Sta per finire quello che tutti definiscono come "il peggiore anno di sempre" e anche su Unknown to Millions è tempo di bilanci, nella tradizione nata e morta oggi del post di fine anno.
Chi mi segue sui vari social, da facebook a youtube (nato da poco) a instagram (nato da pochissimo), avrà notato che negli ultiimi dieci mesi ho perso parecchie occasioni per parlare di covid, lockdown, pandemia. Qui sul blog l'ho fatto solo in riferimento a libri che trattavano l'argomento, e su youtube ho voluto dedicare un video a un tema collaterale, ovvero "come scrivere una storia sulla pandemia", che per comodità ripropongo qui, anche perché il trucco è che nemmeno qui parlo di pandemia in sé ma di come affrontarla in veste di narratori.
Il senso di tutta questa premessa è che, in tutto questo tempo, non ho mai trattato l'argomento, per l'evidente ragione che non ho niente di interessante da dire, nessuna acuta analisi dei dati che nessuno ha pensato di fare prima di me (ma seriamente pensate che l'OMS abbia bisogno delle vostre tabelline excel?), zero suggerimenti per come gestire la pesante crisi economico-sociale che questo evento ha scatentato in tutto il mondo. Insomma, cosa volete da me, perché dovrei essere io a darvi queste risposte? So di perdermi il posto nei #trends, ma preferisco parlare di ciò che mi compete piuttosto che aggiungere nulla al nulla.
Quindi questo post, che lascio qui in casa mia perché se ci entrate vuol dire che di base vi interessa leggere ciò che penso, è il mio unico contributo al dibattito sul 2020.
Inizio col dire che, sotto sotto, tutta questa cosa non mi ha sorpreso più di tanto. Non perché "avevo previsto" la pandemia ma perché già da anni, sicuramente per l'influenza delle letture e degli ambienti in cui mi trovo, ritenevo plausibile che ci aspettasse uno shock profondo a livello socio-culturale. Chi mi frequenta di persona può confermare che già da diversi anni paventavo l'imminente arrivo di una crisi ambientale/sistemica nel giro di qualche decennio, ma senza toni drammatici, come una semplice constatazione. Che il paradigma postcapitalista globalizzato fosse fragile e avrebbe cominciato a vacillare alla prima scossetta non me lo sono inventato io, non mi prendo nessun merito. È una nozione che chiunque abbia mai pensato di puntare lo sguardo appena oltre la propria quotidianità ha assimilato da tempo. Se non c'era la pandemia oggi, avremmo avuto la siccità tra tre anni, in assenza di quella la crisi energita tra quindici oppure il default pensionistico tra ventidue (e non è detto che tutte queste altre cose non si realizzino). Questa idea è talmente basilare nella mia concezione che praticamente in tutte le mie storie che parlano anche solo tangenzialmente del "futuro" c'è sempre un accenno diretto a una crisi di questo tipo. Giusto per fare qualche esempio posso citare i racconti Nimby, Locuste, Infodump, Spore, CETI, La staffetta. Evito di nominare Diario dal tempo profondo perché in effetti è stato scritto a pandemia già iniziata, ma posso assicurare che se lo avessi scritto unanno fa i riferimenti al collasso ambientale sarebbero stati esattamente gli stessi.
Ripeto, non riporto tutto questo per affermare che io sono bravo e lo sapevo già, mentre voi siete una manica di sprovveduti. Ma sicuramente in un certo senso ero preparato a trovarmi di fronte a qualcosa del genere, almeno a livello intellettivo. A livello pratico, certamente un altro discorso. Comunque, di questo parlo più in dettaglio proprio nel video che ho messo qua sopra, quando faccio il confronto tra narrativa speculativa e literary fiction (indovinate per chi tifo?).
Ora, siccome come ho detto non sono rimasto stravolto psicologicamente dal primo indizio del crollo della civiltà, mi piace pensare a tutto questo a un'occasione più che a una catastrofe. Come insegna il capitano Jack Sparrow, il problema non è mai il problema. In questo anno terribile sono successe tante cose brutte, e (spoiler alert) il prossimo anno continueranno a succedere. Ma io non voglio mettermi a evidenziare quelle, perché ognuno ha il diritto di vivere le difficoltà in modo personale, senza l'inutile gara a chi è più sciagurato. Al tempo stesso, non voglio ostentare ottimismo o promuovere un atteggiamente di denial alla Welcome! Everything is fine. Piuttosto, in questo clima di disfacimento, di fronte alle morti alle sofferenze e alle nefandezze, io voglio fare come Dolores alla fine della terza stagione di Westworld. I choose to see the beauty.
