Border, o il confine tra noi e loro

Tra un Capitan Marvel e un Roma, un teaser di Endgame e uno di Tarantino, in pochi si sono considerati Border, film svedese di un regista che ha fatto un altro film che boh nemmeno io lo conoscevo. In realtà non sapevo dell'esistenza del film, finché la settimana scorsa mi sono detto "ho voglia di andare al cinema" e la scelta era tra questo e Aldo Baglio, quindi, beh, ok era divertente quella cosa di Ajeje ma ecco. Quindi mi sono trovato per la prima volta da tanto tempo a vedere un film di cui non sapevo praticamente nulla oltre al trailer (esperienza da ripetere, peraltro). E a sorpresa mi sono trovato con qualcosa di attinente al mio solito campo di interesse.

Stop. Per quelli di voi che ancora credono negli spoiler, fermatevi qui. Ci sono due cose principali del film che possono essere spoilerate. La prima è uno spoiler minore, nel senso che è una rivelazione che serve a cementare la premessa quindi non la ritengo davvero pericolosa, e la esporrò nel prossimo paragrafo. Quindi se non volete saperlo, ciao ciao. Non sbirciate nemmeno perché metterò delle parole in grassetto che vi potrebbero saltare agli occhi. Metto un'immagine di mezzo per darvi modo di non spostare lo sguardo, più di così non posso fare.



Protagonista del film è Tina, una donna con deformità piuttosto evidenti causate da un difetto genetico. Oltre al suo aspetto neandertaliano, ha anche una sorta di super-olfatto che le permette di percepire emozioni come paura, vergogna, rabbia. Questo suo talento è messo a frutto lavorando alla dogana, dove annusa i viaggiatori e riesce a scoprire quelli che nascondono qualcosa. Un giorno alla dogana passa Vore, un uomo con deformità stranamente simili alle sue, del quale non riesce a percepire le emozioni. Ah, e Vore è un uomo ma ha la vagina. Comunque, lui sembra riconoscerla e lei prova una strana attrazione nei suoi confronti, capisce che sono in qualche modo simili per cui lo ospita a casa sua. Dopo una serie di incontri e un rapporto sessuale decisamente woman empowering (altro che Capitan Marvel, appunto), Vore le rivela la verità: loro due sono dei troll, due dei pochi sopravvissuti di questa razza che è stata sistematicamente sterminata dagli umani.

Qusta rivelazione arriva più o meno a metà film e come dicevo non è quella che veramente cambia il senso del film. Tina era già stata presentata come diversa dalle persone "normali", la sua vita era già piuttosto misera e insoddisfacente. Conoscere la natura della sua diversità non cambia niente della sua miseria e insoddisfazione, le dà solo un contesto. E non ha importanza se i troll di cui si parla siano proprio i troll della mitologia, o se sia solo un termine convenzionale con cui si può indicare questa specie antropomorfa. Se per esempio "troll" fosse il modo con cui nelle leggende ci si riferisce ai sopravvissuti dei Neanderthal, non cambierebbe nulla. Ci sono anche altri elementi che si ricollegano ad alcuni miti nordici ma appunto non sono determinanti.

Certo una volta appreso questo Tina si confronta con il suo padre (che è quindi adottivo, e sa cosa è successo ai suoi veri genitori troll), caccia il suo compagno scroccone, intensifica il rapporto con Vore e si mette a correre nuda nei boschi. Abbraccia quella diversità di cui è sempre stata al corrente ma che non ha mai potuto esprimere, convinta che fosse un problema. Scopre che invece la diversità può essere qualcosa di cui andare fiera, soprattutto se c'è qualcuno con cui condividerla.

Tutto molto bello, e molto empowering, ancora. Ma non è così che finisce. A questo punto del film infatti avevo un po' il sospetto che la storia si riducesse al protagonista che scopre di essere "speciale", abbandona i costrutti della società e torna alla comunione con la natura, trova uno uguale a lui e sono tutti felici. E invece no. Ed è questa la parte significativa del film, quella che non spoilererò.

Tina si trova dover fare una scelta: deve decidere se è più importante la sua natura di troll o i valori sui quali ha impostato la sua vita. Perché è una goduria mangiarsi gli insetti (come Vore le ha insegnato a fare), è liberatorio starsene nudi sotto la pioggia, e tutte quelle cose che fanno i troll. È bello far parte di qualcosa, avere finalmente un senso di appartenenza e poter dire "ecco, io sono così, noi siamo così". Ma forse questa appartenenza non è davvero la cosa primaria, non è ciò che ci definisce davvero. Perché che merito c'è nell'essere ciò che si è per natura? E anche se questa natura ti rende diverso da coloro che ti circondano, anteporre l'appartenenza a tutto il resto è la strada più facile, quella che implica meno responsabilità. Mi comporto così perché è così che facciamo noi: questo è il ragionamento di Vore, che all'inizio fa presa anche su Tina, ma poi arrivano i dubtti.

Anche se è difficile, anche se è doloroso, non è nella propria origine che sta quella differenza, quel confine tra noi e loro. È un messaggio attualissimo, perché è facile applicare la stessa logica sostituendo i due elementi dell'equazione: il "noi" possono esssere i troll quanto i vegani o i musulmani o gli interisti, i "loro" possono essere i negri o i maschi o i vecchi o i cani. Quante di queste contrapposizioni si basano solo sull'idea che c'è un confine tra i due gruppi, e le nostre azioni sono giustificate per il solo fatto di far parte di uno di essi?

Ma non è così. Alla fine dei conti, vale sempre quel maledetto assioma dello showdontell, che forse funziona quasi più nella vita vera che in narrativa. Sono le nostre azioni che ci definiscono. Noi siamo ciò che facciamo, che siamo umani, troll, neanderthal, o quello che vi pare. E loro, anche, chiunque siano, sono ciò che fanno. Solo su questo è giusto basare le proprie decisioni. Non c'è altra distinzione che tenga.

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