A tre mesi dall'ultima paccata di acquisti musicali, il bisogno di nuova musica iniziava a farsi fisiologico, per cui ho dovuto prendere un giorno di ferie per spendere qualche ora da Mastelloni, e rifornirmi di suoni. Ho fatto ritorno a casa con una paccata di 11 nuovi cd, che come di consueto suddivido in due parti per facilitare la fruizione dei post. In questa prima parte parlerò degli album, nell'imminente parte 2 ci saranno le compilation.
Si inizia con qualcosa di gustosamente minimal ed estremamente recente. Questo disco di appena due mesi fa di Âme in realtà è più un greatest hits che un vero e proprio album. Vi si trovano infatti tutti i pezzi più importanti di produzione della coppia, come Rej e Setsa, più alcuni pezzi di altri grandi nomi come Underworld e Gui Boratto da loro remixati. Sonorità principalmente cupe, con punte di autentico nichilismo (come in Where We At), che si mantengono per tutto il percorso. Il titolo Live inoltre esplicita che non si tratta delle versioni originali, ma di una lunga sessione live, leggermente mixata, in cui vengono presentate le tracce migliori dei due.
Altrettanto recente è l'album Between the Lines di Nick Curly, uscito sulla sua etichetta Cecille nel marzo 2012. Anche qui l'impronta minimal è dominante, ma si fanno sentire anche influenze latine, che non sono estranee allo stile di Curly (basta pensare a Pujante, uno dei suoi pezzi di maggior successo), che emergono con suoni e testi in spagnolo. I tredici pezzi sono di lunghezza medio breve, e alcuni si limitano ai tre minuti tipici del "radio edit", senza troppe variazioni sul tema principale. Forse non si riscontra una grande originalità, ma le tracce sono ben costruite e si basano tutte su un'ottima concezione del ritmo, per cui l'ascolto risulta del tutto gradevole.
Questo Hawkinson in realtà non l'avevo presente, ma sapevo di potermi fidare dell'etichetta Muller, diretta da Beroshima. Non sono rimasto deluso, perché in Klaf, uscito nel 2011, [il link punta alla versione in vinile, con solo quattro tracce, a quanto pare l'album su cd con undici pezzi non è catalogato] si trova una successione di tracce di ottima techno, solida e dalle sonorità vagamente "spaziali", che ricordano lo stile più hard che andava per la maggiore prima che negli ultimi anni si affermasse come tendenza principale la minimal. Volendo fare un paragone, lo stile è simile a quello dell'album Audiology di Kelinschmager Audio, che avevo acquistato a giugno dell'anno scorso.
La scoperta di The Analog Roland Orchestra è stata forse la più interessante di questa sessione di acquisti. Già ero rimasto attratto dalla minimalista copertina in cartone con solo un motivo geometrico e nessuna scritta. Quando poi ho chiesto un preascolto per capire con cosa avevo a che fare, mi sono definitivamente convinto ad acquistare Home. L'orchestra, che in realtà è composta da una sola persona, come suggerisce il suo nome utlizza gli strumenti analogici classici della tradizione elettronica, a partire dai TR 808 e 909, ed altri come il Jupiter 6, Vermona 2010 eccetera. Ok, in realtà non ho un orecchio così raffinato da saper riconoscere tutte queste diverse componenti, ma nel libretto (cioè, cartoncino) del cd viene elencata per ogni traccia gli strumenti utilizzati, di cui questi sono i principali. Come ci si poteva aspettare da qualcuno che usa tanta perizia da elencare i suoi apparecchi, le tracce sono complesse e ricche, composte da suoni puri, e durante l'ascolto si può avvertire la cura che è stata riservata a ogni singola parte che compone le tracce. Un disco per veri appassionati, che può soddisfare chi apprezza le basi stesse dell'elettronica.
Contrariamente a quanto suggerirebbe il suo nome, Roberto Rodriguez è finlandese. Il suo album Dawn è uscito nel 2012 sull'etichetta Serenades, e se a un primo ascolto può apparire un po' cheesy, in realtà scorrendo più volte le tracce si percepisce che c'è una seria conoscenza dell'ambiente elettronico-dance degli ultimi decenni. Lo stile infatti varia da tracce house e deep-house, a qualcosa che ricorda la italo disco, fino a pezzi di stampo più techno. Un disco quindi che si presta a più situazioni, e funziona tanto per l'ascolto, come excursus sulle variazioni possibili sul tema della "canzone elettronica", quanto per la diffusione, visto che i pezzi composti di melodie e vocal risultano ben orecchiabili.
Paul Van Dyk è uno di quei nomi che hanno raggiunto popolarità anche al di fuori dell'ambito strettamente "clubbistico", e che (per quanto valore possa avere) spunta sempre un posto nella top ten nell'annuale Dj Mag Chart. Considerato uno dei guru della trance, in realtà negli ultimi tempi la sua posizione è passata in secondo piano, mentre nuovi talenti (e soprattutto nuovi generi) raggiungevano la fama. Personalmente però ritengo che, tra quelli che sono stati i maestri del genere (Van Buuren, Tiesto, Corsten, per dire...) è quello che è riuscito a mantenersi meglio. Conferma è questo nuovo album: Evolution infatti contiene quindici tracce che, seppure con qualche aggiornamento nello stile ai canoni più moderni, si mantiene coerente con i suoni e i temi che ha sempre utilizzato da oltre un decennio. Buona parte dei pezzi inoltre è stata realizzata in collaborazione con altri artisti, tra i quali Austin Leeds, Arty, Adam Young (aka Owl City), Giuseppe Ottaviani. In sostanza, un album non eccessivamente brillante, ma di buona qualità se si considera l'evoluzione (appunto) del genere trance degli ultimi anni.
