Una volta ogni tanto, ecco un po' di non-fiction. Questo libretto di
Aldo Putignano, di cui sono venuto in possesso temporaneo tramite una catena di lettura, contiene alcuni brevi racconti, tra i quali quello che dà il titolo alla raccolta. Le storie contenute in
La sindrome di Balzac sono semplici, leggere e surreali, pervase di un umorismo costante ma non forzato. Niente che lasci un segno indelebile nel lettore, ma una lettura disimpegnata, valida anche per chi si fa spaventare da volumi superiori alle 250 pagine. Voto:
6.5/10
Gli zombie, a essere onesto, non mi hanno mai appassionato più di tanto. Certo non si può negare che come archetipo della disumanità hanno un loro valore, ma bene o male ho sempre pensato che vista una storia di zombie viste tutte (che può essere anche la ragione per cui non sono andato oltre la prima stagione di
The Walking Dead). Ora,
Max Brooks ha sicuramente fatto un buon lavoro nel costruire il mondo invaso e devastato dagli zombie, descrivendo accuratamente la
World War Z in tanti aspetti e luoghi diversi, ma forse questa mia diffidenza iniziale non mi ha permesso di godermi quella che sicuramente è un'opera complessa e profonda, che senza dubbio occupa già un posto di rilievo nella storia della letteratura
horror. Quello che ho sofferto maggiormente è forse la forma adottata: interviste multiple a sopravvissuti del conflitto mondiale contro i non-morti, che se da un lato consentono di avere una prospettiva ampia e completa, dall'altro impediscono un vero e proprio legame empatico coi personaggi, di cui una volta esaurito il resoconto non si sa più nulla. Quindi la mia valutazione è forse pregiudizievolmente bassa, ma mi sento comunque di consigliare questo libro, che offre numerosi spunti interessanti, sia dal punto di vista narrativo che per i differenti livelli di interpretazione.
Voto: 7/10
È curioso che di
Bob Shaw abbia letto solo un altro libro,
Altri giorni altri occhi, che seppur in modo diverso ha anch'esso come tema centrale una qualche alterazione del senso della vista. In
Nightwalk (che schifo di titolo è
Il cieco del non spazio!?), il protagonista è un agente segreto terrestre in missione su un pianeta nemico, che perde la vista dopo essere stato catturato. Grazie però all'aiuto di un collega detenuto, inventerà un macchinario che gli consente di sfruttare la visione di una qualsiasi altra persona (o creatura in genere), vedendo attraverso i suoi occhi. Acquisita questa capacità, tenterà di portare a termine la sua missione, dalla quale dipende l'esito della guerra tra i due pianeti. La storia procede da subito con un buon passo, ed è chiaro che ci si trova all'interno di un'avventura densa di colpi di scena, che sfrutta a pieno le potenzialità dei quasi-occhi per rendere il tutto più interessante. Ma, inaspettatamente, la storia non si limita a questo: in alcune fasi infatti, il testo raggiunge una profondità inusuale per una storia di questo tipo (come la meravigliosa risposta alla domanda "Com'è la Terra?": "I bambini hanno tricicli rossi"). Inoltre, negli ultimi capitoli la prospettiva si amplia, e dalla personale battaglia del protagonista la storia arriva a comprendere l'intero conflitto interplanetario e, infine, il destino di tutta l'Umanità.
Voto: 8/10
Qui pare che faccia dello
spam, ma, beh, io leggo anche i libri di cui sono
autore!
Fantaweb 2.0 è una delle ultime raccolte in cui è presente un mio racconto, edita da Edizioni della Vigna. Oltre al mio
Il senso della vita, il libro include racconti fantascientifici di altri autori italiani di medio calibro, come Daniele Picciuti, Alfredo Mogavero, Stefano Andrea Noventa. In realtà avevo già letto i racconti nelle fasi iniziali di compilazione della raccolta, quando
all'interno del gruppo aNobii si iniziavano a mettere insieme e scegliere i lavori da proporre a qualche editore, tuttavia li ho riletti tutti con piacere a distanza di qualche anno. Questo perché le storie contenute qui sono tutte di buon livello, e pur spaziando nei temi classici della fantascienza lo fanno con un taglio personale e originale, abbastanza da rendere il libro un prodotto di qualità, adatto a tutti gli appassionati del genere e non solo. Insomma, perché ogni tanto anche in casa nostra riusciamo a fare qualcosa di buono, e c'è da andarne fieri.
