No, non vi sto per raccontare di quella volta che ho scoperto The Princess Bride, il film noto da noi con il titolo più generico della storia del cinema mondiale, anche se è vero che molti film definit come cult che hanno contrassegnato una generazione mi mancano. Per esempio, pur conoscnedoli, non ho mai visto The Goonies o Karate Kid, e non ci tengo particolarmente a rimediare, perché questa mia deficienza mi rende immune a quella contagiosa forma di nostalgismo da cui sono affetti molti della mia generazione, e che cercano di curare a colpi di Stranger Things o Ready Player One.
No invece, The Princess Bride lo conoscevo già, e ricordo di averlo visto più volte in gioventù. Ma una cosa che ho scoperto negli ultimi anni, è che per molti di questi film che passavano in televisione quando avevo meno di dieci anni, ricordo bene la parte iniziale, ma quasi nulla di quella conclusiva. Nel caso di Princess Bride infatti ricordavo più o meno tutto fino alla parte del viaggio nella foresta, mentre dell'atto conclusivo con l'assalto al castello non avevo memoria. Non è la prima volta che mi capita con film dell'epoca, e non so se sia dovuto al fatto che magari essendo un bambino mi addormentavo dopo un'ora, o forse dopo un po' semplicemente il mio attention span si esauriva e lasciavo perdere il film. Sia come sia, non la considero una cosa negativa, in quanto mi permette di rivedere il film quasi come se non lo avessi mai visto, e quindi formarmi un'opinione incondizionata dalle emozioni grezze dell'infanzia. Un altro esempio è che allora non avevo idea di chi fosse Peter Falk, mentre vederlo qui adesso mi ha subito suscitato un sorriso.
Un'altra delle cose che ho scoperto rivedendo questi film da adulto, è quanto il doppiaggio faccia perdere caratterizzazione ai personaggi, e a volte anche snodi di trama rilevanti. Non voglio avviare il discorso su come adattatori e doppiatori siano incapaci, ne avete già parlato abbastanza con Neon Genesis Evangelion (serie che, guarda un po', non ho mai visto) e in realtà non ho nemmeno opinioni così drastiche, perché capisco che il lavoro di trasposizione da una lingua all'altra sia molto complesso, ancora di più quando non si tratta di "semplice" traduzione, ma anche di messa in scena che corrisponda ai tempi del film. E per la verità in certi casi l'adattamento può anche apportare dei miglioramenti.
Un caso di questo tipo che ho scoperto di recente è quello del secondo Ace Ventura, quello che da noi è Missione Africa, che rispetto al film iniziale vira in modo drastico e delizio verso l'assurdo. (Note to Hollywood: ma non vi sembra il caso di fare un reboot o un sequel di questo personaggio?) Nella versione originale del film i nomi e la lingua delle tribù visitate da Ventura sono sostanzialmente credibili, mentre la versione italiana si permette di stiracchiarli magistralmente verso il becero: la tribù in pericolo che si chiamava Shikaka diventa Sikaka, visto che quando viene pronunciato il nome dell'animale sacro (appunto, Sikaka) si chinano sulle ginocchia come se... facessero la cacca, get it? La tribù avversaria che sarebbero i Wachati in italiano si chiama Wachitu, e niente mi leva dalla testa che abbiano storpiato il nome in questo modo per dare senso alla gag in cui l'interprete traduce le parole di Ace con un "vafancù" e loro rispondono urlando il coro il loro nome "vacitù! vacitù! vacitù!". Certo, sono battute da terza elementare, ma nel contesto sono azzeccatissime e apprezzo molto questo livello di creatività.
Al contrario, un caso negativo che ho scoperto di recente è quello di Tremors. Rivisto in lingua originale qualche mese fa, ho finalmente potuto dare un senso alla battuta finale del film. Quando Kevin Bacon provoca l'ultimo graboid a corrergli incontro e cascare nel dirupo fino a schiantarsi, nella versione italiana commenta "Ho pensato che qualche limite doveva averlo". Battuta che non ha senso, perché non vuol dire niente. E io sarò pure stato un mocciosetto che non sapeva niente di screenplay, ma ho sempre avuto l'impressione che quella frase non dicesse niente di significativo, e fosse piuttosto anticlimatica, anche se non sapevo ancora cosa fosse un climax. Nella versione originale, Bacon dice "Stampede", che è il termine con cui si indica la fuga di una mandria impazzita (in senso letterale o figurato). La fuga del bestiame è l'argomento di cui discutono i due protagonisti la prima volta che li vediamo nel film, quindi questo ha senso per chiudere il film. C'è da dire che in italiano non mi risulta esista un termine per indicare questo concetto, ma anche una breve locuzione avrebbe avuto senso per ricollegarsi all'inizio, tipo "Come quel maledetto bestiame". Tutti ridono. The end.
