Coppi Club 08/03/2015 - L'arrivo di Wang

Parliamo di fantascienza italiana. Questo già potrebbe sembrare una contraddizione in termini per qualcuno. Eppure abbiamo già dimostrato che qualcosa esiste, al di là di questo apparente ossimoro: basta leggere il mio ultimo rapporto letture. Però aspetta: non stiamo parlando di libri, ma di film! Cioè, fantascienza italiana cinematografica? Nah, non esiste...

In effetti ci sono alcune straordinarie eccezioni a questa regola. Se escludiamo alcuni coraggiosi sceneggiati RAI degli anni 70, un esempio più recente può essere Nirvana di Salvatores, e poi non ne saprei citare altre. Ecco perché questo film mi ha incuriosito da subito: una storia su un contatto alieno scritta e diretta dai Manetti Bros, che io non conosco personalmente perché non frequento la fiction italiana, ma di cui ho sentito parlare non male. E allora proviamoci, vuoi vedere che...?

L'arrivo di Wang ha per protagonista una giovane traduttrice cinese, convocata per un lavoro insolito da parte di un'organizzazione non ben identificata. La ragzza dovrà fare da interprete tra Ennio Fantastichini e questo signor Wang, di cui inizialmente non vediamo il volto, ma in seguito ci viene mostrato come un extraterrestre, qualcosa di simile a un Grigio, ma con una cresta sulla testa e arti tentacolati. Wang è venuto sulla Terra in avanscoperta con l'obiettivo di stabilire un primo contatto e avviare uno scambio culturale con l'Umanità, e ha deciso di stabilirsi a Roma, scivolando però sulla scelta della lingua da imparare per parlare coi terrestri, basandosi semplicemente su quella più parlata nel mondo (il mandarino, appunto). Due terzi buoni del film seguono l'interrogatorio di Wang mediato dall'interprete, che cerca di mostrarsi empatica al contrario dell'intransigente e aggressivo agente dei servizi segreti.

E ora per completare la recensione bisogna che vada nello spoiler, quindi se volete vedere il film saltate questo paragrafo e passato al successivo, con le ultime note tecniche. Nell'ultima parte del film la protagonista decide di chiedere aiuto, in quanto l'alieno oltre al duro interrogatorio è stato sottoposto a tortura nonostante mantenesse le sue risposte "pacifiche". Si aggira quindi di nascosto nella base segreta fino a quando iniziano a suonare allarmi generali e l'edificio si svuota di tutto il personale, e rimangono solo lei e Wang. A questo punto decide di liberarlo e portarlo fuori, e allora si scopre che in effetti la specie extraterrestre ha iniziato ad attaccare la Terra, e lo stesso Wang sta pilotando un marchingegno da lui messo insieme nelle settimane in cui si è nascosto a Roma. "Sei proprio una cretina", è la sua ultima frase, sempre in cinese, rivolto alla protagonista. E certo, cretina lo appare davvero, per aver creduto tutto il tempo che Wang fosse davvero innocente e i cattivi erano gli umani. Il problema è che, oltre a lei, anche tutto il pubblico ci ha creduto. Quindi se da una parte abbiamo un discreto twist, dall'altra ci si sente anche presi in giro, perché per tutto il tempo abbiamo investito la nostra empatia nei confronti di Wang, che si è sempre mostrato comprensivo, pacato e ragionevole nonostante le angherie subite. Peraltro, non è nemmeno molto coerente il fatto che l'alieno stesse portando avanti il suo piano diversivo per tutto il tempo, perché fin da subito mostra un atteggiamento diverso nei confronti degli agenti e della protagonista: se il suo obiettivo finale era quello di ottenere il telecomando per azionare il marchingegno che spiana la strada all'invasione dei suoi simili, perché andare avanti con la pantomima del visitatore pacifico interessato allo scambio culturale? Avrebbe potuto ottenere il suo obiettivo con un meccanismo molto più semplice, del tipo: "Quell'aggeggio è un traduttore universale, se me lo fate usare un attimo riesco a parlare italiano" e poi ZAC!, gli umani sono fregati, il tutto senza dover quasi morire di sete e subire l'elettroshock. Inoltre, tutto il piano di Wang si basa sul fatto che sta creando un legame empatico con la traduttrice, ma non può in alcun modo sapere che poi lei avrà l'occasione di liberarlo, anzi, sarebbe ragionevole suppore che sia l'ultima persona in grado di aiutarlo in quella base, avrebbe dovuto piuttosto arruffianarsi col capo dei servizi segreti o una delle guardie. Insomma, questo aspetto della trama non è stato gestito in modo efficace, e di fatto finisce per vanificare gli sforzi di un film che poteva in un certo modo essere interessante. Credo che i Manetti abbiano voluto mostrarsi per forza "cattivi" con un twist nella direzione meno prevedibile, ma piuttosto anche meno coerente. Classico esempio di presa per il culo dello spettatore, non si fa.

