In morte di Tim Bergling

Pochi giorni fa il mondo ha appreso della morte di Avicii, dj e producer svedese asceso alla fama globale con un paio di pezzi azzeccati, trovato senza vita in una stanza d'albergo durante una vacanza, a ventotto anni. Sui media italiani la vicenda non è stata affrontata molto oltre la notizia, ennesima tragedia annunciata di un ragazzino troppo ricco e troppo famoso, probabilmente drogato, comunque senza alcun valore artistico. Mi piacerebbe spendere qualche parola in più, un po' perché da qualche anno ho iniziato a dare tutto un altro peso alla morte, un po' perché credo che non gli sia stata resa giustizia.

Non parlo da fanboy. La musica di Avicii non rientra pienamente nei generi che più apprezzo, anche se devo ammettere che, nell'ambito di questa euro house cheesy che sta girando negli ultimi anni, lui mi sembrava forse l'unico che aveva davvero qualcosa da dire, e la cui musica non era soltanto un'assemblaggio di kick, bassi, phaser e autotune. Non parlerò comunque della qualità della sua musica, lascio che ognuno valuti questo aspetto secondo i propri gusti.

Avicii, o Tim Bergling come lo chiamavano a casa sua, non stava bene. Aveva avuto problemi di salute, dovuti principalmente all'alcool. La cosa risale a un paio di anni fa, quindi parliamo di problemi di alcolismo a venticinque anni. All'apice della sua carriera, si era ritirato dalla scena, annunciando che non si sarebbe più esibito in giro per il mondo, e il mondo lo ha girato parecchio, in pochi anni. Quasi un anno dopo questo annuncio, appena qualche mese fa, un altro che ancora si trova sul suo sito: avrebbe ripreso a fare musica, ma non i concerti: We all reach a point in our lives when we understand what matters the most to us.

Avicii, o Tim, ha raggiunto quel punto a ventisei anni. Mi sembra quasi di vederlo, aizzare una folla di diecimila persone, e poi tornare in una stanza d'albergo, taggato in migliaia di foto e video, e sdraiarsi sul letto, da solo. Spremuto da un'industria che ha bisogno di personaggi come lui, prosciugato da chi ha bisogno di una traccia di talento per costruire un idolo da far adorare al pubblico, troppo ricco e troppo famoso. Non è stato il primo e non sarà l'ultimo a bruciarsi in questo gioco perverso del too much too fast, in cui di solito chi si arricchisce davvero è qualcuno di cui nessuno conosce il volto. È uscito poco tempo fa su Netflix un documentario dedicato proprio a lui, dove sono ripercorse le tappe della sua fulminante carriera. Col senno di poi, appare evidente che qualcosa non era come doveva essere, e lui stesso lo ammette.

Le circostanze della morte non sono state rese pubbliche dalle autorità per rispetto nei confronti della famiglia, sono esclusi comunque azioni criminali. Nessun omicidio o avvelenamento. E forse non è stato nemmeno un suicidio, ma si percepisce comunque una cappa di oscurità su questa morte. La sensazione diffusa è che non è morto per un incidente, e che c'era comunque qualcosa, nella sua vita, che non ha funzionato. Nonostante la fama, nonostante l'amore incondizionato del suo pubblico, nonostante la possibilità di parlare a milioni di persone, notte dopo notte.

Tim, o Avicii, aveva davvero qualcosa da dire, ma forse non ci è riuscito. Proviamo ad ascoltare meglio la prossima volta, se non altro per chi abbiamo vicino.


1 commento:

  1. Quando muore un artista così giovane è sempre una perdita per tutti.

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