Io scelgo di vedere la bellezza, ciò che di buono questa situazione ha portato. E non mi riferisco alle grandi questioni esistenziali, agli shift paradigmatici che possono aprire una nuova consapevolezza, ma alle piccole cose, quelle di tutti i giorni che davvero ci cambiano la vita. Alla fine del 2020, ecco i cambiamenti dovuti alla pandemia che mi hanno reso la vita migliore.
La spesa al supermercato: solo io la trovo immensamente più vivibile? Quasi (e non voglio sbilanciarmi) piacevole? Passata la paranoia iniziale con le file lunghissime e l'inutilità dei guanti in politene, è rimasto ancora adesso un certo senso della misura per cui da una parte il negozio non ammette più di tot persone alla volta, dall'altra i clienti stessi mantengono un rispettoso ossequio verso gli altri, lasciando spazio per passare, non appicicandotisi addosso mentre sei a uno scaffale, e così via. Anche la musica è diventata più discreta, mentre prima era opprimente. Per me fare la spesa è sempre stata una situazione di stress, ma negli ultimi mesi invece riesco ad affrontarla con più serenità. Poi sicuramente non sarà così dovunque e sempre, ad esempio non mi sono avvicinato ai negozi in prossimità delle feste, ma in media mi sembra che l'atteggiamento sia questo.
Le code ordinate: parzialmente collegato al punto di prima, perché spesa e coda sono due concetti molto affini, ma in questo caso la cosa si manifesta anche in altri ambiti. Per esempio mi è capitato di vedere code ordinate addirittura alla posta. Una cosa che un anno fa sarebbe stata impensabile, con la gente che prende il numero, esce a fare colazione e torna quando il numero è già stato chiamato e vuole passare avanti, oppure quelli che si avvicinano "solo per una domanda". Adesso invece ci siamo abituati a metterci in fila senza fare tante storie, a non accalcarci addosso a quello prima e meno che mai tentare di passare avanti perché sarebbe evidente. Qualcuno potrebbe obiettare che questo sia un indizio della nostra omologazione, di come ci hanno manipolato a seguire gli ordini ma boh, a me sembra naturale buon senso e rispetto per gli altri.
Il pubblico in studio a Chi l'ha visto. Premessa: Chi l'ha visto è praticamente l'unico "programma televisivo" che seguo, intendendo quelli che passa sui canali tradizionali della televisione con palinsesto. Seguo decine di canali, programmi in streaming, serie e così via, ma la classica televisione con i canali da 1 a 6 non la guardo ormai da una decina di anni, o almeno non regolarmente. A volte capita, ma senza intenzione. L'unico programma per cui ogni tanto dico "oh, stasera mi potrei guardare quello" è Chi l'ha visto. Questa non è la sede per parlare del perché mi interessi, ma insomma è così. E seguendolo da anni, mi ha sempre fatto uno strano effetto vedere il pubblico in studio, quella gente seduta sulle tribune con espressione neutra, inquadrata sul retro mentre la presentatrice annuncia il ritrovamento del cadavere di un'adolescente scomparsa otto anni prima. Era qualcosa di grottesco, dissonante. Mi sentivo io a disagio per loro. Adesso che in trasmissione non ci sono più, mi sento anch'io più sereno nel guardarla.
Stay Safe. Forse questo non si vede così tanto qui da noi, ma seguendo e avendo contatti con gente di tutto il mondo, ho visto il diffondersi di questo nuovo saluto: stay safe. Che a me piace molto. Significa "stai al sicuro, prenditi cura di te". Ci sento molto calore, molta più vicinanza di quel generico best regards che si usava prima. Secondo me rappresenta bene il periodo: siamo tutti in difficoltà, ma tu abbi cura di te, mi raccomando. Lo trovo molto confortante e mi provoca empatia immediata.
Ci sarebbero anche altre cose, ma si va su tematiche più universali e meno immediate, per cui limito la lista a questo. Sono pochi 4 elementi positivi per compensare la catastrofe intorno a noi? Indubbiamente. Ma scegliere di vedere il buono non significa ignorare il resto. Vuol dire che, le cose buone sono quelle che vogliamo conservare, con la consapevolezza di doverci impegnare per migliorare le altre.
Se ne riparla tra un anno, magari. Nel frattempo, stay safe.
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