Fine spoiler, passiamo all'aspetto tecnico. Il film ha l'aspetto di un thriller, la regia, la musica, la fotografia, sono tutte tipiche del film d'azinoe, anzi, diciamo pure della fiction poliziesca. Probabilmente si tratta soltanto di una deformazione professionale dei registi che si muovono di solito in questo ambito, ma il risultato non è sgradevole. Purtroppo ci sono altri dettagli che fanno scendere il livello. Gli effetti speciali sono al limite del ridicolo, sia per quanto riguarda l'alieno (che è stato filmato con un attore in motion capture) che le scene finali in cui vediamo le astronavi. Ma come mai un grafico 3D da solo riesce a creare dei modelli quasi perfetti per cortometraggi che carica su youtube, e quando poi invece si fa un film "vero" si cade su queste cose? Infine la recitazione ragguinge dei livelli davvero bassi, non dico amatoriali ma quasi, in certi casi con un'impostazione fin troppo teatrale. Insomma, di nuovo, la recitazione da fiction, roba alla Occhi del cuore.

Questi aspetti negativi finiscono per squalificare un film che avrebbe potuto essere un'occasione quasi inedita nel panorama cinematografico italiano. Purtroppo finché il modello rimane quello degli sceneggiati televisivi credo che non si potrà ottenere niente di meglio. Si può apprezzare il tentativo, ma non il risultato.

Rapporto letture - Febbraio 2015

Febbraio è stato apparentemente un mese di letture scarne, in realtà ho occupato buona parte con un volume consistente e poco dopo ne ho iniziato un altro a sua volta corposo che si è protratto fino a marzo. La cosa buona è che rispetto agli ultimi mesi, ho finalmente letto qualcosa che mi ha lasciato pienamente soddisfatto. E, caso strano, solo autori italiani!

E lo so che si fa presto a dire "letture soddisfacenti" quando a fare media c'è Calvino, e so anche che sono l'ultimo arrivato. Avevo il volume che raccoglie Tutte le Cosmicomiche già da diversi anni, ma solo ora mi sono deciso ad affrontarlo. Non avevao un'idea precisa di cosa aspettarmi, perché di Calvino non ho letto molto (qualche racconto a scuola, forse Il Conte di Montecristo presente in una qualche antologia), e ora posso dire che ho fatto male. I racconti contenuti nelle Cosmicomiche costituiscono un approccio favolistico alla fantascienza, si parte infatti da teorie o nozioni scientifiche (alcune oggi obsolete, ma non importa) e su questi vengono costruiti racconti apparentemente semplici, ma che richiedono un notevole cambio di prospettiva da parte del lettore. Dalle particelle subatomiche agli ammassi di galassie, dal big bang alla morte delle stelle, quasi tutta la storia dell'universo viene presa in esame, con un particolare occhio di riguardo naturalmente alla storia della Terra (e della Luna). Ora, di certo non sta a me fare la critica a Calvino perché ci hanno pensato tanti altri dottorni prima di me, posso dire però che la lettura si è rivelata al tempo stesso piacevole e stimolante, soprattutto per quanto riguarda le numerose avventure di Qfwfq, che riesce a riportare alla dimensione umana anche situazioni lontanissime dalla nostra esperienza quotidiana. Più complessi da seguire, ma estremamente affascinanti, anche i "racconti deduttivi", dei quali fa parte anche Il Conte di Montecristo che avevo già letto: profonde storie metatestuali che illustrano sottoforma di storia delle vere e proprie espressioni di matematica pura. Quello che si può obiettare è che certi temi siano un po' ripetitivi, e che a volte i personaggi dei racconti siano poco più che degli abbozzi, ma raramente questo riesce a squalificare storie dalla potenza immaginativa così alta. Voto: 8.5/10


