Mi permetto di mantenere il titolo originale perché non vedo la ragione per cui dovrei trasporto come The Last Days, in una lingua terza, piuttosto che un semplice Gli ultimi giorni. E anche per rendere evidente che si tratta di una produzione spagnola.
Scovato su Netflix, è un film del 2013 la cui premessa mi ha affascinato subito. In tutto il mondo si diffonde una "epidemia" di agorafobia. Le persone non sono più capaci di sopportare gli spazi aperti, e sono costrette a vivere continuamente all'interno degli edifici. La patologia è abbastanza grave da provocare la morte per shock a chi si avventura al di fuori della porta. La crisi colpisce tutti, gradualmente: l'intera umanità si ripara nelle sue costruzioni: abitazioni, uffici, stazioni, fogne. Qualunque cosa non sia direttamente sotto il cielo aperto. A mesi di distanza dall'inizio della psicosi collettiva, della civiltà contemporanea rimane molto poco.
In questo contesto apocalittico il protagonista della storia è Marc, un giovane impiegato rimasto imprigionato nel suo ufficio insieme ai colleghi. Marc vuole trornare dalla sua ragazza nella loro casa, ma non potendo uscire, decide di raggiungerla attraverso un percorso sotterraneo passando dai binari della metropolitana alle fogne. Suo compagno di viaggio sarà Enrique, un consulente del personale dal fare minaccioso che era stato assunto dall'azienda per eseguire tagli all'organico (e che aveva messo gli occhi proprio su Marc). Entrambi diffidenti dell'altro all'inizio, andando avanti imparano a conoscersi e collaborare, constatando che è inutile mantenere i propri ruoli quando la società non esiste più.
Ma il viaggio lungo la metro di Barcellona è anche l'occasione per mostrare le varie soluzioni adottate dall'umanità per adattarsi alle nuove condizioni di vita. Chi può è rimasto in casa, ma ha dovuto comunque trovare il modo di rifornirsi di cibo, acqua ed energia. Nei luoghi di passaggio affollati come stazioni e supermercati si sono invece create delle comunità complesse, con fazioni in lotta tra loro. I due protagonisti devono quindi cercare di passare indenni attraverso la serie di pericoli dovuti alla disperazione di chi è costretto a convivere con migliaia di sconosciuti in uno spazio chiuso e limitato.
Il film riesce innanzitutto a tasmettere bene l'ansia e l'oppressione a cui tutti si trovano sottoposti (mi ha ricordato in qusto sensto Blindness). Inoltre gestisce con padronanza le storie personali dei due protagonisti, inserendo anche alcuni flashback che mostrano le ultime settimane prima della catastrofe. Come sempre nelle storie in cui la società si è disgregata, la moralità si fa più indefinita, e i protagonisti stessi compiono delle azioni non proprio encomiabili che tuttavia sono in parte giustificate dalla situazione. Dal punto di vista tecnico il film è ben realizzato, e trae il meglio dalle valide interpretazioni degli attori (devo dire che anche il doppiaggio è di buon livello). L'unico scivolone è la scena dell'orso, dove forse per una eccessiva voglia di azione si pecca un po' di credibilita e brutta CGI, ma anche quella sequenza si rivela poi importante nello svolgimento della trama.
Tutto questo fa di Los ùltimos dìas una piacevole sorpresa, il film su cui non punteresti nulla e invece riesce ad appassionare, stimolare e commuovere. E a questo punto, credo che dovrò iniziare a guardare con più attenzione a un certo tipo di cinema spagnolo, perché mi rendo conto che ultimamente tutti i film spagnoli che ho visto mi hanno quanto meno convinto, e in diversi casi anche lasciato qualcosa. Penso a Mientras duermes, Automata, Cella 211 e ora questo. Potrebbe anche essere un caso, ma comincia a farsi abbastanza sospetto da meritare maggiore approfondimento.
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