Lo scorso weekend si è tenuta a Milano la seconda edizione di
Stranimondi, evento dedicato alla narrativa di genere (principalmente
fantascienza, ma anche
horror, weird e fantasy) che ha visto raddoppiare rispetto all'anno scorso le presenze, già buone nel 2015 per un evento appena nato. Anch'io ho partecipato e posso confermare le buone impressioni di chi c'era, se pur rimangono alcuni aspetti da migliorare, in particolare per quanto riguarda l'organizzazione degli spazi e degli eventi.
Ma questo post non vuole essere una cronaca della convention, mi interessa concentrarmi su un appunto mosso da più di un visitatore, qualcosa del tipo:
Quasi tutti i partecipanti erano addetti ai lavori (autori, editori, curatori, traduttori, illustratori, ecc). Mancavano i lettori "puri", il vero pubblico a cui si rivolge la narrativa.
Si tratta di una cosa che anch'io ho notato. Non sono in grado di quantificare, ma io stesso nel corso dei due giorni ho fatto la battuta a quei 4-5 lettori puri che ho incontrato: "Ah, allora dobbiamo tenerti buono, sei una specie in estinzione!" Per il resto, pur con tutta la piacevolezza delle conversazioni, ho rilevato che appunto avevo sempre a che fare con altri autori, o editori, o traduttori, o "addetti ai lavori" in senso ampio. L'impressione quindi è quella di un settore che si nutre di se stesso, e uno allora si può porre il classico problema: ma se mangi te stesso, diventi grosso il doppio o sparisci completamente?
È una cosa di cui si parla spesso nell'ambiente, e occasionalmente il dibattito viene calamitato da questo o quell'evento particolare. Stavolta è toccato a Stranimondi, e visto che mi ci sono trovato nel mezzo, anch'io ci ho riflettuto. Perché a movimentare la narrativa di genere sono solo (o almeno in gran parte) gli addetti ai lavori?
Partiamo dalla definizione: chi può identificarsi come "addetto ai lavori"? Un lettore semplice non lo è, un autore sì. Ma si può dibattere anche su chi possa definirsi "autore": uno che ha pubblicato un racconto occasionale in una raccolta? Uno che ha più titoli col suo nome in copertina? Uno che partecipa regolarmente ai concorsi ma non ha pubblicato niente? E ancora, un blogger specializzato, è un addetto ai lavori o si considera parte del pubblico? Un editor o un traduttore di professione, che lavorano su testi dei più vari generi ed editori? Insomma, non è facile, e il discorso è complicato anche dal fatto che una stessa persona può ricoprire più ruoli contemporaneamente.
Facciamo un esempio con un cazzone a caso: io. L'anno scorso a Stranimondi presentavo DTS, ed ero quindi considerabile un "ospite", o comunque uno dall'altra parte del banchino. Quest'anno invece ero presente soprattutto in veste di lettore e appassionato. È vero che qualcuno mi ha cercato per un autografo (e quindi mi ha fatto rientrare nel ruolo di autore) e che ero presente a un panel (ma chi c'era si sarà accorto che in effetti ho fatto il mio intervento iniziale di 86 secondi e poi sono stato ad ascoltare), ma la mia idea di partecipazione era quella di girare, chiacchierare, scoprire, acquistare. Tant'è che in due-tre occasioni, quando magari ho chiesto una dedica, l'autore ha visto il mio nome sul cartellino ed esclamato "Ah, ma sei quel Andrea Viscusi?" (perché lo stagno è piccolo e i nomi li conosciamo tutti), proprio perché non mi sono proprio curato di presentarmi in quanto collega.
Quindi, io parto dalla mia esperienza, ma mi viene da pensare che un discorso analogo possa valere per molti altri. E allora ho iniziato a pensare che forse c'è un collegamento forte tra queta sproporzione di addetti ai lavori e i ben noti problemi di lettura in Italia.
Mi spiego. Conosciamo tutti le desolanti statistiche: gli italiani che leggono meno di un libro l'anno sono la maggioranza, una parte consistente non legge del tutto, i "lettori forti" (che in queste indagini significa una decina di libri l'anno) sono una percentuale esigua, gli uberlettori da 30-40 libri l'anno non fanno nemmeno statistica. In tutto questo, sappiamo che la narrativa di genere ha una posizione ancor più svantaggiata, perché non è promossa, non vende, la gente vuole il realismo e lo Strega lo danno ai soliti tre Grandi Editori. Quindi quel lettore occasionale probabilmente sceglie il suo libro all'anno prelevandolo dalle pile accanto alla cassa: gli può capitare per le mani un Lagioia, un Camilleri o una Ferrante quando va bene, sennò anche una Chiperi o un FaviJ. Fantascienza, fantasy, horror non esistono proprio in questo ambito.
Ne consegue che chi, imperterrito, vuole proprio proprio proprio leggersi una space opera, deve essere molto motivato. Tanto motivato da andarsi a cercare una libreria specializzata, da segnarsi un paio di editori di fiducia, da imparare a leggere in inglese per sopperire alle carenze del mercato nazionale. Tanto motivato da pensare di poter fare qualcosa per questo settore.