Di Stefano Castelvetri credo che nessun dottorone abbia mai parlato, e io stesso lo vedo citato per la prima volta sulla copertina di questo ebook autopubblicato. Mi ha attirato per il titolo, la sinossi breve ed efficace, e forse qualche ricordo subconscio di commenti positivi letti da qualche parte. Ho voluto quindi provare a leggere 8.23 volte l'anno e ne sono rimasto piacevolmente sorpreso. Si tratta di una storia leggera e divertente di invasione aliena, o meglio, di ripetute invasioni aliene, che vengono prontamente sventate (da alcuni secoli) da una squadra di preparatissimi agenti del controspionaggio alieno. Anzi, meglio, si tratta di un intero paese, e il paese è Binazzo Bassa. Le affinità di questo romanzo con altre opere si fanno in fretta: la Guida Galattica, Men in Black. Eppure nonostante si noti subito che l'autore non ha voluto inseguire l'originalità a tutti i costi, si riesce comunque a godere di una storia ben strutturata, personaggi convincenti e avventura spensierata. In realtà il libro avrebbe bisogno di una buona revisione, ci sono diverse imprecisioni nel testo e nella punteggiatura, roba che con qualche ora di editing si sarebbe risolta senza problemi e avrebbe reso questo ebook un prodotto di ottima qualità. Siamo comunque a livelli più che sufficineti, a dimostrare che, a cercare bene, qualcosa si può trovare anche nel selfpublishing. Pare che esista già un seguito (Universo incompleto) ed è probabile che lo leggerò. Voto: 7.5/10

Report DTS @ Reggio Emilia, 28 febbraio 2015

Non è una cosa che faccio abitualmente, mettermi a fornire resoconti degli eventi live a cui mi capita di partecipare e/o presiedere. Tuttavia come ho fatto per la prima uscita pubblica di Spore, mi piaceva fare il punto anche della "prima volta" di Dimenticami Trovami Sognami, che è stato giusto una settimana fa. Per tirare le somme di questa prima esperienza, niente di più.

Dovreste già sapere che la presentazione si è svolta alla Miskatonic University, nel centro di Reggio Emilia, e avremmo potuto tranquillamente dire che fosse l'evento più partecipato della serata, se non fosse che nella strada accanto c'era l'inaugurazione di un forno che distribuiva cibo gratis, e si sa, dove si mangia a scrocco non manca mai la gente. Si fa presto a riempire un locale piccolo come quello (ma piccolo nel senso di contenuto e caloroso, non claustrofobico), ma i posti a sedere erano tutti prenotati e qualcuno è rimasto pure in piedi, cosa che è sempre di buon incoraggiamento.

Avevamo concordato con Giorgio Iguana Raffaelli di Zona 42 una semplice scaletta, con qualche minuto di presentazione iniziale e una serie di domande, e abbiamo pressappoco seguito quella. Devo ammettere che c'è stata un po' di difficoltà all'inizio, soprattutto da parte mia, nel cercare di descrivere il libro. Il fatto è che mi risulta problematico rispondere a una domanda semplice del tipo "di cosa parla", perché non credo si possa individuare un singolo tema o una singola linea narrativa che può racchiudere tutto il romanzo in poche righe, e qualche inceppamento ci può essere stato, come potete constatare dalla foto qui annessa, in cui se riuscite a cogliere la gestualità potete leggere da parte mia un "ehm, sì, roba così" e di Giorgio qualcosa del tipo "sì, ok, non si capisce ma ce lo facciamo andare bene". Ho comunque cercato di suggerire gli spunti iniziali, forse senza risultare troppo convincente, ma con le domande successive siamo riusciti ad approfondire l'argomento, e probabilmente sono riuscito anche a suscitare un certo interesse, perché gli interventi del pubblico non sono mancati. Non ho ben chiaro quanto sia durato il tutto, presumo un'ora o poco più, ma è stato tutto molto scorrevole. Alla fine solito giro di complimenti e dediche (dico "solito" perché è abbastanza comune alla fine di una presentazione letteraria, non perché ci sono abituato dall'alto della mia esperienza di Autore...), ma anche diverse occasioni di chiacchiere con gli ospiti (qualcuno conosciuto, qualcuno no) a proposito di fantascienza, libri, editoria, cibo, rugby (sì, mi hanno trascinato anche in quello), e personaggi locali, tutto molto colloquiale e distensivo.

