Non so se vi ricordate che qualche tempo fa ho annunciato che presto (
relativamente presto)
avrei iniziato a pubblicare interviste su
Unknown to Millions. Il proposito è ancora attivo, e sono in attesa di ricevere le risposte di due-tre personaggi, per lo più in ambito musicale, come avevo detto era mia intenzione di indirizzare la rubrica. Ma la mia idea era comunque di dedicare uno spazio a quei personaggi un po' nascosti che fanno un gran lavoro, chiaramente negli ambiti di cui mi interesso.
È per questo che tra gli altri avevo pensato di richiedere un'intervista anche a
Parallàxis, la rivista di narrativa di genere che tanto
mi aveva colpito a Stranimondi, al punto da propormi io stesso per la pubblicazione e ottenerla con il
numero 4, uscito a fine 2015. Nel frattempo avevo già chiesto alla redazione (di cui alcuni membri ho conosciuto personalmente proprio durante il festival milanese), la disponibilità per l'intervista, che mi è stata accordata, con tutta la calma del caso (io stesso ci ho messo forse un mese per metterla insieme).
Solo che la calma non è di questo caso, perché il progetto Parallàxis era forse troppo ambizioso per questo mondo. Ho appreso così pochi giorni fa che è stata decisa la chiusura della rivista, o per lo meno la sua sospesione a tempo indeterminato. Al tempo stesso, mi è stato chiesto di pubblicare comunque l'intervista, inquadrata così come una retrospettiva del lavoro svolto, e un modo per tirare le fila e ringraziare quanti hanno seguito il progetto.
Questo comporta che alcune domande possano risultare un po' surreali, lette adesso con il senno di poi, ma non per questo meno interessanti nel delineare quest'esperienza ormai conclusa. L'intervista viene
pubblicata in parallelo sul sito di Parallàxis, sempre come commiato finale. A rispondere sono, a turno,
Sara dell'Oca,
Giordano Bernacchini e
Giorgio Majer Gatti (ognuno indipendentemente, ignorando le risposte degli altri), che hanno curato nei vari aspetti la rivista insieme a
Tommaso Marzaroli e
Francesco Testoni.
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La domanda di apertura forse è scontata, ma credo che in questo ambito sia inevitabile. Perché aprire una rivista di narrativa, in questo periodo di oscuramento culturale? E già che ci siamo, io sono fissato con titoli e nomi, quindi sono curioso di sapere perché avete chiamato la rivista "Parallàxis". Anche il payoff della "a twist in the mind" mi sembra molto significativo, e se lo interpreto bene rappresenta in modo efficace quello che si cerca in un certo tipo di narrativa (e non solo quella). Cosa ci potete dire in merito?
Giordano: Il nome della rivista e il payoff vengono da Francesco, che è l’ideatore di Parallàxis. Venendo alla nascita di Parallàxis, è avvenuta perché la narrativa e la letteratura accomunano tutti noi redattori e, dato l’invito di Francesco, è stato semplice incontrarci su questo progetto che, guardando al mercato editoriale di certi generi letterari, aveva l’ambizione di colmare un vuoto a certe domande, ma questo è stato un po’ meno semplice.
Sara: Proprio perché siamo in tempi cupi era necessario aprire una rivista del genere. Parallàxis è nata col l'esigenza di colmare un vuoto o meglio, come mi piace pensare, per creare dei ponti tra prospettive narrative differenti, come si può notare proprio per l'impostazione stessa della rivista.
Giorgio: Credo sia accaduto perché c’erano un’idea embrionale e degli amici di vecchia data con una qualche sensibilità per la letteratura, la fotografia e la saggistica; il resto l’ha fatto il caso. L’incontro tra Francesco e Tommaso (che è editore-redattore), è stato casuale. Da lì tutto ha iniziato a prendere una sua forma, in poco tempo ci siamo ritrovati la rivista tra le mani. I nomi sono tutti dovuti a Francesco, e sono tutti azzecati. Sul perché «Parallàxis» però rimarrà un certo alone di mistero.
Mettere insieme e dirigere una rivista, per quanto sostanzialmente aperiodica, è sicuramente un impegno non da poco, e richiede organizzazione e competenza. Nella vostra redazione c'è qualcuno che proviene da esperienze simili, e ha quindi potuto dare il suo apporto in questo senso, o vi siete dovuti "inventare" redattori? E come si svolge, a grandi linee, il lavoro dietro le quinte di Parallàxis?
