Rapporto letture - Aprile 2018

Il rapporto letture del mese scorso è stato molto frugale, perché come ho spiegato buona parte del mese di marzo è stata occupata dalla lettura di un volume consistente che ho finito i primi giorni di aprile. Ora ne possiamo finalmente parlare.

Una lettura che ho rimandato fin troppo, uno di quei libri che cambiano il modo in cui ragioni. Godel, Escher, Bach. Un'eterna ghirlanda brillante è un'opera che, per quanto incompleta, segna un punto importante nell'evoluzione della scienza umana. Non tanto perché propone idee rivoluzionarie, quanto perché riesce a riassumere e collegare tra loro campi della conoscenza che spesso consideriamo separati e inconciliabili: musica, logica, matematica, programmazione, genetica, neuroscienza, linguaggio, filosofia, arte. Prima di averlo letto si fatica a concepire il modo in cui Douglas Hofstadter possa intrecciare tra loro (il titolo originale usa proprio il termine braid, treccia) temi e argomenti così distanti, eppure lo fa con estrema naturalezza e salvo qualche capitolo più tecnico relativo ai sistemi formali, riesce a risultare accessibile anche a chi non è un esperto di nessuna di queste materie.  Nonostante siano novecento pagine belle dense, la lettura è appassionante e scivola via davvero senza nessuno sforzo. Immagino anche che sia stato un lavoraccio tradurlo, data l'abbondanza di giochi di parole, tra acrostici, doppi sensi e calembour. Mi pare comunque che la versione italiana abbia ottenuto davvero un ottimo risultato, considerando le molteplici sfaccettature presenti. Questo libro mi ha letteralmente aperto la mente su numerose strade che non sapevo di poter percorrere, e in alcuni casi mi ha aiutato a comprendere meglio cose di cui avevo una conoscenza superficiale e che adesso posso interpretare in un'ottica più profonda: dal teorema di Godel (punto di partenza di una delle mie storie più care, su cui ho intenzione di tornare a lavoro), fino alla filosofia zen, che è una delle chiavi di lettura più importanti del gioco The Witness. Forse è un mio limite, quello di leggere poco al di fuori della narrativa, e questo libro mi ha messo voglia di scoprire altri saggi di questo genere. Ma temo che difficlmente troverò qualcosa dello stesso livello.


Dopo questa folgorazione ho deciso di concedermi un (altro) premio, e sono andato a scegliere uno di quei libri che tenevo in lista di lettura da parecchi anni. Si tratta de Il grande notturno, l'ultimo libro delle ormai leggendarie Edizioni XII che mi era rimasto da leggere. Un romanzo horror di Ian Delacroix, che parte come una storia di zombie a Milano, poi assume la forma di una favola dark, reinterptazione del pifferaio magico, e inifne vira in un excursus storico che ricorda Intervista col vampiro. La storia nel complesso funziona, ma ho trovato una certa difficotlà a individuare un personaggio principale a cui legarmi. È evidente che l'autore ha voluto giocare proprio su questo aspetto, presentando diversi potenziali protagonisti per sovvertire poi le aspettative, alla lunga però questo meccanismo penalizza proprio il lettore. La lunga "origin story" che costituisce la parte centrale del libro forse avrebbe potuto essere più breve, proprio perché si capisce fin da subito come andrà a finire. La scrittura invece si mantiene sempre puntuale, efficace, e in certe parti davvero evocativa. Un buon lavoro con qualche margine di miglioramento. Voto: 7/10


Rimaniamo sugli autori italiani, ma saltando avanti di qualche anno. Stefano Paparozzi è un giovane autore (beh, oddio, è mio coetaneo, e io non è che mi senta così giovane ormai) che finora ha scritto poco ma ha sempre azzeccato. Qui sul blog si trova già qualche commento alle sue storie apparse in giro. Paparozzi è anche il terzo scrittore italiano pubblicato da Zona 42, dopo me e Alessandro Vietti. Ed è anche in questo caso una scommessa, dato che appunto si tratta di un autore "esordiente"; doppiamente scommessa se si considera che il suo Madre nostra sfida la definizione del genere. Zona 42 si propone come editore di fantascienza, ma ha già dimostrato di saper uscire dai paletti tradizionali del genere, e qui lo fa in modo palese. Il romanzo di Paparozzi è il diario di una ragazza, o forse una bambina, rimasta incinta "miracolosamente" a dodici anni. Seguiamo Miriam nel corso dei dodici anni successivi, cadenzati da successive gravidanze senza padre. Non si tratta però della storia di una Maria di Nazaret dei giorni nostri. Per quanto infatti la gravidanza e il culto che si sviluppa alla protagonista si auno dei temi principali, in realtà il vero nucleo della storia è un altro: la crescita, la comprensione di sé. Conosciamo Miriam poco più che bambina, la vediamo cambiare opinioni, lessico, schemi mentali, priorità, comportamenti. La vediamo sempre e solo attraverso il filtro che lei stessa applica alla realtà, ma questo è sufficiente, perché è Miriam stessa a rendersi conto del cambiamento che si porta dietro e dentro. C'è molto altro, naturalmente, perché da una premessa del genere non si può evitare qualche riflessione su scienza e religione, così come sulla sessualità e ciò che essa comporta per una persona. Ma c'è anche posto per il distacco, la sofferenza, la morte. A mio avviso la storia si fa davvero concreta verso i due terzi, quando Miriam ormai adulta (o comunque cresciuta in fretta), inizia a mettere insieme i pezzi di se stessa e prendere delle decisioni autonome. Forse non sempre decisioni giuste, ma sono autentiche e lei è pronta a sopportarne le conseguenze. Alcuni capitoli, verso la fine, sono davvero forti, e li ho letti con fatica, non perché fossero difficili o pesanti da seguire, ma perché mi toccavano forse troppo nel profondo, pizzicando corde che cerco di mantenere sempre immobili. D'altra parte, il buon Paparozzi mi cita nei ringraziamenti finali perché la lettura di DTS gli è stata di stimolo a scrivere il suo romanzo, per cui qualcosa avrà pur imparato, no? Ottima prova, come sempre vista lunga di Zona 42 e autore da tenere d'occhio (cosa che già pensavo ma che adesso posso confermare). Voto: 8/10


E per chiudere il mese sono tornato ad attingere al catalogo di Future Fiction, stavolta con un'autrice di origini indiane, Vandana Singh. Entanglement è un racconto lungo, una storia corale in cui seguiamo protagonisti diversi in giro per il mondo, ognuno con la sua storia più o meno personale, un piccolo tassello di un mosaico che solo alla fine si rivela nella sua completezza. L'entanglement del titolo, mai citato direttamente, è quel legame inafferrabile che esiste tra tutte le cose, tra tutte le vite, non solo quelle umane: una concezione olistica che ci avvicina tutti e che la tecnologia potrebbe aiutarci a rendere più solido. Una storia in fondo ottimistica, che nonostante le grandi colpe che ci portiamo addosso come specie riesce a dare valore a quanto di buono ancora possiamo fare, non solo per noi ma per l'intero pianeta che occupiamo. Voto: 7.5/10

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