Cosa posso trarre, stavolta, dalla prima presentazione del nuovo libro? Innanzitutto, DTS interessa, questo sì. Se consideriamo anche che l'ho venduto con l'abilità di una betoniera, è evidente che il contenuto del romanzo ha sicuramente un certo appeal. Nel pubblico erano presenti (pressappoco in egual misura) persone che lo avevano già letto e che non lo conoscevano, e l'interesse era alto per entrambi gli schieramenti. Le domande che abbiamo ricevuto (non solo io, anche l'editore) non sono quelle di circostanza per l'autore esordiente, ma ben studiate e circoscritte, stimolanti da ricevere. Di questo siamo rimasti molto contenti sia io che i miei mecenati di Zona 42. Certo, può anche darsi che il pubblico fosse filtrato dalla location stessa: la Miskatonic University è un tempio dedicato alla narrativa d'immaginazione, e davvero, se siete anche nel raggio di 100 km vale una visita, io ho passato almeno mezz'ora a frugare negli scaffali e alla fine da bischero che sono non mi sono deciso a prendere niente, ma ho visto titoli da salivazione molesta (che poi ho sfogato su ravioli di patate e gnocchi fritti, ma questo è un altro discorso), e una grande attenzione anche per l'underground italiano, con una buona rappresentanza di autori e case editrici di medio-piccolo livello. Quindi, se non siete venuti per DTS, andateci per centinaia di altri motivi più validi, mi raccomando.

In secondo luogo, è molto diverso parlare di un romanzo piuttosto che di un racconto (o una serie di), così come lo è scriverlo. Non dico più difficile o più faticoso, ma richiede un approccio differente, che ancora devo inquadrare... ma che sicuramente mi piacerà approfondire nelle prossime occasioni, che non dovrebbero mancare. Non so se mi studierò qualcosa di precotto da sfornare al momento, come il buon senso suggerirebbe, o mi butterò a improvvisare per tenere alta l'adrenalina, ma penso di poter migliorare da questo punto di vista.

Infine, devo riconoscere che il contatto diretto col pubblico è la cosa più bella di questo lavoro. DTS è piaciuto praticamente a chiunque l'abbia letto finora (non mi sto sbrodolando, riporto quanto mi è arrivato, magari chi gli è rimasto di traverso non me l'ha fatto sapere, o magari... retcon?), e questo mi fa piacere, ma non è niente in confronto alla possibiltà di parlare direttamente con qualcuno che ha condiviso lo stesso percorso, fare battute sul purè e su tutte le citazioni geek presenti nel libro, intendersi con mezze parole e strizzate d'occhio. Quindi alla fine i ringraziamenti vanno a chi è venuto ad ascoltarci e conoscerci, e ha avuto quella curiosità che io ho inviduato come unico requisito per poter leggere e apprezzare il mio libro. È stato un piacere e un onore, e spero ricapiti presto.

Alla prossima!

Coppi Night 01/03/2015 - Now You See Me

Ogni tanto ci provo a guardare un film su maghi e prestigiatori di qualche genere, ma dopo The Prestige  non esiste altro, nemmeno quel Illusionist con Edward Norton. Comunque, ho voluto provarci ancora, dando una possibilità a questo Now You See Me che evidentemente i traduttori italiani non sapevano come adattare, visto che hanno scelto la tipica insulsa formula del titolo originale + sottotitolo. Questo non mi ha messo nella disposizone migliore ad accogliere il film, ma va bene, proviamoci lo stesso. Come se stessi guardando uno spettacolo di magia, no, proviamo a vedere se mi sorprende davvero.