Giordano: Collaborando da diversi anni con un magazine che si occupa di arte e comunicazione visiva, conoscevo già da vicino l’ambito redazionale (per quanto differente da quello di una rivista letteraria) e questo mi ha aiutato; così come mi ha aiutato aver partecipato all’editing di un volume edito da Mudima. Per il resto, per la maggior parte delle mansioni da svolgere all’interno di una redazione, però, ho dovuto testarmi e imparare, man mano che sorgevano problematiche o attività da svolgere.
Sara: Io mi sono dovuta inventare redattrice, sotto l'impulso di Francesco (vorrei cogliere l'occasione per ringraziarlo) che mi ha spinta a entrare dietro le quinte del progetto. Il lavoro dentro Parallàxis è parecchio e si sviluppa in tempi diversi: le traduzioni richiedono un lavoro di mesi, mentre, come si sa, i social vanno seguiti quotidianamente, anche se hanno bisogno di ragionamenti alle spalle. Sotto chiusura del numero il lavoro si intensifica molto e va a coprire gran parte della giornata, questo anche per il fatto che siamo molto orientati al confronto con tutti i membri della redazione. Abbiamo sempre cercato di dividerci i compiti e di venire incontro agli impegni di ognuno, in modo da poter incastrare il tutto.
Giorgio: Ho avuto qualche esperienza editoriale pregressa, ma nulla che valga la
pena di ricordare. Non avendo mai creduto negli articoli "culturali",
più o meno generalisti, il mio contatto con questo tipo di cose è stato
fallimentare. Tutto quello che ho fatto per Parallàxis l’ho imparato
proprio facendo Parallàxis, dedicando molto tempo ai vari livelli
implicati nella produzione, gestione e comunicazione di una rivista del
genere.
Una cosa interessante della rivista è che vi occupate direttamente della traduzione dei testi stranieri, in alcuni casi anzi traducete da capo opere di cui esisteva già una trasposizione precedente. Perché questa scelta così radicale?
Giordano: Perché non potevamo permetterci di acquistare i diritti della traduzioni. E quest’attività, questa fatica gratuita, fa parte e ben rappresenta quello che è Parallàxis, fuori da ogni retorica, il suo venire dal basso
Sara: Non esistono traduzioni, e non esisteranno mai, traduzioni definitive e perfette. Cerchiamo, attraverso il nostro lavoro, di dare nuova visibilità a racconti o saggi che per vari motivi ci hanno colpiti o che riteniamo interessanti da proporre. È anche una grande occasione, per il traduttore, di entrare a stretto contatto sia col testo che con l'autore e penso che dalla lotta appassionata tra lingua d'origine e italiano siamo riusciti a offrire traduzioni non perfette, non definitive, ma sicuramente buone e affidabili.
Giorgio: Si è costretti a fare “di necessità virtù”, e qualche volta (direi quasi mai) viene fuori qualcosa di buono. Nel tempo è maturata una sensibilità particolare per il lavoro di traduzione che all’inizio era contemplata solo per gli inediti. Sara poi ci ha portato nel mondo “tetesco”, e da lì si è pensato a Kafka, che dobbiamo interamente a lei. Poi, volendo essere brutali ma sinceri, tocca dire che in giro ci sono ottime traduzioni, ma anche tante traduzioni di merda, quindi ritradurre è un po’ andare contro il taken for granted. Detto questo, è inutile ricordare che le novità non sono per forza meglio delle cose già fatte (insomma, chi vi pone l’alternativa tra passatismo e innovazione è solo uno stronzo: iniziate a lavorare e poi si vede).
Nella rivista si trovano affiancati racconti recenti, anche di autori giovanissimi, e racconti invece più datati, anche di autori che ormai sono dei "classici", penso ad esempio a Kafka e Basile. Come riuscite a far convivere queste due tendenze in apparenza antitetiche?
Giordano: Semplicemente pubblicandoli nello stesso volume, a poche pagine di distanza, partendo dal presupposto che, come noi proviamo dell’interesse, secondo differenti parametri, sia verso Kafka che verso Kraushaar, lo stesso possa accadere per un nostro lettore.