Altrettanto recente è l'album Between the Lines di Nick Curly, uscito sulla sua etichetta Cecille nel marzo 2012. Anche qui l'impronta minimal è dominante, ma si fanno sentire anche influenze latine, che non sono estranee allo stile di Curly (basta pensare a Pujante, uno dei suoi pezzi di maggior successo), che emergono con suoni e testi in spagnolo. I tredici pezzi sono di lunghezza medio breve, e alcuni si limitano ai tre minuti tipici del "radio edit", senza troppe variazioni sul tema principale. Forse non si riscontra una grande originalità, ma le tracce sono ben costruite e si basano tutte su un'ottima concezione del ritmo, per cui l'ascolto risulta del tutto gradevole.
Questo Hawkinson in realtà non l'avevo presente, ma sapevo di potermi fidare dell'etichetta Muller, diretta da Beroshima. Non sono rimasto deluso, perché in Klaf, uscito nel 2011, [il link punta alla versione in vinile, con solo quattro tracce, a quanto pare l'album su cd con undici pezzi non è catalogato] si trova una successione di tracce di ottima techno, solida e dalle sonorità vagamente "spaziali", che ricordano lo stile più hard che andava per la maggiore prima che negli ultimi anni si affermasse come tendenza principale la minimal. Volendo fare un paragone, lo stile è simile a quello dell'album Audiology di Kelinschmager Audio, che avevo acquistato a giugno dell'anno scorso.
La scoperta di The Analog Roland Orchestra è stata forse la più interessante di questa sessione di acquisti. Già ero rimasto attratto dalla minimalista copertina in cartone con solo un motivo geometrico e nessuna scritta. Quando poi ho chiesto un preascolto per capire con cosa avevo a che fare, mi sono definitivamente convinto ad acquistare Home. L'orchestra, che in realtà è composta da una sola persona, come suggerisce il suo nome utlizza gli strumenti analogici classici della tradizione elettronica, a partire dai TR 808 e 909, ed altri come il Jupiter 6, Vermona 2010 eccetera. Ok, in realtà non ho un orecchio così raffinato da saper riconoscere tutte queste diverse componenti, ma nel libretto (cioè, cartoncino) del cd viene elencata per ogni traccia gli strumenti utilizzati, di cui questi sono i principali. Come ci si poteva aspettare da qualcuno che usa tanta perizia da elencare i suoi apparecchi, le tracce sono complesse e ricche, composte da suoni puri, e durante l'ascolto si può avvertire la cura che è stata riservata a ogni singola parte che compone le tracce. Un disco per veri appassionati, che può soddisfare chi apprezza le basi stesse dell'elettronica.
Contrariamente a quanto suggerirebbe il suo nome, Roberto Rodriguez è finlandese. Il suo album Dawn è uscito nel 2012 sull'etichetta Serenades, e se a un primo ascolto può apparire un po' cheesy, in realtà scorrendo più volte le tracce si percepisce che c'è una seria conoscenza dell'ambiente elettronico-dance degli ultimi decenni. Lo stile infatti varia da tracce house e deep-house, a qualcosa che ricorda la italo disco, fino a pezzi di stampo più techno. Un disco quindi che si presta a più situazioni, e funziona tanto per l'ascolto, come excursus sulle variazioni possibili sul tema della "canzone elettronica", quanto per la diffusione, visto che i pezzi composti di melodie e vocal risultano ben orecchiabili.
Paul Van Dyk è uno di quei nomi che hanno raggiunto popolarità anche al di fuori dell'ambito strettamente "clubbistico", e che (per quanto valore possa avere) spunta sempre un posto nella top ten nell'annuale Dj Mag Chart. Considerato uno dei guru della trance, in realtà negli ultimi tempi la sua posizione è passata in secondo piano, mentre nuovi talenti (e soprattutto nuovi generi) raggiungevano la fama. Personalmente però ritengo che, tra quelli che sono stati i maestri del genere (Van Buuren, Tiesto, Corsten, per dire...) è quello che è riuscito a mantenersi meglio. Conferma è questo nuovo album: Evolution infatti contiene quindici tracce che, seppure con qualche aggiornamento nello stile ai canoni più moderni, si mantiene coerente con i suoni e i temi che ha sempre utilizzato da oltre un decennio. Buona parte dei pezzi inoltre è stata realizzata in collaborazione con altri artisti, tra i quali Austin Leeds, Arty, Adam Young (aka Owl City), Giuseppe Ottaviani. In sostanza, un album non eccessivamente brillante, ma di buona qualità se si considera l'evoluzione (appunto) del genere trance degli ultimi anni.
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