Rapporto letture - Settembre/Ottobre 2020

Sono poche le occasioni in cui mi sono trovato a fare un rapporto letture con più mesi riuniti in unico post, ma questi ultimi due mesi sono stati piuttosto impegnativi, e in particolare ottobre in cui sono stato piuttosto assorbito da altre letture (per lavoro e perché non so se avete notato che ho aperto una rivista) e altre scritture, e quindi ho avuto zero tempo per mettermi comodo a ripensare alle cose lette il mese prima, come si nota anche dai pochi post qui sul blog. Solo adesso sto tirando un po' il fiato e quindi posso recuperare anche le letture lasciate in sospeso. Quindi a sto giro ci accontentiamo di fare due mesi in uno, ok?

 

Il primo libro letto nell'ormai lontano settembre è un titolo che ha suscitato una certa attenzione nell'ambito della fantascienza negli ultimi anni: i racconti lunghi di Martha Wells collocati nel ciclo di Murderbot sono stati indicati da molti addetti ai lavori come un lavoro fresco e innovativo. A distanza di qualche anno i primi quattro racconti sono usciti in volume per Mondadori, alla quale va riconosciuto il merito di dare molto spazio in questi anni alle novità del mercato sci-fi (oltre alle solite ristampe di ristampe, ma è un compromesso che possiamo accettare). La storia di Murderbot è in buona sostanza un'avventura narrata in prima persona dalla Murderbot del titolo, una SecUnit (unità di sicurezza) cyborg che viene noleggiata principalmente da squadre scientifiche di esplorazione su nuovi pianeti. Va da sé che le cose non procedono come previsto, la gente inizia a morire e Murderbot deve intervenire per salvare tutti (giusto per onorare il suo contratto, mica per altro) e sgominare la minaccia. La cosa più interessante dei racconti è sicuramente il punto di vista della SecUnit: Muderbot è spiritosa e autoironica e questo tono pervade tutta la narrazione rendendo la storia molto scorrevole. Inoltre Murderbot è un'unità ribelle, perché all'insaputa di tutti ha hackerato il suo modulo di controllo ed è quindi "libera" di fare quello che vuole invece di sottostare alle direttive della sua programmazione. Ma contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non anela questa libertà per riscattare finalmente il suo diritto a una vita indipendente e al riconoscimento della sua individualità: a lei basta che la lascino in pace a spararsi migliaia di ore di serie tv. Muderbot non si pone mai il dilemma filosofico sulla sua natura più umana che robotica o viceversa (insomma, niente a che vedere con Westworld), lei sa quello che è: un costrutto artificiale in parte robotico e in parte biologico, diverso tanto dagli umani che dalle IA. Questo non le crea alcun disturpo di personalità, è contenta di quello che è. Il suo obiettivo è semplicemente trovare un posto per starsene tranquilla, lontana dalle missioni, ma chiaramente le circostanze non glielo permettono, e inoltre in una delle sue precedenti missioni c'è un malfunzionamento sospetto che l'ha portata a sterminare il suo equipaggio e su cui vuole fare chiarezza. Le storie sono indubbiamente appassionanti e il punto di vista del narratore le rende davvero "fresche", personalmente però le ho trovate un po' ripetitive. Una volta letta la prima, le tre successive non sono poi così diverse nelle dinamiche, e se posso capire che per una serie di racconti questo è un principio abbastanza chiave, significa anche che a meno di non essere proprio appassionati del genere e del setting (un planetary romance un po' più moderno di Burroughs) lo stimolo a proseguire non sia così forte. Quindi forse il bias è soprattutto mio, ma non riesco a dargli più di un voto 7/10, sono certo però che per gli appassionati della sf avventurosa possa essere molto più interessante.