Sara: Ritorno un po' al discorso della creazione di ponti che facevo prima: per quanto mi riguarda uno degli obiettivi di Parallàxis è proprio quello di superare le eventuali barriere esistenti tra un genere e l'altro o tra un autore e l'altro. Il lettore, penso, può così godersi un'esperienza sì ricca ma imprevedibile. In molti ci hanno chiesto cosa ci facessero Kafka o Basile nella nostra rivista. È il famoso twist in the mind?
Giorgio: La coesistenza è un problema in generale nelle nostre vite, perché
grazie ai social e alla messaggistica siamo tutti "più connessi", quindi
ci stiamo tutti più sul cazzo, almeno potenzialmente. Per me
l’accostamento tra autori così diversi non è nient’altro che questo: una
boutade che può finire bene o male, uno scherzo alla Borges.
Mi vien da ridere se penso a tutte le giustificazioni teoriche che
potrei utilizzare su questo tema… sarebbero anche coerenti, ed è questo
il bello…
Parallàxis non contiene solo narrativa, ma anche saggistica, nelle pagine nere che chiudono ogni volume. È una scelta coraggiosa, quella di includere pubblicazioni accademiche attuali sugli argomenti più vari. Anche in questo caso, perché avete scelto questa strada insolita, e in che modo seguite e selezionate i saggi da inserire?
Giordano: L’ambizione era quella di favorire il rilancio del saggio breve attraverso l’accostamento e la contaminazione della narrativa. Nei fatti è stato più complicato di quel che credevamo, perché il lettore di saggistica non sempre è sovrapponibile al lettore di narrativa (tanto più dei nostri generi). La scelta dei saggi non ha seguito una regola ferrea: in alcuni casi è stata suggerita dalle tematiche emerse nei racconti del numero, altre volte ritenevamo adatto un saggio nonostante apparentemente non fosse ricollegabile ai racconti.
Giorgio: Perché non presupponiamo che i nostri lettori siano in un modo o
nell’altro (imbecilli, geniacci, markettari…), e dunque ci interessava
diffondere qualche saggio interessante, dandolo in pasto al caso. Se
esiste l’analfabetismo funzionale non è perché "ha stato il sistema…" e
neanche perché c’è carenza di materiale buono che dovremmo imparare a "selezionare". Questo è lo schema di una società della memoria che sta
sparendo. Il problema è l’incontro tra una concezione della cultura come
memoria e senso di colpa e il bombardamento ingestibile di "contenuti"
insignificanti, cioè tutti quelli che servono al marketing culturale. I saggi li abbiamo selezionati chiedendo contributi qua e là a
professori, saggisti (che in più di un caso non ci hanno nemmeno
risposto, e si parla anche di “grandi” idolatrati) ecc. oppure
scandagliando riviste scientifiche, siti, vecchie edizioni. Forse il
filo conduttore dei saggi pubblicati è quello dell’imprevedibilità… e
forse è così perché siamo tutti tremendemente prevedibili e ripetitivi,
nonostante ognuno di noi pensi sempre e costantemente il contrario di sé
stesso.
Ammetto che una delle cose che mi ha colpito di più della rivista è la sua presentazione, la cura del volume, le copertine, il layout, l'impaginazione e anche il font utilizzato. È evidente che non si tratta soltanto di scelte stilistiche ma di un vero e proprio progetto di design. In questo senso assumono un grande valore anche le raccolte di scatti presenti in ogni numero. Cosa c'è dietro la vostra idea di una "bella rivista", inteso in senso puramente estetico?
Giordano: Anche in questo caso ci piaceva l’idea di vedere il cocktail prodotto dall’incontro di ambiti diversi, con le serie fotografiche e le illustrazioni. Tutto ciò, insieme alla scelte grafiche e di impaginazione, fa parte di una concezione della rivista come qualcosa da sfogliare e risfogliare, e non da leggere e accantonare. Perché riteniamo che per “aiutare”, sdoganare e svecchiare certi contenuti testuali, sia importante anche la cura dei contenuti visivi, della cornice in cui sono inseriti.