La risposta è no, e lo è per una serie di motivi ormai così ricorrenti nel cinema che mi sembra quasi una perdita di tempo farci un post. Ma ok, proviamoci, giusto per far capire che non sono io così pruriginoso, ma sono questo tipo di storie che mi scatenano l'orticaria. Seguiranno spoiler, ma spoiler del tipo buono, quelli che ti risparmiano di dedicare tempo a una schifezza, caro lettore.

Il film si basa su due assunti principali: la magia non esiste ma funziona, e lo spettatore deve essere ingannato. I protagonisti del film sono infatti quattro maghi/prestigiatori, che se all'inizio vengono soltanto mostrati come individui molto abili nei loro trucchetti, che siano un mazzo di carte, un portafoglio o un'ipnosi, man mano che si va avanti si impegnano in "trucchi" sempre più complessi, che chiaramente non possono essere frutto di semplice destrezza manuale, e che quindi sottintendono che la magia esista davvero, cosa che non viene mai detta, perché fin dall'inizio il mantra è "guarda da vicino, perché sarà più facile ingannarti". Quindi si tratta in effetti di trucchi, vero? E allora com'è possibile che i protagonisti siano in grado di eseguire delle chiare impossibilità fisiche (macchine alte quanto un uomo che compaiono da un paio di stracci volanti lanciati in aria, bolle di sapone anti-gravità) e in seguito inganni molto articolati in ambienti in cui non hanno alcun controllo, come un lungo insguimento su un ponte trafficato che è solo un depistaggio per un altra mossa ma che può funzionare solo se ogni singolo elemento (cioè ogni singola cazzo di auto) si trova nel posto giusto al momento giusto, roba che se uno mette la frecca per parcheggiare o un gatto attraversa la strada sono tutti morti. Siccome poi questi maghi fanno i birichini, e riescono pure a rapinare una banca in Francia (banca che normalmente tiene un bancale di soldi nemmeno ammazzettati in un caveau visitato quotidianamente dalla direttrice, e che evidentemente si trova così in prossimità di Las Vegas che i maghi hanno avuto il tempo di fare la rapina in Francia e tornare indietro con tre milioni di Euro prima che la banca aprisse, forse ci guadagnano col fuso orario?) e fottere i soldi dal conto del loro finanziatore (un Michael Cain assunto proprio per dare l'idea di stare guardando The Prestige, ma non ci si casca, grazie), che furbamente tiene tutti i suoi 144 milioni di dollari su un conto personale protetto da domande di sicurezza come il nome da nubile di sua madre e al quale è possibile accedere per versare i rimborsi della sua compagnia assicurativa che a quanto pare è una società semplice, non certo una società di capitali per cui i conti e il consiglio di amministrazione e la contabilità sono entità ben separate dalla proprietà ed è possibile fare versamenti su un migliaio di conti di disastrati dell'uragano Katrina a New Orleans di cui nel frattempo hanno già raccolto tutti i dati necessari per sapere quale fosse l'entità giusta del versamento da fare, e questo versamento è avvenuto per tutti nello stesso minuto, alla faccia dell'home banking. Uhm, mi sono perso, ma ricordando le varie fasi del film mi sono scaldato. Dicevo, è chiaro che la magia è solo un trucco, eppure funziona davvero perché i protagonisti fanno cose francamente impossibile o anche solo evitabili con un minimo di buon senso, come quando vengono presi in custodia per un interrogatorio e gli viene lasciato un mazzo di carte con cui giocare, ma srsly?, oppure quando il cadavere nella macchina incendiata non viene identificato per scoprire che non si tratta del maghetto del gruppo, chi l'avrebbe mai detto, eh? E non solo la magia funziona, ma anche l'ipnotismo, quello alla Giucas Casella del tipo "quando sentirai dire questa parola diventerai una gallina" e che si ottiene giusto con una pacca sulla spalla in meno di 4 secondi.

