Coppi Night 06/03/2016 - Spy

Di film brutti per il Coppi Club se ne sono visti, negli anni (e si parla di una cosa che va avanti all'incirca dal 2008). Abbiamo visto roba come Green Lantern o Uomini uomini uomini, Coffee and Cigarettes o Asso. Ma credo si possa dire che Spy, film del 2015 di Paul Feig con Jude Law e Jason Statham, si guadagna una posizione sul podio del peggio del peggio.

I nomi noti e di un certo rilievo nel cast ci hanno ingannato, portandoci a credere che fosse sì un film con intenti parodistici, ma tutto sommato sopportabile. Purtroppo il tono è tutt'altro: se anche si può pensare che ci sia della parodia nei confronti del genere spionistico, l'operazione è eseguita così grossolanamente che siamo più vicini alla farsa. Spy è in realtà la storia di un'agente (notare l'apostrofo) dei servizi segreti, che per anni ha fatto da assisente in remoto a un agente sul campo, ma è poi costretta a passare lei stessa in azione. L'agente di cui parliamo è interpretata da Melissa McCarthy, attrice-musa di Paul Feig, che essendo visibilmente grassa è ovviamente per questo motivo già una parodia di per sé. Ah ah, è una cicciona, capito? *gomitata complice*

Ma le brutture del film non si fermano qui. Per tutta la durata della storia assistiamo a una serie di gag basse, gratuitamente volgari, roba che il Bagaglino faceva trentacinque anni fa e già puzzava di ancienne regime. In alcuni casi pare di assistere letteralmente a un cinepanettone, oppure a Boris (chiaramente senza nessun elemento di metatestualità). Roba tipo questa:


Peti, merda, vomito, e selfie con l'uccello di fuori: non manca niente e di per sé non sarebbe un problema, siamo adulti e non ci scandalizziamo per un pene mostrato più e più volte in primo piano. Il problema è che, appunto come nei nostri cari film di natale, queste cose sono poste senza nessun contesto, come se la loro sola presenza bastasse a reggere lo sketch. Anche quando non ci si appoggia sulla volgarità, si assiste a battute e situazioni stantie e imbarazzanti, nel senso che io provavo empaticamente vergogna per coloro che questo film lo hanno realizzato ed erano convinti di fare qualcosa di forte. Gli unici due mezzi sorrisi me li ha strappati Statham, con il suo personaggio dell'agente estremo e i racconti delle torture da lui sopportate. Ma sei secondi con un angolo della bocca storto non bastano a redimere le oltre due ore di film.

Per quanto riguarda la trama non c'è molto da dire, un continuo spostamento da una città all'altra, qualche inseguimento e sparatoria, il cliché dell'agente imbranato che però le azzecca (come se non lo avessimo già visto con tutte le pallottole spuntate, gli Austin Powers, Mr. Bean e Steve Carrel...), qualche supposto twist che invece serve solo come intermezzo tra uno sbadiglio e un sospiro, e la voglia che tutto finisca presto, ti prego, dimmi che è il confronto finale, basta, fate esplodere quella bomba nucleare e facciamola finita tutti.

Una cosa che si può percepire, e che è in linea con la carriera del regista Paul Feig, è come il film sia concepito per un pubblico femminile (o almeno, il pubblico femminile che i produttori vogliono vada al cinema), non solo perché i protagonisti sono tutti donne, ma anche per il taglio e l'oggetto delle battute. È una strategia ormai affermata quella di Feig di "femminilizzare" alcuni generi di film, come ha fatto con Le amiche della sposa e Corpi da reato, e sta per fare anche con Ghostbusters. Peccato che non si tratti di emancipazione, di dare a una donna un ruolo che è di solito pensato per un uomo, ma di un inquadramento in stereotipi che sono solo diversi da quelli ordinari, ma sempre stereotipi sono, e pertanto parimenti avvilenti.

È alla luce di questo film che ho reinterpretato il trailer del nuovo Ghostbusters appena uscito, e capito di che genere di film si tratta. L'idea degli acchiappafantasmi è solo un contesto nuovo in cui sviluppare gli stessi stereotipi e sketch da cabaret. E intendo cabaret tipo Colorado.

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