Ed ecco che avviene il salto. Da lettore puro, questo scellerato diventa anche un addetto ai lavori. Perché, diamine, se va così male di certo non può peggiorare se mi ci metto anch'io, anzi magari il mio piccolo contributo riesco a darlo e poi chissà. Faccio due esempi concreti con nome e cognome, mi scusreanno gli interessati se li cito ma non credo che per loro sia un problema (se fosse, ditemelo!).
- Giorgio Raffaelli è attualmente noto nel panorama sf italiano per essere uno dei fondatori di Zona 42. Da prima che io nascessi, Giorgio era un appassionato di fantascienza e un vorace lettore, abituale frequentatore delle allora fiorenti mailing list. Ha continuato a fare l'appassionato "passivo" per anni e anni, poi nel 2014 qualcosa è scattato e ha deciso di iniziare lui a pubblicare libri. Lo ha fatto per convinzione, per passione e per cercare di migliorare l'ambiente attuale proponendo sul mercato italiano titoli nuovi e originali. Quindi, Giorgio è oggi un addetto ai lavori, e ovviamente ha interessi diretti in una manifestazione come Stranimondi (di cui peraltro è uno degli organizzatori); ma al tempo stesso, continua a essere prima di tutto un fan della fantascienza.
- Luigi Musolino è un giovane autore che ha mosso i primi passi nei forum di scrittura come Tela Nera e Edizioni XII, più o meno nello stesso periodo in cui ci bazzicavo anch'io (il tuo nick era Idrascanian: i know what you did last summer). È noto nel nostro piccolo stagno soprattutto per i suo racconti horror, che attingolo al folklore riportando in vita antichi miti locali quasi dimenticati. Musolino scrive da diversi anni con buoni risultati, ma nel suo curriculum ha anche la traduzione de I vermi conquistatori di Brian Keene, pubblicato appunto da XII (non mi ricordo l'anno). Si presume quindi che Gigi, già appassionato lettore e autore di horror, a un certo punto abbia pensato di poter fare qualcosa di più e spingersi a diventare ancora di più un addetto ai lavori. Anche lui è passato a Stranimondi per qualche ora, e anche per lui non è facile definire in che veste abbia paretcipato.
Questi due esempi (scelti solo per familiarità, non per merito o rappresentatività) servono a illustrare il fenomeno di cui parlo. Quella "motivazione" che i lettori di genere in Italia devono avere come
caratteristica innata per poter resistere (altrimenti si stancherebbero molto presto), e che può facilmente portare a un mescolamento e sovrapposizione di ruoli. Nel caso di Stranimondi, c'erano tante persone che conoscevo, molte delle quali in qualche modo
addette ai lavori, ma non mi sento di mettere in dubbio la loro presenza in quanto appassionati e lettori prima di tutto. Certo, molti avevano interessi diretti, come Giorgio e Gigi qui sopra, ma penso che se non fossero stati un editore e un autore avrebbero partecipato lo stesso.
Mi viene da pensare che là fuori dallo stagno, dove il pubblico è più ampio e non deve sforzarsi più di tanto per trovare qualcosa che coincida con le sue passioni, siano
molto più isolati i casi in cui un lettore è tanto motivato da volersi impegnare in prima persona. Nell'ambito del fantastico invece, viene operata una sorta di
selezione naturale che porta solo i più determinati ad andar avanti, e la stessa determinazione è quella che poi li spinge a
fare qualcosa. Vanity press a parte, ma quello è un fenomeno tanto trasversale e riconoscibile che lo escludo da questo discorso.
Tutta quest'analisi non serve a concludere "meno siamo meglio stiamo". È evidente a tutti questi famigerati addetti ai lavori quanto il settore della
narrativa di genere fatichi a sopravvivere, ed è importante cercare di superare le barriere culturali ed economiche per raggiungere un pubblico più vasto. Sarebbe anche ideale smettere di sgomitare in questa patetica
guerra tra poveri che combattiamo da decenni e cercare una strategia condivisa piuttosto che il
mors tua vita mea. A mio avviso segnali incoraggianti ci sono, ma si può fare di meglio. E occasioni come Stranimondi, abbastanza giovane da poter ancora decidere di prendere una direzione diversa, più user friendly per i profani, non sono da sottovalutare.
Concludo con una nota personale, che lego a questo discorso ma in realtà si può applicare in molti altri contesti simili. Quasi sempre, quando sento fare discorsi simili a quello da cui parte questo post ("Tutti scrivono, nessuno legge" e variazioni sul tema), il discorso parte da qualcuno che scrive, ed è rivolto in tono polemico non tanto a quelli che non leggono, quanto agli altri che scrivono, con l'implicita accusa di dilettantismo nei loro confronti. Il sottinteso di solito è "Smettetela di scrivere, voi che non sapete farlo, e lasciate lavorare quelli bravi." Lo trovo un atteggiamento molto fastidioso, e credo sia la base di questa estenuante guerra tra poveri di cui parlavo sopra. Io non considero il mio "diritto" di scrivere e pubblicare insidiato dallo stesso diritto espresso dagli altri. Il che non vuol dire mettere tutto sullo stesso piano: le porcate si riconoscono e alla lunga si perdono nel mare di palta di cui è costituito il 90% di tutto. Ma non è affermando la propria zona di controllo sul territorio che ci si realizza come autori, o addetti ai lavori in senso più ampio. Quindi ognuno si preoccupi di fare bene il proprio lavoro prima di additare le mancanze degli altri, già questo potrebbe bastare a creare un clima più sereno e collaborativo.