Sembra fatto apposta: giusto un paio di giorni fa parlavo della chiusura di "Il futuro è tornato" e del fatto che avrei ripreso alcuni post usciti lì, tra cui la recensione del film Her / Lei. E durante l'ultima Coppi Night è stato scelto proprio questo film, per cui l'occasione è ideale per riproporre qui (con qualche revisione) la recensione già pubblicata diversi mesi fa sulla webzine in via di chiusura. L'articolo che segue quindi non è originale, ma inedito su questo blog.
Spike Jonze ci ha
abituati negli anni a film originali e innovativi, in cui storie
imprevedibili vengono gestite con una regia per nulla banale e
attenta a tutti i particolari (luce, suono, musica). Grazie alla
collaborazione con sceneggiatori altrettanto moderni come Charlie
Kaufman è riuscito a realizzare pellicole di grande qualità come
Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee, Nel paese delle
creature selvagge, tutti capaci a loro modo di raccontare storie
intrise di sense of wonder, che si muovono non solo sul piano
narrativo ma anche metatestuale. Pur essendo stato co-autore
in alcuni dei suoi precedenti lavori, Lei (titolo
originale Her) è il primo film interamente scritto e
diretto da Jonze stesso.
La storia di Lei,
apparentemente, è molto semplice. In un futuro molto prossimo, un
uomo dal cuore a pezzi dopo il recente divorzio (Theodore,
interpretato da Joaqin Phoenix) sviluppa una relazione
profonda con il suo nuovo Sistema Operativo (OS), intelligente
ed empatico. L’OS (Samantha, la cui voce nella versione originale è
quella di Scarlett Johansson) a sua volta condivide i
sentimenti, e tra i due si instaura una vera e propria relazione, che
include uscite in coppia, sesso e litigi. Il loro rapporto è poi
messo alla prova quando Samantha inizia a interagire con gli altri OS
attivi nel mondo, e la distanza tra l’intelligenza umana e quella
artificiale si fa sempre maggiore.
Va subito detto che non
c’è nessuna nuova idea sconvolgente in questa trama. Per chi anzi
ha familiarità con la fantascienza sviluppata dagli anni ’90 in
poi, si può a tutti gli effetti riassumere con due sole parole:
singolarità tecnologica. Il percorso dell’OS infatti è proprio
quello di un’entità che acquista autocoscienza, si misura con
l’uomo e ne trascende le possibilità, diventando non tanto
qualcosa di superiore (un “cervellone” dalle infinite capacità
di calcolo) quanto qualcosa di diverso, con cui gli umani, che
pure lo hanno progettato, non sono più in grado di confrontarsi. La
bravura di Jonze, in questo senso, è stata quella di raccontare
questa storia non dal punto di vista tecnologico, ma da quello
personale. Theodore infatti non è certo una persona con competenze
tali da capire il funzionamento dell’OS, e vive la vicenda come
semplice “utente finale”, abituato a una tecnologia onnipresente
e leggermente invasiva. In questo contesto lo sviluppo di una nuova
generazione di Sistemi Operativi, concepiti inizialmente come dei
“super segretari” in grado di comprendere e intuire le
esigenze dei loro padroni sembra quasi naturale. Lo stesso
avanzamento tecnologico ipotizzato nel film per il futuro prossimo appare come la naturale evoluzione di
quello attuale, e non ci si stupisce a vedere lo smartphone
interamente touchscreen, i videogiochi 3D e le auricolari a comando
vocale.
La storia dell’“uomo
che si innamora di un computer” può sembrare una facile deriva
dello stereotipo nerd, tuttavia Jonze ci mostra in più casi che non
si tratta di questo. Theodore infatti è tutt’altro che un
imbranato smanettone, anzi nel corso stesso del film ha un
appuntamento anche proficuo con una ragazza (Olivia Wilde), e se
durante il setup del Sistema Operativo è lui stesso a definirsi
asociale, questo carattere deriva più dal recente trauma del
divorzio che da una sua predisposizione naturale. La relazione
sentimentale con Samantha non è quindi l’ultimo rifugio di una
persona incapace di socializzare, ma un sentimento sincero maturato
nei confronti di qualcuno in grado di ascoltare e capire, e che a sua
volta esprime sentimenti di pari livello. Peraltro, come si scopre
più avanti nella storia, Theodore non è nemmeno l’unico a
intrattenere un rapporto del genere con un Sistema Operativo.
In effetti, la parte più
interessante del film è proprio la crescita intellettiva di
Samantha. All’inizio solo un’efficiente e simpatica assistente,
col tempo l’OS sviluppa una propria personalità, matura tratti di
cui essa stessa non comprende l’origine, e si scopre a pensare in
modi che la sorprendono. Naturalmente la prima cosa che viene in
mente è che si tratti di un software sufficientemente avanzato da
imitare le emozioni umane, tuttavia gradualmente si capisce che non è
solo questo. L’intelligenza artificiale degli OS cresce e si plasma
grazie al contatto con gli umani, ma non come simulacro di
essi. Anche il rapporto sentimentale tra Theodore e Samantha è in
prospettiva funzionale alla crescita emotiva e intellettiva di
quest’ultima, ed è questo dettaglio a rendere la storia davvero
profonda: la constatazione di come i sentimenti non siano una
componente opposta all’intelletto (come nel classico scontro
“ragione e sentimento”), ma una parte integrante e determinante
dell’intelligenza. Qualunque intelligenza.
Ed è con quella lettera
infine scritta alla sua ex moglie che Theodore viene finalmente a
capo di questa scoperta, che è sicuramente sorprendente per un OS (o
chiamatelo IA, se preferite), ma spesso non è tanto chiara nemmeno
per un umano (o chiamatelo IN, se preferite). Mica male, per uno che
era partito facendo Jackass…
Un ultimo appunto
riguarda la trasposizione italiana del film. Spiace dirlo, ma il
doppiaggio di Samantha perde parecchio rispetto alla versione
originale, e la differenza si avverte a maggior ragione visto che il personaggio è
caratterizzato solamente attraverso la voce. Sembra che la doppiatrice stia leggendo (con grande teatralità, questo sì) il foglio che ha davanti, piuttosto che recitando. Forse non è n caso che in America esistano i voice actor, e in Italia si chiamano invece doppiatori. Se ne consiglia pertanto, se possibile, la visione in lingua
originale, al più con sottotitoli.
La voce dell'OS in questo film è stata affidata a Micaela Ramazzotti, non una doppiatrice professionista. I doppiatori italiani sono voice actor.
RispondiEliminanon vedo però la ragione per cui affidare a una "doppiatrice non proffessionista" un lavoro del genere, a maggior ragione che il personaggio ha SOLO una voce. forse lo hanno pesato come avviene con le serie animate, che "tanto sono cartoni" e allora un personaggio può cambiare voce (e tono, e accento, e nome) da un episodio all'altro.
Eliminano no...purtroppo c'è una pratica particolare, di affidare certi doppiaggi a Talent e non a professionisti, perchè in tal modo si prendono più copertine/ ospitate/ interviste e quindi più pubblicità al film.
RispondiEliminaoggesù, non pensavo che questa cosa si estendesse anche al campo del doppiaggio!
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