In genere ho un buon rapporto con Terry Gilliam. Non sono mai stato a cena a casa sua, questo è vero, però in linea di massima ce la intendiamo, già dai tempi dei Monty Python. Per quanto molte sue produzioni da regista si muovano ai confini del surreale, riesco a entrare in sintonia con quello che cerca di trasmettere, e ne rimango infine soddisfatto.
Con The Zero Theorem questa affinità non è scattata del tutto. Il film ha molti lati positivi, principalmente per l'ambientazione e la caratterizzazione dei personaggi (quasi tutti). Quando arriva però a lasciare il suo messaggio finale mi è sembrato più incerto, incapace di colpire davvero come lo schieramento di idee e attori a disposizione avrebbe permesso di fare. La storia di Qohen (Christoph Waltz) sulle prime cattura per la sua stranezza: un genio matematico, che lavora pedalando e maneggiando un joypad, in attesa di una telefonata da dio o chi ne fa le veci, a cui viene assegnato il lavoro ultimo, dimostrare che l'universo equivale a zero, che tutto è nulla e viceversa. Come punto di partenza ha enormi potenzialità, ma la trama poi sembra incepparsi troppo su alcuni aspetti che forse sono i più banali, nel senso di più facili da ritrovare in centinaia di altri filmetti da domenica pomeriggio. Quante volte si è visto il nerd che si innamora della spogliarellista che gli è stata mandata apposta dagli amici per metterlo in difficoltà? E c'è davvero bisogno di dedicare metà film al suo interesse per quella che è di base una videochat erotica? Anche la spiegazione definitiva di cosa lui sta cercando di dimostrare arriva quando ormai non ha quasi più importanza, né per i personaggi né per lo spettatore, perché la situazione si è protratta abbastanza in altre direzioni da far dimenticare lo spunto iniziale.
Ma soprattutto, per tutto il film aleggia un'atmosfera di già visto che da Terry Gilliam non ci si dovrebbe aspettare: l'ambientazione ricorda Il quinto elemento, lo svolgimento per molti versi riprende invece elementi di Brazil dello stesso Gilliam, che però ha il pregio di strutturare la distopia in maniera molto più efficace. Per un regista/autore che ha fatto sempre dell'imprevedibilità uno dei suoi caratteri distintivi, questo rappresenta la giustificazione scritta dei genitori "mio figlio non ha potuto fare i compiti perché impegnato ad accudire il fratellino".
Peccato perché quando vuole, con pochi dettagli il film riesce a riguadagnare parecchi punti (penso ad esempio ai cartelli di divieto che si trovano sulla strada). Ma un film intero non si può reggere sui particolari, se la struttura non sta in piedi da sé. In fin dei conti non mi sento di dire che The Zero Theorem sia un brutto film, ma non è il prodotto fresco e innovativo che mi sarei aspettato. Questo passo falso non basterà certo ad affossare la mia fiducia in Gilliam, ma forse la prossima volta qualcuno tra me e lui dovrà pensarci meglio prima di dedicare tempo a un nuovo film.
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