particolarmente sensibile a un certo tipo di tematiche. Il contesto è quello di un mondo postapocalittico (mi pare di capire che siamo nel corso di un inverno nucleare), in cui un padre e un figlio si trovano da soli in viaggio con una meta non ben definita, ad affrontare quotidianamente la sfida della sopravvivenza (la fame, il freddo, le ferite, la malattia), così come i resti dell'umanità sparsi per il mondo e in genere poco amichevoli. Presa così, questa storia non sembra dire niente più di tante altre con un'ambientazione simile, anzi, se prendi la tagline di The Walking Dead non è che sia così differente.
A mio avviso però la fine dell'umanità non è il tema centrale. Non fosse altro per il fatto che non sappiamo mai con precisione cosa sia successo e perché, ma il contesto della fine del mondo non è ciò di cui il film vuole parlare. Non mi piace sovrimporre allegorie a un'opera, forzandole dove magari non entrerebbero in modo naturale, ma a me questa è sembrata una storia sul passaggio tra le generazioni. La "strada" del titolo non è tanto quella che padre e figlio percorrono, quanto un tracciato, un indirizzo che si trasmette come lascito dall'uno all'altro. Non soltanto una meta, ma uno scopo in senso più generale, anche un sistema di convinzioni e di valori che possono aiutarti a raggiungere la completezza. Una strada che non si deve necessariamente seguire passo per passo (in più occasioni, il ragazzo si oppone alle scelte del padre), ma che non bisogna comunque dimenticare. Il mondo morente (così come il padre stesso) a sua volta è una rappresentazione della fine, lenta ma inesorabile, di ciò che c'era prima, il momento in cui ci si trova a dover prendere in mano la propria vita senza più avere qualcuno che ti indica quale sia, la strada.
Ma ripeto, potrei aver visto tutto questo dove non c'era, proprio perché esco da un momento in cui mi sento molto vicino al bambino rimasto solo nelle ultime sequenze del film. Lo dico perché chi l'ha visto con me non è sembrato altrettanto impressionato o toccato, quindi potrebbe trattarsi interamente di una mia reazione dovuta alla condizione presente.
Certo non si può dire che sia un film mal realizzato. Perfetto nella fotografia (la quasi assenza di tonalità di colore) e nella tensione, pieno di scene forti ed esplicite, ma anche di numerosi sottintesi. Ho molto apprezzato anche l'interpretazione del giovane attore, quando di solito la presenza di bambini nel cast è una zavorra pesante. Quindi anche se quello di cui parlavo poco sopra rimane una mia interpretazione personale, il film merita comunque una visione.
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