Tutto questo per dire che ho rivisto The Princess Bride in lingua originale e non mi ricordavo la parte finale. Non mi ricordavo il duello di Inigo Montoya contro l'assassino di suo padre. Mi ricordavo che si scopriva chi era l'uomo con sei dita, e avevo la vaga impressione che lui lo uccidesse, ma le modalità di questo duello mi erano sparite dalla testa, se mai l'avevo visto. Giusto per dare un'idea, sono questi due minuti qui.
E con la mia consapevolezza di adulto maturo e pratico di storytelling, posso dire signore e signori, che questo è uno dei migliori duelli che abbia mai visto (quanto meno di quelli all'arma bianca, se mettiamo di mezzo le pistole allora Lee Van Cleef ha qualcosa da dire). Funziona innanzitutto perché è breve, ben coreografato, con la giusta musica, e contrappone due avversari antitetici, uno concepito per essere adorato dal pubblico, l'altro per essere odiato. Inigo pur essendo un personaggio secondario conquista da subito, perché è abile, coraggioso, onorevole e ha una missione nobile da compiere. Il suo avversario invece è vigliacco, sleale, arrogante, tutte caratteristiche che quando vediamo negli altri ci portano a disprezzarli (quando le esprimiamo noi sono sempre giustificabili, ma non parleremo qui di bias cognitivi). Il combattimento è eccezionale anche per altre ragioni: Inigo parte in svantaggio, ma poi si riprende con la forza della sua catchphrase, ovvero pensando alla sua missione, e arriva a spaventare il nemico che gli chiede di smettere di ripetere quella frase. E al suo nemico infligge ferite del tutto speculari a quelle che riporta lui: spalla, braccio, guance, addome. Ma mentre Inigo sopporta le ferite e ne trae motivazione (quelle sulle guance le porta addosso da vent'anni), l'altro crolla subito e si rivela disposto a cedere tutto quello che ha per non morire.
Ed è qui che succede la cosa più sorprendente.
Offer me anything i ask for.Anything you want.I want my father back, you son of a bitch.
Questo scambio mi ha distrutto. So bene di aver sviluppato un soft spot dopo la morte di mio padre, me ne sono accorto ogni volta che dopo il 13 luglio 2016 mi è capitato di leggere o vedere qualcosa che si basasse sulla perdita del genitore. The Good Dinosaur, The Road, anche Logan mi hanno devastato. Ma non mi aspettavo di subire questo effetto in un fim come The Princess Bride. Tanto più che è l'unica occasione in cui in questo film pensato principalmente per un pubblico di bambini viene usata una "parolaccia" (per inciso in italiano, il personaggio parla un misto di spagnolo e quindi dice hijo de puta, meno riconoscbile per un bambino). Il punto è che quelle poche parole, per come vengono dette, le ho sentite fino in fondo. Ho pensato "Sì, anch'io lo voglio, ti capisco Inigo, ma non potremo mai riaverlo." E a quel punto vederlo uccidere l'assassino di suo padre è stato un momento catartico.
Una cosa che ho scoperto di recente è che se sei in cerca di spunti di riflessione in merito a una canzone o una scena di un film, ti basta cercarla su youtube e dare una scorsa ai commenti. C'è tanto rumore nei commenti, ma ogni tanto ce n'è uno interessante nella massa, che offre una prospettiva interessante, del tipo che fa notare un collegamento di una certa scena a un'altra, oppure come un certo verso possa essere interpretato in qualche modo. Ho fatto la stessa cosa per la scena di questo duello, e ho scoperto una cosa.
Ho scoperto che Mandy Patinkin, l'attore che interpreta Inigo Montoya, aveva perso suo padre pochi mesi prima di girare questo film. Era morto di cancro. In un'intervista, Patinkin racconta che durante questa scena stava immaginando di duellare proprio con quel cancro che aveva assassinato suo padre. Per questo, dicono alcuni, la resa della scena è così potente.
I want my father back, you son of a bitch.
Forse è una confortante illusione la mia, ma scoprire la storia che dietro questa scena mi ha fatto sentire capito. Inigo Montoya mi capisce, Mandy Patinkin mi capisce, William Goldman (che ha scritto il libro e il film) mi capisce. E ho scoperto quindi che forse non sono così solo come può sembrare a volte, e che quelle cose inutili e superficiali con cui passiamo il tempo possono avere un impatto molto più profondo su tutti noi, e forse, ogni tanto, aiutarci a migliorare, se lo vogliamo.
Ma forse quest'ultima cosa la sapevo già.
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