Questo campionario di stronzate basterebbe a far capire che il film è una porcata, ma non basta qui. Perché il film oltre a essere stupido è anche disonesto. Infatti, alla fine si scopre che l'agente dell'FBI che investigava sui maghi è in realtà il puppet master che teneva tutti nel sacco per un suo plot di vendetta dilazionato di 40 anni. Va bene, è il twist che non ti aspetti (yaaawn), how clever. Solo che. Solo che per tutto il film questo agente si è comportato come se effettivamente fosse un agente all'oscuro di tutto e in cerca di acchiappare i maghi. Ok, si dirà, ma fa parte del gioco fingere. È vero, ma fino a che punto? Perché in molte occasioni lui agisce in modo incoerente con le sue reali intenzioni anche quando è da solo. Ad esempio, a un certo punto Morgan Freeman (pure lui ha bisogno di pagare le bollette, poraccio...) gli mette la pulce nell'orecchio che la signorina francese dell'Interpol potrebbe essere la talpa che sta aiutando dall'interno i maghi. Ora, lui sa che questo non è vero perché è lui la talpa, ma nonostante questo poco dopo si comporta in maniera dura e sospettosa nei confronti di lei, anche se non c'è nessuno che assista a questa scena e che sappia della sua conversazione con Morgan. Oppure, com'è possibile che costruisca un piano così arzigogolato che però si regge su una serie di coincidenze assolutamente imprevedibili, come tutte quelle che si verificano nel corso dei vari inseguimenti? Ma se una di quelle merde di carte che il bischerello gli tira nel viso di piatto per tenerlo lontano gli si infilava nell'occhio e gli tagliuzzava il cristallino, che cazzo pensava di fare dopo? Eppure il piano è tutto suo, aveva previsto anche questo?

Insomma, la storia è incoerente, superficiale, incompleta e disonesta. È una schifezza sotto tutti i punti di vista, un grossolana ricerca al plot twist e allo stupore a tutti i costi, una corsa agli armamenti per livelli di plot convenience sempre più alti, e a dirla tutta anche abbastanza immorale sotto molti punti di vista, perché fa passare l'idea che rubare ai ricchi sia legittimo e che far piovere soldi sul proprio pubblico sia il modo più efficace per essere amati. E non vi ho detto nulla dell'ordine egizio di maghi sacri robinhoodici. Questo credo lo spiegheranno per Now You See Me 2, che davvero, lo farano, ma io spero di don't see, ne now never.

Non leggere per scrivere meglio

Mi è capitato diverse volte negli ultimi mesi di trovarmi coinvolto in conversazioni (principalmente all'interno di qualche grupppo facebook) in cui un autore o aspirante tale dichiara qualcosa del tipo "Non leggo molto perché voglio essere libero di trovare la mia ispirazione e non voglio farmi influenzare dalle idee di altri scrittori". Mi sembra interessante affrontare brevemente questo tema, e cercare di capire se questo approccio alla scrittura abbia senso o meno.

Per venire incontro agli standard SEO, riassumo in una parola il mio punto di vista, che poi argomenterò meglio: cazzata.