Sara: È uno degli aspetti di Parallàxis che mi aveva colpita maggiormente. È una rivista elegante e di impatto, ma di questo dobbiamo ringraziare anche i fotografi e gli illustratori che hanno collaborato con noi e che si sono dimostrati disponibili e comprensivi verso le nostre richieste: vi ringrazio uno ad uno!
Giorgio: Oggi la grafica, le griglie e l’impaginazione di molte riviste “cool”
sono tutte simili. Rispondono a uno stile dominante, che deve
assolutamente esserci ma che di creativo ha ben poco, incarnando una
concezione passiva del minimalismo. Il riferimento però era quello,
perché le riviste letterarie sono mediamente molto brutte, oppure
costrette in canoni dentro ai quali non volevamo stare. Non potendo
permetterci niente abbiamo messo insieme le cose il meglio possibile,
senza avere reale competenza in materia. Siamo andati per sottrazione,
cercando di fare meno danni possibile. Il risultato è stato onesto e ha
una sua eleganza. Goffa e ingenua, ma ce l’ha. Siamo un po’ come il
doganiere Rousseau…
Passando ad aspetti decisamente più materiali, Parallàxis non ha una vera e propria distribuzione, e si può acquistare soltanto online. Avete pensato anche a utilizzare altri canali, e raggiungere magari alcune librerie selezionate, o progettate di farlo in futuro?
Giordano: Parallàxis è presente in alcune librerie, che hanno abbracciato la rivista. Tra di noi abbiamo affrontato tante volte la questione della distribuzione, ma la dimensione editoriale di EKT, la nostra casa editrice, non poteva sostenere uno sforzo simile. Abbiamo provato a compensare attraverso una serie di iniziative, delle video interviste sul nostro canale youtube, delle rubriche sul nostro sito, degli eventi e altro. Al momento, però, siamo dell’idea di mettere in stand-by la rivista.
Sara: Abbiamo collaborato con diverse librerie di Milano, Roma, Torino e Trento, senza dimenticare gli amici della Miskatonic University di Reggio Emilia! Il loro aiuto è stato fondamentale e prezioso, sia a livello materiale che morale.
Giorgio: Come noto la distribuzione è uno dei più grandi mali dell’editoria,
anche se continuo a metterlo alle spalle della sempre più diffusa
volontà di “esprimere i propri personali pensieri”, nella quale anche
molti editori “piccoli e indipendenti” sguazzano. Dio ci scampi dai
nostri pensierini, figurarsi da quelli altrui… per il resto: abbiamo collaborato con diverse librerie del nord
Italia, ma di certo il mio pensiero va a quella piccola perla di
operosità che è Miskatonic University di Reggio Emilia.
Chi apre oggi (!) in italia (!!) una rivista (!!!) di narrativa (!!!!) fantastica (!!!!!) chiaramente non lo fa aspettandosi un ritorno economico. Qualche soddisfazione però spera di ottenerla. Senza farvi i conti in tasca, come giudicate finora la risposta al vostro progetto?
Giordano: Non era quello che ci aspettavamo. Per questo
Parallàxis, come rivista, andrà in pausa, non sappiamo dire per quanto.
Sara: La risposta è stata tutt'altro che negativa: in questi anni Parallàxis è stata sostenuta dall'affetto e dagli apprezzamenti di una base eterogenea di fan. Conservo dei ricordi bellissimi, in particolar modo legati alla fiera di Stranimondi tenutasi a Milano lo scorso anno. Essere redattrice di Parallàxis mi ha portata a conoscere molte persone e stringere legami che col tempo si sono sviluppati in rapporti di sincera amicizia e affetto.
Giorgio: Qui dovrebbe uscire la mitologia del self-made man: la soddisfazione è
data dal fatto che abbiamo costruito tutto senza l’aiuto di nessuno, se
non di noi stessi. Sarebbe anche sostanzialmente vero. Venendo però
alla domanda, giudico la risposta positiva, soprattutto se penso alla
follia utopica che ha contraddistinto questo progetto e alle condizioni
generali. Tante persone, spesso sconosciute, hanno apprezzato la rivista
e il nostro lavoro. Questa era la cosa importante. La cosa migliore poi
è conoscere persone interessanti, così come imparare ad evitarne altre
per niente interessanti.
