I film di ambientazione carceraria sono un classico, e in genere posso anche dire di gradirli. Che si tratti dell'evasione, o dell'infiltrazione, o varianti sul tema, il vasto parco di personaggi (spesso un po' delle macchiette) che si ritrovano in questa ambientazione riesce a movimentare la storia. Inoltre c'è quasi sempre un sottotono di indeterminatezza, quell'incertezza nell'identificare chi sono i buoni e i cattivi. Per definizione i carcerati dovrebbero essere il male e i carcerieri il bene, ma quasi sempre il confine non è così netto, anzi. Filme come Das Experiment lo rendono in modo esplicito e drammatico, ma anche in altri meno impegnati si trova sempre il recluso nobile e il secondino stronzo.
Questo Cella 211 è arrivato completamente di sorpresa. Film spagnolo di alcuni anni fa, non è certo un blockbuster con una distribuzione capillare alle spalle, ma si distingue per diversi aspetti ben congegnati. La storia di base è quella della rivolta nel carcere, i detenuti che riescono a prendere controllo della prigione, tengono degli ostaggi e avanzano richieste. La situazione è movimentata dal fatto che il protagonista non è un carcerato ma una guardia appena assunta, che per caso si ritrova da solo in una cella nel momento in cui scoppia la rivolta, e capisce quindi che l'unica possibilità per salvarsi è quella di farsi passare anche lui per un detenuto, e unirsi ai ribelli. Per una serie di circostanze arriva a diventare uno degli uomini di fiducia di Malamadre, il leader della rivolta, ed è quindi nella posizione di portare avanti il suo pericoloso doppio gioco.
Il film mantiene un alto livello di tensione e le interpretazioni sono convincenti. Juan, il protagonista, non è affatto un eroe, è un ragazzo certamente sveglio ma impreparato per una situazione del genere, ma per salvare prima se stesso e poi sua moglie, è costretto a fare cose che non avrebbe mai pensato prima. E se inizialmente il suo è solo un modo per garantirsi la sicurezza e non mettere in pericolo gli altri ostaggi, poco per volta la prospettiva cambia, e le pretese di Malamadre (che poi riguardano le condizioni di vita nel carcere) gli paiono sempre più giuste, fino al punto da abbracciare davvero la rivolta (e la vendetta, anche). Da parte sua, anche Malamadre ha un cambio di prospettiva, quando inevitabilmente viene a sapere che Juan è una guardia, quindi uno di loro.
Ci sono forse un paio di punti non del tutto chiari, ad esempio il modo in cui la rivolta esplode (vediamo Malamadre che si libera delle manette, ma come da qui si passi all'apertura di tutte le celle non è chiaro), e la ragione delle proteste fuori dal carcare quando si diffonde la notizia della situazione. Quest'ulitmo aspetto probabilmente si ricollega al fatto che gli ostaggi sono membri dell'ETA, e che c'è quindi una tematica politica di fondo che forse al di fuori della spagna non è del tutto comprensibile.
Il film comunque non ne perde troppo, perché a portare avanti la storia sono i protagonisti, Juan e Malamadre in particolare, e il modo in cui il loro rapporto e i loro schemi di pensiero si evolvono nel corso della vicenda. E questo è reso in maniera inaspettatamente efficace.
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