Sapevamo che sarebbe arrivato ma questo non lo ha reso più facile. Il momento in cui il Dodicesimo Dottore di Peter Capaldi ha ceduto il passo alla successiva incarnazione del personaggio a Jodie Whittaker, la prima donna a interpretare il ruolo. In più, questo era l'ultimo epsiodio sotto il controllo di Steven Moffat come showrunner, che ha indirizzato la serie per le ultime sei stagioni. Twice Upon a Time è quindi un episodio cruciale sotto molti punti di vista, non solo perché è un episodio che contiene la rigenerazione del Dottore, ma anche perché è un momento di svolta importante per la serie nel suo complesso.
Si sono fatte molte speculazioni su come questa storia di compresenza tra il Primo e il Dodicesimo Dottore (entrambi reduci da un combattimento con i cybermen, entrambi al polo sud, entrambi in procinto di rigenerarsi) si sarebbe svolta. Uno dei punti chiave della vicenda è stato colto pressoché da chiunque, anche perché dalle ultime battute del finale di stagione si poteva anticipare: entrambi i Dottori rifiutano di rigenerarsi, e cambieranno idea dopo gli eventi di questo episodio, una volta compreso che è importante cambiare. Anche un'altra teoria ricorrente si è rivelata corretta, quella che il soldato della Prima Guerra Mondiale (Mark Gatiss) che affianca i due fosse un antenato del brigadiere Lethbridge-Stewart, ma questo era quasi un easter egg, non un punto essenziale della trama: fosse stato chiunque altro, non sarebbe cambiato niente. Una delle ipotesi più gettonate era che i due Dottori avrebbero preso parte al salvataggio di Gallifrey visto in The Day of the Doctor, ma questo non è successo. Di fatto, non c'è stato nessun combattimento e nessun nemico da combattere, anzi: quella che sembrava inizialmente la minaccia si è rivelata poi una fazione con un obiettivo quanto meno condivisibile. Abbiamo quindi un episodio lento, riflessivo, portato avanti dai numerosi dialoghi tra i vari personaggi piuttosto che dall'azione. E per quanto anomalo, viste le cirocstazione eccezionali di questa puntata, si riesce ad accettarlo.
Non tutto però funziona come dovrebbe. Forse quello che sulla carta appariva intenso e profondo non è venuto fuori come previsto. La mancanza di scene di azione (a parte qualche breve fuga) fa incespicare lo svolgersi della trama, di cui non si capisce quando si arriva al climax. Il Primo Dottore è interpretato con cura magistrale da David Bradley, che riesce a renderne in modo quasi perfetto la parlata e l'atteggiamento, ma il personaggio è scritto al limite del macchiettistico, e la gag del suo sessismo da anni 60 si trascina un po' troppo. La comparsa di Bill (vera o simulata che sia) appare un po' forzata e in ultima analisi non così necessaria... sembra che l'abbiano voluta inserire perché ormai l'avevano pagata per tutta la stagione, e allora tanto vale mettercela, quando la sua chiusura in The Doctor Falls era più che sufficiente. Tra tutti, è sicuramente il personaggio di Mark Gatiss (sempre più apprezzabile come interprete che come autore, vedi Sleep No More): un soldato nobile, altruista, pronto al sacrificio ma anche alla compassione, uno spiraglio di umanità davvero rincuorante. Anche se il modo in cui compare nella storia è piuttosto artificioso, concede l'occasione per una commovente cronaca della tregua di Natale durante la prima guerra mondiale. Infine, il percorso che porta il Dodicesimo Dottore ad accettare la rigenerazione non è così esplicito. Sembra anzi che gli eventi vissuti abbiano convinto più il Primo, mentre non si riconosce il momento in cui anche il Dodicesimo capisce che è giusto cambiare e andare avanti. Quando saluta per l'ultima volta i suoi companion (Bill, Nardole e Clara, di cui ha riacquisito i ricordi dopo averli persi alla fine della nona stagione) vediamo ancora un uomo sofferente e stanco.
Molto probabilmente questo episodio è stato costruito intorno a Peter Capaldi, infatti gli sono concesse diverse occasioni per i suoi monologhi. Anche il discorso finale, rivolto alla sua prossima incarnazione, è estremamente teatrale nei tempi e nella scelta delle parole, un'ultima occasione per l'attore di dimostrare le sue capacità. Per questo l'enfasi maggiore è data ai suoi momenti di intimità e riflessione, che sono sempre stati quelli in cui Capaldi si è distinto e, diciamo la verità, ha spiccato rispetto a tutti gli altri Dottori dell'era moderna.
Twice Upon a Time è anche farcito di easter egg, citazioni che attingono dal passato recente e remoto della serie. Dai più ovvi richiami al Primo Dottore, con quello che è sicuramente il "previously on" più lungo della storie della televisione, a riferimenti anche più sottili al Nono, Decimo e Undicesimo, suggeriti anche dall'utilizzo di temi musicali che non si sentivano da tempo. E come in molti altri casi, la scrittura di Moffat è anche metatestuale e indugia non solo sul Dottore in-universe ma anche sulla serie in quanto tale. Quando Bill dice che la cosa più difficile da fare dopo aver conosciuto il Dottore è lasciarlo andare, la sua frase ha almeno tre diversi livelli di lettura.