Generalmente si conclude un'intervista con una domanda sui progetti futuri. Sentitevi pure liberi di lasciare qualche anticipazione per i prossimi numeri, ma la domanda maligna che vorrei porre è un'altra. Sicuramente sapete che la vostra rivista avrà vita dura, e che potrà andare avanti solo finché avrete la voglia di dedicarle tempo e impegno. Che cosa potrebbe far arenare il progetto, e se Parallàxis chiudesse, come pensate di reimpiegare la vostra esperienza accumulata con la rivista?
Giordano: Al momento, il progetto in cantiere è la pubblicazione di un libro, di un autore esordiente, Enrico Gabrielli, che ci ha proposto un’interessante antologia di racconti.
Sara: Inutile negare le difficoltà presenti nel portare avanti un progetto così corposo. Penso che in qualche modo Parallàxis se la caverà, o ritornerà sotto altre forme e sembianze. Un po' come ne La Cosa di Carpenter insomma. L'esperienza che ho accumulato con la rivista la reimpiego quotidianamente come lettrice, anche se ho avuto modo di far tesoro di ogni singolo spunto che lavorare in un ambiente giovane mi ha offerto. Vorrei continuare ad approfondire e sviluppare la strada delle traduzioni, un percorso che richiede molto tempo e dedizione.
Giorgio: Stiamo lavorando all’antologia di Enrico Gabrielli, che ha bussato
alla nostra porta in modo totalmente inatteso. Questo è uno dei
risultati del nostro lavoro, un po’ canto del cigno. Vedremo i frutti
nei mesi a venire, e vi informeremo. Parallàxis si ferma perché era quasi previsto che si fermasse, si
trattava solo di capire quando. Come abbiamo scritto, è un’utopia che
dovevamo solo avere il tempo di riconoscere nelle sue fattezze. Una
bomba a orologeria ma con un orologio illeggibile e indecifrabile. Ora
però non ragioniamo con i se e con i ma, diciamo semplicemente «è stato
bello e arrivederci».
Bene, l'intervista è conclusa. Se abbiamo saltato qualche argomento che vi premeva discutere, approfittate di queste ultime righe e poi salutate tutti i lettori.
Giordano: Un saluto e un ringraziamento a tutti coloro che ci hanno sostenuto e che si sono interessati a noi, ma soprattutto a coloro che non ci conoscevano e che, chissà, magari attraverso questo saluto inizieranno a chiedersi cos’è Parallàxis.
Sara: Vorrei spendere qualche parole sugli "esordienti" o "emergenti" che abbiamo ospitato: siamo stati molto fortunati, suppongo, per essere riusciti a trovare scrittori cosi completi e formati, seppur molto diversi tra loro. Avervi ospitato è stato motivo di orgoglio. Così che questi saluti finali non possano lasciare un retrogusto nostalgico, grido ai nostri lettori un chiaro e forte Arrivederci!
Giorgio: In modo un po’ autoreferenziale voglio ringraziare prima di tutto coloro
che hanno condiviso con me questa esperienza: Giordano, Francesco, Sara
e Tommaso. È poi d’obbligo ringraziare tutti: lettori, scrittori,
fotografi, illustratori, librai, collaboratori e amici. Non faccio un
elenco di nomi perché gli elenchi mi hanno rotto le palle. Però grazie
davvero.
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Come già anticipavo, alcune domande possono essere sembrate fuori luogo o non focalizzate, ma bisogna tenere presente che l'interivsta è stata pensata in un momento precedente, e si è deciso di mantenerla così.
Da parte mia mi unisco ai saluti, ritenendomi onorato di essere riuscito a partecipare a questo progetto avanti di anni rispetto a ciò che si vede in giro, ma al tempo stesso anche amareggiato al pensiero che forse io stesso avrei potuto fare di più. Sono però fiducioso che da persone che hanno investito tanto tempo e passione potremo aspettarci qualcosa di buono, in un prossimo futuro, per cui tengo (e vi invito a tenere) gli occhi aperti.
Mi rendo conto che come prima
intervista di
Unknown to Millions non sembra di buon auspicio, è come uno che studia per diventare veterinario e una volta che si è aperto il suo ambulatorio la prima cosa che gli capita è sopprimere un coniglietto. Ma conto di recuperare presto, con qualcosa di più leggero. Certamente non posso dire che questo sia stato tempo perso.