 

Passiamo poi a Nerd Antizombie, scritto dal collega Francesco Nucera che ho avuto modo di incontrare diverse volte e che attualmente è uno dei rettori di quella eccellente palestra di scrittura che è Minuti Contati. Il romanzo è ben riassunto dal titolo, si tratta appunto di una storia di apocalisse zombie che si svolge nella periferia di Milano (credo si parli di Rozzano, che mi perdonino i rozzini non ho voglia di stare a controllare dove sia) e che vede come protagonisti un gruppo di amici nerd che si impegnano a combattere la minaccia. La storia è volutamente scritta con tono leggero ma senza eccessi splatter, più uno Shaun of the Dead che un Welcome to Zombieland. Il gruppo di amici, ex compagni di gioco di ruolo riuniti dalle circostanze, è ben assortito con personaggi dalle caratteristiche riconoscibili, che però in certi casi scivolano nella macchietta. Di per sé per un libro dal tono sostanzialmente umoristico questo non sarebbe un problema, la cosa che semmai stride di più è che proprio l'aspetto "nerd" dei personaggi è presentato in modo piuttosto superficiale: da una parte si ha lo stereotipo del classico nerd inetto alla vita sociale, di quelli che appena vedono una ragazza hanno un'erezione (succede un paio di volte), dall'altra però questa loro nerdezza non è portata all'estremo quanto una storia umoristica permetterebbe di fare, ma rimane abbastanza blanda. L'impressione è che Nucera sapesse come rendere i suoi nerd veri nerd, ma si sia trattenuto forse per non andare incontro al pubblico meno specializzato. Il punto è che così un lettore non-nerd li vedrà solo come una manica di imbranati, e il pubblico nerd invece li troverà irritanti per la loro rappresentazione falsta della loro sottocultura (alla Big Bang Theory). Un'altra possible causa di questo scollamento è il fatto che i protagonisti siano probailmente ispirati a conoscenze dell'autore stesso, e che quindi richiamino per lui le caratteristiche di persone che il lettore però non è in grado di riconoscere. La storia di per sé procede in modo abbastanza lineare, senza soffermarsi troppo a spiegare le ragioni e le modalità del contagio, ma questo non rappresenta un problema (nel 2020 non abbiamo bisogno di altre teorie sulla zombificazione). L'umorismo funziona a tratti, cade proprio nelle occasioni in cui cerca di fare forza sulle peculiarità nerd dei personaggi. In definitiva un romanzo leggero e simpatico, che però spreca un'occasione per una storia che poteva essere davvero qualcosa di più dell'ennesima Rivincita dei nerd. Voto: 6.5/10

 

Si cambia drasticamente tono e registro parlando di Oval, uno degli ultimi romanzi pubblicati da Zona 42. L'autrice Elvia Wilk racconta una storia estremamente contemporanea, ambientata in una Berlino futuriblissima in cui una giovane coppia deve affrontare una crisi nel loro rapporto che in apparenza parte dalla morte della madre di lui, ma che in realtà ha radici molto più profonde. I due vivono in un complesso di appartamenti a impatto zero, una sorta di esperimento socialarchitettonico sponsorizzato dalla società per cui lavora Anja, la protagonista. La prima parte del libro forse scorre un po' a rilento, con qualche elucubrazione di troppo di Anja sul mondo che la circonda, ma poco alla volta si riesce ad avvertire il messaggio di fondo, si scorge come tutto ciò che succede è dovuto alla businessization di ogni aspetto della vita, dalle relazioni sociali alle emozioni. Anja e i suoi coetanei vivono in un perenne stato di colloquio di lavoro, è come se ogni loro azione debba essere continuamente pesata e valutata da un board di cacciatori di teste. Quasi a due terzi del libro, quando viene introdotto l'ovale del titolo che è una droga capace di stimolare atti di generosità, quella che potrebbe essere un'invenzione rivoluzionaria capace di sconvolere le fondamenta della società perde quasi ogni valore propio perché le premesse su cui questa invenzione si innesta non rendono apprezzabile l'arrivo di una tale innovazione. Oval è una storia che forse si colloca appena nell'ambito della fantascienza perché si sovrappone in maniera quasi completa con la contemporaneità, ed è proprio questo a renderla straniante. Voto: 7.5/10

  