Ed è proprio questo lasciarsi andare, o meglio, lasciar andare il Dottore, come se fosse un ruolo che altri dovranno ricoprire (cosa che, out-universe, è vera) che giunge infine come consapevolezza e permette al Dottore (di ora) di rigenerarsi nel Dottore (di dopo), non senza qualche raccomandazione essenziale. Laugh hard. Run fast. Be kind.
Forse non è la rigenerazione più spettacolare che si sia vista, ma è perfetta per il personaggio che abbiamo conosciuto negli ultimi anni, serio, riflessivo. Quello del Dodicesimo Dottore è stato un arco di crescita personale, molto più dei precedenti, e magari su questo tornerò con un post più specifico per esaminare qual è stato il suo percorso. È stato un bel viaggio, e anche se non è finito col botto, ha raggiunto la conclusione più appropriata.
Ho sempre affrontato il cambio di Dottore con spirito positivo e curiosità, ma so già che Capaldi mi mancherà molto, e che sarà difficile trovare un altro interprete così valido per un personaggio tanto sfaccettato.
Non tutto però funziona come dovrebbe. Forse quello che sulla carta appariva intenso e profondo non è venuto fuori come previsto. La mancanza di scene di azione (a parte qualche breve fuga) fa incespicare lo svolgersi della trama, di cui non si capisce quando si arriva al climax. Il Primo Dottore è interpretato con cura magistrale da David Bradley, che riesce a renderne in modo quasi perfetto la parlata e l'atteggiamento, ma il personaggio è scritto al limite del macchiettistico, e la gag del suo sessismo da anni 60 si trascina un po' troppo. La comparsa di Bill (vera o simulata che sia) appare un po' forzata e in ultima analisi non così necessaria... sembra che l'abbiano voluta inserire perché ormai l'avevano pagata per tutta la stagione, e allora tanto vale mettercela, quando la sua chiusura in The Doctor Falls era più che sufficiente. Tra tutti, è sicuramente il personaggio di Mark Gatiss (sempre più apprezzabile come interprete che come autore, vedi Sleep No More): un soldato nobile, altruista, pronto al sacrificio ma anche alla compassione, uno spiraglio di umanità davvero rincuorante. Anche se il modo in cui compare nella storia è piuttosto artificioso, concede l'occasione per una commovente cronaca della tregua di Natale durante la prima guerra mondiale. Infine, il percorso che porta il Dodicesimo Dottore ad accettare la rigenerazione non è così esplicito. Sembra anzi che gli eventi vissuti abbiano convinto più il Primo, mentre non si riconosce il momento in cui anche il Dodicesimo capisce che è giusto cambiare e andare avanti. Quando saluta per l'ultima volta i suoi companion (Bill, Nardole e Clara, di cui ha riacquisito i ricordi dopo averli persi alla fine della nona stagione) vediamo ancora un uomo sofferente e stanco.
Molto probabilmente questo episodio è stato costruito intorno a Peter Capaldi, infatti gli sono concesse diverse occasioni per i suoi monologhi. Anche il discorso finale, rivolto alla sua prossima incarnazione, è estremamente teatrale nei tempi e nella scelta delle parole, un'ultima occasione per l'attore di dimostrare le sue capacità. Per questo l'enfasi maggiore è data ai suoi momenti di intimità e riflessione, che sono sempre stati quelli in cui Capaldi si è distinto e, diciamo la verità, ha spiccato rispetto a tutti gli altri Dottori dell'era moderna.
Twice Upon a Time è anche farcito di easter egg, citazioni che attingono dal passato recente e remoto della serie. Dai più ovvi richiami al Primo Dottore, con quello che è sicuramente il "previously on" più lungo della storie della televisione, a riferimenti anche più sottili al Nono, Decimo e Undicesimo, suggeriti anche dall'utilizzo di temi musicali che non si sentivano da tempo. E come in molti altri casi, la scrittura di Moffat è anche metatestuale e indugia non solo sul Dottore in-universe ma anche sulla serie in quanto tale. Quando Bill dice che la cosa più difficile da fare dopo aver conosciuto il Dottore è lasciarlo andare, la sua frase ha almeno tre diversi livelli di lettura.
Ed è proprio questo lasciarsi andare, o meglio, lasciar andare il Dottore, come se fosse un ruolo che altri dovranno ricoprire (cosa che, out-universe, è vera) che giunge infine come consapevolezza e permette al Dottore (di ora) di rigenerarsi nel Dottore (di dopo), non senza qualche raccomandazione essenziale. Laugh hard. Run fast. Be kind.
Forse non è la rigenerazione più spettacolare che si sia vista, ma è perfetta per il personaggio che abbiamo conosciuto negli ultimi anni, serio, riflessivo. Quello del Dodicesimo Dottore è stato un arco di crescita personale, molto più dei precedenti, e magari su questo tornerò con un post più specifico per esaminare qual è stato il suo percorso. È stato un bel viaggio, e anche se non è finito col botto, ha raggiunto la conclusione più appropriata.
Ho sempre affrontato il cambio di Dottore con spirito positivo e curiosità, ma so già che Capaldi mi mancherà molto, e che sarà difficile trovare un altro interprete così valido per un personaggio tanto sfaccettato.