Alessandro Vietti - Real Mars

Prima di passare al commento vero e proprio, è doverosa una premessa da parte mia. Quando qualche mese fa ho saputo quale sarebbe stato il secondo autore italiano pubblicato da Zona 42, mi è subito montata una vorace curiosità di leggere il suo testo. Non per spirito di competizione, per poter dire "ah, ma il mio era meglio", ma perché conoscendo la linea della casa editrice ero sicuro che avrei trovato qualcosa di stimolante. Questo perché l'idea di fondo (da me condivisa) è quella di approcciarsi alla "fantascienza italiana" senza pregiudizi, né negativi né positivi. È una storia vecchia, quella che vuole gli autori italiani incapaci di proporre testi validi di fantascienza, che però negli anni ha attecchito e ha portato in molti casi a uno svilimento delle opere stesse (da parte di editori e autori), a un accontentarsi dell'uovo di oggi perché tanto siamo italiani e la gallina domani non ci toccherà mai. Eppure di buona sf made in italy ne esiste parecchia, e forse negli ultimi tempi qualche segnale positivo sta emergendo. Ecco perché ero tanto curioso: volevo sapere che cosa avesse il romanzo di Alessandro Vietti di così particolare da poter attirare l'attenzione degli Z42, che già col mio Dimenticami Trovami Sognami hanno voluto scommettere su un testo non proprio inserito nel solco di quella che comunemente si considera "fantascienza italiana".

E Real Mars qualcosa di notevole lo ha, questo è evidente. L'idea da cui parte la storia è quasi banale nella sua semplicità: in un'epoca in cui le agenzie spaziali faticano a trovare i fondi per i loro progetti, perché non finanziare una spedizione su Marte grazie a un reality show in diretta mondiale e centinaia di sponsor? Si esita quasi a considerare questa premessa come fantascientifica, perché si tratta probabilmente di una formula che qualcuno ha già studiato e forse proporrà al mondo nel giro di qualche anno. Nasce così il Mars Channel, nove canali per oltre 20.000 ore di trasmissione e un primetime settimanale in collegamento con la Europe 1. I protagonisti del libro sono ovviamente i quattro astronauti a bordo della navicella in rotta per il Pianeta Rosso, come d'altra parte sono i protagonisti dello stesso reality (ognuno ha un canale dedicato che lo segue continuamente): il russo tutto d'un pezzo, l'italiano guascone, la francese isterica e la tedesca sellerona. Ma come la storia dei reality ci ha insegnato, l'attenzione non si limita mai ai personaggi e al presente: spuntano allora mogli, sorelle, fidanzati, ognuno pronto al suo quarto d'ora di notorietà, e un esercito di addetti, esperti, opinionisti, persone informate sui fatti, tutti ansiosi di poter dire la loro sul più grande evento mediatico della storia.

Ma non è solo questo. Perché dall'altra parte dello schermo ci siamo noi, le "persone comuni", quelle che seguono giornalmente (dietro sottoscrizione di abbonamento, beninteso) le avventure, le relazioni, ma anche le più normali operazioni quotidiane dei quattro eroi. Ed è forse questo popolo di sonosciuti a fornire la chiave di lettura più interessante del romanzo, perché è in loro che ci si riconosce, nel modo semplice in cui reagiscono alle emozioni di Real Mars, per quanto queste possano essere subdolamente indotte dagli autori del programma. Può essere soltanto una chiacchierata in autobus, ma anche una distrazione di troppo o un fucile abbassato, o può essere il mondo intero che tiene il fiato sospeso per una manciata di secondi. Viene fin troppo facile pensare che quel quinto membro dell'equipaggio profetizzato fin dal lancio della missione sia in fin dei conti lo spettatore. L'identificazione si completa quando vediamo comparire sullo schermo/pagina personaggi noti o archetipi televisivi fin troppo riconoscibili (la bella presentatrice spagnola, il monsignore indignato, la medium drag queen), oltre agli onnipresenti sponsor che fanno capolino (proprio come in tv) nel bel mezzo della narrazione.

Real Mars si muove anche sul piano metatestuale, quando arriva a parlare dei mezzi di comunicazione dall'interno di un mezzo di comunicazione che simula altri mezzi di comunicazione, e probabilmente non è un caso che la storia si concluda quando le telecamere di bordo smettono di trasmettere. C'è chiaramente un sottotesto satirico nei confronti della spettacolarizzazione e realityzazzione di ogni cosa, ma bisogna riconoscere che non si tratta di una critica pesante, non c'è nessun anatema lanciato nei confronti dei media che stanno distruggendo la nostra percezione della realtà, soltanto una serena presa di coscienza delle conseguenze di un mondo perennemente sintonizzato. Inoltre l'intero testo è pervaso di una sottile ironia, mai troppo esplicita ma sempre presente, spesso appesa a una singola parola. In questo bisogna riconoscere la notevole abilità di Vietti, che riesce a far sorridere quasi en passant, salvo poi tornare indietro a rileggere quella frase e capire che sta dicendo anche altro e di più. Ne risulta alla fine un romanzo ricco, variegato, ma di facile lettura, accessibile a chiunque, anche e soprattutto a quelli che per la fantascienza non hanno particolare interesse e forse nemmeno nozione.

Ricollegandomi alla premessa iniziale, posso quindi dire che anche questa è stata una scelta azzeccata per Zona 42, e sono sicuro che il romanzo di Alessandro Vietti riuscirà a far parlare di sé. Fossi in lui, peraltro, mi affretterei a registrarlo come format, prima che capiti nelle mani di qualcuno della Endemol®.

1 commento:

  1. Ho appena finito il romanzo. Vietti si conferma dotato di talento, ottima capacità narrativa, e un inconfondibile cinismo critico che è la sua firma autoriale. Questo romanzo rappresenta secondo me una crescita su tutti i fronti citati, in particolare per la bella scrittura, essenziale ed efficace. A mio parere la storia patrte bene, anzi benissimo, i personaggi sono pefettamente descritti, la storia prende, ma poi il tratto del "reality" finisce per diventare eccessivo, pesante rispetto alla storia "fantascientifica" che forse, dopo la partenza un un'ambientazione tanto geniale, avrebbe offerto ben altri spunti narrativi. Questa può essere stata una scelta, che però, a mio avviso, ha avviluppato la narrazione in un condensato di crescente odio per la TV che ha infine generato la necessità di uscirne in un modo, quello del finale, che mi ha lasciato un po' di delusione addosso. Anzi molta. Ho quindi trovato il finale piuttosto monco, e intriso di un pessimismo che va molto oltre il "cinismo critico" e finisce per diventare esistenziale. Troppo.

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