Cerco di dividere la mia analisi in due parti: cosa ne penso a livello personale e quali sono gli elementi obiettivi a favore della teoria. Per quanto mi riguarda, ritengo che la lettura sia uno dei compiti essenziali e inderogabili di uno scrittore. Se posso comprendere il fatto che, se si vuole dedicare il "tempo libero" alla scrittura, ne rimane sempre meno per leggere (anche se, come ho già detto in passato, il tempo per leggere lo si può sempre trovare), ma affermare chiaramente che non si vuole leggere è ben diverso. A me pare proprio assurdo che si possa pensare di essere in grado di scrivere senza aver bisogno di leggere. Leggere, per un autore, non è solo uno svago, è un'importantissima fase di documentazione e preparazione che tornerà utile in ogni progetto successivo. È un po' come per un falegname visitare un mobilificio, per un violoncellista assistre a un concerto, per un centometrista guardare le olimpiadi. Come si può pensare di raggiungere buon risultati nella propria "arte" senza confrontarsi con gli altri esponenti della stessa? Nella mia formazione di autore non sono del tutto sicuro di cosa si sia rivelato più importante: scrivere con frequenza e sottoporre i miei lavori al giudizio degli altri, o leggere i lavori degli altri e sottoporli al mio giudizio. Per convenzione diciamo 50 e 50, ma non ne sono così sicuro. Leggere le opere altrui è importante su due fronti diversi: i lavori degli autori "famosi" servono come riferimento qualitativo, per sapere cosa si trova sulla piazza e quale livello bisogna raggiungere per potersi proporre; i lavori degli autori al proprio livello invece (e chiaramente mi riferisco a un "autore emergente", anche perché non credo che Neil Gaiman voglia leggere i miei consigli di scrittura) servono invece per migliorare la propria tecnica a in modo più immediato: per ogni D eufonica che segnaliamo, o trama incomprensibile che ci passa davanti, diventiamo più abili a individuare le stesse cose nei nostri lavori.

Queste sono mie considerazioni personali, magari basate sulla mia esperienza e non necessariamente condivisibili. Ma c'è anche un altro aspetto più pragmatico che qualunque autore dovrebbe considerare. Scrivere narrativa significa trasformare delle semplici idee in storie. Questo è maggiormente vero per la narrativa di genere, che poi è l'ambiente che conosco e frequento, perché se potete anche arrivare in finale allo Strega* con il tema libero "Il mio cane", difficilmente potrete scrivere un buon racconto horror basandovi su quello che mangiate a colazione (e se invece è così, rivedete la dieta...). Le idee, purtroppo, non vengono in sogno, cioè, a volte sì, ma di solito non sono quelle più affidabili. Avete bisogno di esercitare quel muscoletto che avete nel cranio, renderlo flessibile e dargli qualcosa su cui lavorare. E leggere è l'esercizio migliore che esista, in questo senso. Anche in questo caso, aiuta in due modi: da una parte si possono trarre spunti da ciò che si legge, il che non vuol dire copiare le idee altrui, ma partire da quanto si legge per elaborare le proprie storie, senza nascondersi dietro l'originalità a tutti i costi, che tanto è già dimostrato che non esiste più, da Omero in poi; dall'altra parte, se non avete mai letto fantascienza, e pensate che la vostra idea per un racconto sia straordinaria e innovativa, è probabile che i primi sei lettori di fantascienza a cui la esponete vi citeranno sei libri diversi in cui è già stata usata. Cadere nel cliché più scontato è la peggior presentazione per qualunque nuovo autore, e il tonfo non è attutito dal fatto che era un'idea davvero davvero originale, nella testa di chi l'ha pensata (infatti sarebbe molto utile avere un team di Loriti per controllare tutte le illuminazioni).

Infine c'è anche chi dice che leggendo le opere altrui si contamini il proprio stile e non sia possibile trovare la propria voce. Anche questo è assurdo, pressappoco per le stesse ragioni di sopra, e anche perché è chiaro che se dopo aver letto King vi viene da scrivere come King, magari dopo aver letto King, Ballard, Eco, Stross e Rowling, non sarà così facile uniformarsi allo stile di un autore in particolare e si dovrà necessariamente crearne uno tutto proprio, anche incosapevolmente.

Alla luce di tutto questo, mi viene da pensare che l'idea di non voler leggere al fine di mantenersi puri nella scrittura può derivare da due tendenze. Una è la scarsa confidenza con la lettura e la scrittura, da cui deriva la convinzione che possano essere due cose indipendenti: una tesi miope ma giustificabile per chi ancora deve trovare la sua strada. Al contrario, sospetto che molti mascherino con questa giustificazione la loro chiusura a qualunque tipo di "arte" che non sia la propria, diretta conseguenza di un ego sproporzionato e probabilmente di troppe o troppo poche sculacciate prese durante l'infanzia.



*posto che abbiate 500 copie da regalargli, beninteso