Voto: 8/10
René Barjavel è l'autore di uno dei più
brutti romanzi di fantascienza che abbia mai letto. Il suo
Diluvio di fuoco è una storia apocalittica scriteriata e bigotta, e anche se mi ha fornito incidentalmente l'idea per un racconto è un libro che ho disprezzato dall'inizio alla fine. Ma siccome, che che se ne dica, sono una persona misericordiosa, e concedo a tutti una seconda possibilità, tempo fa ho acquistato
La notte dei tempi, e infine ho deciso di leggerlo. E non ho fatto male. In questo romanzo, una spedizione scientifica in antartide scopre le rovine di una civiltà tecnologica sepolta sotto i ghiacci, a una profondità tale che la datazione dei reperti si aggira intorno ai 900.000 anni... quando ancora stavamo imparando a sfregare due ramoscelli per trarne scintille. All'interno delle rovine, sono presenti anche due persone ibernate. Gli scienziati scongelano con cautela la donna, e dopo le iniziali difficoltà di comunicazione, da essa apprendono la storia della civiltà perduta che ha preceduto il sorgere di quella attuale, una società semiutopica ma in guerra con un'altra nazione, in un conflitto la cui escalation ha provocato la distruzione di entrambe e sconvolgimenti su tutto il pianeta. La donna accenna anche ad avanzatissime tecnologie perdute, ed è questo a scatenare nuovi conflitti tra le nazioni, nel tentativo di accaparrarsi il segreto per l'invincibilità. Mentre la prima parte del libro è focalizzata sulla spedizione scientifica e sulle prime scoperte del team internazionale, tutta la parte centrale riporta le ultime esperienza della donna prima del congelamento, del suo tentativo di salvare il suo compagno sullo sfondo del devastante attacco che sta per essere lanciato. Forse questa parte è troppo lunga rispetto alla sua densità di concetti, ma la sconvolgente sorpresa finale ripaga del tutto questo piccolo difetto, così come il piccolo anelito di speranza che sembra concludere il libro. Un'ottima prova quindi, al di là delle aspettative. Voto:
8.5/10
Infine si torna ad autori italiani, con la coppia
Davide Cassia e
Stefano Sampietro, per questo mistery di ambientazione storica.
La clessidra d'avorio si svolge principalmente intorno al 1800, seguendo l'avventura di un nobile francese, di suo figlio e di un amico spagnolo alla ricerca della clessidra del titolo, un manufatto dai supposti poteri alchemici. La caccia porta i protagonisti in Italia, tra Bologna, Firenze e Roma, seguendo il percorso che un alchimista italiano del '600 ha lasciato scritto nel suo diario, che viene inframezzato ai capitoli del libro, mentre gli altri capitoli ambientati nl 2008 servono più a fornire un epilogo alla storia che a completarla. L'intreccio è avvincente, e nel finire assume una dimensione più ampia, integrandosi nel contesto politico dell'epoca che vede Napoleone opporsi al papato, tuttavia la parte "misteriosa" legata alle pratiche alchemiche non viene approfondita, e di fatto la clessidra stessa (e i suoi presunti poteri) non viene mai mostrata. Anche la soluzione dell'enigma che porta al nascondiglio dell'artefatto è forse leggermente artificiosa, e sarebbe stato difficile per il lettore dedurla in autonomia. Nel complesso comunque una buona storia, fedelmente attinente all'epoca in cui si svolge, capace di intrattenere in modo intelligente.
Voto: 7/10