Torniamo ad autori italiani e in questo caso torniamo anche alla narrativa umoristica con Stupidistan, il romanzo  di Stefano Amato (di cui ho già parlato anche su Stay Nerd) che si può descrivere efficacemente come "Idiocracy ambientato in Sicilia". Questo fatto che lo si possa riassumere in modo così preciso è al tempo stesso la forza e la debolezza di questo libro: sicuramente avrà attirato tante persone (e un editore come Marcos y Marcos), però suggerisce anche che la storia abbia poco da dire oltre a quanto abbiamo già visto nel film cult. E infatti è proprio così: a parte spostare l'ambientazione dagli USA alla Sicilia (e non saprei perché in particolare la Sicilia piuttosto che un'altra regione) e riadattare quindi le varie specificità (invece delle armi da fuoco e il football, la carne di cavallo e le canzoni neomelodiche napoletane [che non dovrebbero essere una caratteristicha della Campania?]) lo sforzo per creare una storia interessante è davvero poco. Il libro segue le vicende di Patty, un'italiana di origini siciliane (perché la Sicilia è diventata indipendente) che per errore si trova nella sua terra natale e dopo lo stordimento iniziale ha l'occasione di cambiare le cose per far tornare lo Stupidistan un posto vivibile. Patty di per sé non è una cima e questo viene chiarito fin da subito, quindi è appropriato che basti lei a brillare rispetto ai siciliani imbrutiti*, ma il problema è che il lettore, che mediamente è più sveglio sia dei sicilian della storia che di Patty, rimane abbastanza estenuato dall'ottusità degli eventi. Non aiuta il fatto che la scrittura sia piuttosto sciatta, da saggio breve del liceo e la comicità per lo più inefficace. Il finale inoltre è fin troppo consolatorio e incoerente con le premesse della storia, perché dopo aver mostrato per cento pagine i siciliani che se ne fottono di qualunque cosa non sia ficcare/abbuffasri/scommettere non puoi farmi credere che sia bastato fare un annuncio in tv per convincerli a raccogliere i rifiuti. A mio avviso una prova davvero poco ispirata e anche poco curata, che forse già con un editing più approfondito avrebbe risolto qualche problema tecnico che rende la lettura snervante. Voto: 5/10

 

Concludo con il numero 89 di Robot, che avevo da non so quanto tempo e ho avuto modo di ripescare. Devo dire che è uno dei migliori che ricordi di aver letto negli ultimi anni: il racconto di Annalee Newitz mi ha quasi commosso per il modo in cui riese a essere attuale (parla di pandemia ma è del 2018, pensa te!) senza essere stucchevole, e riunisce in sé tematiche della cli-fi, del solarpunk, con nozioni di neuroscienze e attenzione alle disuguaglianze sociali. Anche il racconto di Alain Voudì è veramente ben scritto (e credo di non aver mai detto il contrario per niente di ciò che ho letto di lui, per esempio il suo meraviglioso racconto su Urania), anche se a mio avviso finisce un capitolo prima di quando avrebbe dovuto. Valentino Peyrano usa una premessa interessante ma sviluppata in modo un po' confuso senza un vero aggancio ai personaggi, Alex Briatico scrive una storia di sopravvivenza con un mistero di fondo che però si trascina forse più del dovuto nella parte iniziale, prima di arrivare al nucleo della narrazione. Claude Lalumière parte dai soliti esperimenti dei medici nazisti e da lì approda a una storia di supereroi, che funziona soprattutto per la capacità di creare legami significativi tra i personaggi. In questo numero sono anche riportati gli interventi nati intorno al discorso di Jeanette Ng alla cerimonia di premiazione del Campbell Award, che indipendentemente dallo schieramento di ognuno sulla faccenda hanno aperto un dibattito interssante nell'ambiente della fantascienza internazionale, in un momento in cui già si registrano forti cambiamenti nella composizione del fandom e addetti ai lavori. Ci sarebbe tra le altre cose anche il mio racconto Bootstrap, ma se leggete questo blog sicuramente già lo sapete, vero?


*(Nota per quelli che seguono le varie pagine locali come Il milanese imbruttito ed emuli: si dice "imbrutito" con una t sola, non so perché nessuno se ne sia mai accorto)


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