Giugno è il mese in cui ci siamo dovuti convincere che tutto fosse tornato alla "normalità", e anche i miei ritmi di lettura si sono riassestati, anche se ormai la mia normalità è piuttosto diversa da quella di una stagione fa. Alla narrativa continuo ad affiancare testi di formazione su cui sto investendo parecchio e i cui sbocchi verranno fuori nel giro di poche settimane. Ma in questo post parliamo solo dei libri cho letto durante il mese, quindi non perdiamoci in motivational.
Iniziamo con Solarpunk - come ho imparato ad amare il futuro, una delle periodiche antologie di Future Fiction, stavolta dedicata (indovinate un po') al solarpunk, genere che sta prendendo piede negli ultimi anni e che sembra perfetto per affrontare questi ultimi mesi di pessimismo cosmico. Il volume parte con due interessanti introduzioni, una delle quali afferma un punto a mio avviso molto importante: se è vero che il solarpunk è in un certo senso un genere "ottimista", contrapposto allo strapotere della distopia (coff coff), non bisogna fare l'errore che si tratti di un genere positivista e ingenuo, cioè che proponga l'idea da balcone arcobalenoso "andrà tutto bene". Se anche le soluzioni all'imminente collasso ambientale e sociale ci sono, non arriveranno da sole e dovremo faticare per guadagnarcele. Questa idea è espressa bene in diversi racconti che compaiono nella raccolta, che in molti casi mostrano appunto un mondo che ha superato un periodo di crisi con enormi perdite, e solo grazie a queste si sta ora riaffacciando a un'epoca di potenziale equilibrio. Non mi metto a commentare tutti i racconti, anche perché l'ho già fatto durante la lettura condivisa eseguita sul gruppo Fantascienza Oggi quindi vi rimando lì se volete qualche riga sulle singole storie. Mi limito a dire che per quanto emerge da questa raccolta sembra che il solrapunk sia ancora un movimento immaturo, che si crogiola forse un po' troppo nella portata delle sue idee a scapito dell'equilibrio della storia, finendo a volte per apparire didascalico. Questo non vuol dire che siano brutti racconti, ma che in alcuni casi la loro potenza è diminuita dall'intento educativo troppo evidente. Rimane in ogni caso una corrente importante per questo momento storico, e che lo diventerà sempre di più man mano che il mondo dovrà prendere coscienza che c'è bisogno dell'immaginazione di gente capace di proiettare avanti di qualche decennio le storture del presente. Voto: 7/10
Stacciamoci per un attimo dalla futurologia applicata e immergiamoci in una dimensione più quotidiana, quella del romanzo di Gianni Leoni, autore conosciuto ai tempi della Factory I Sognatori (do you remember Spore?) con cui ho mantenuto i rapporti nel corso degli anni, soprattutto perché vive in un gran bel posto e una volta all'anno circa faccio in modo di scroccargli una cena. Leoni è un tipo da thriller, ma con La farfalla nel bicchiere ha scritto qualcosa di più leggero, una classica storia di provincia con un protagonista in crisi di mezza età che sta cercando di ritrovare le coordinate via via che la sua prospettiva sulla vita cambia. L'incidente scatenante è un episodio di allergia che gli fa temere la morte, e dal quale inizia insieme agli amici una ricerca spasmodica per capire cosa sia che rischia di ucciderlo. La storia si muove per lo più su toni di ironia drammatica, con il protagonista (piuttosto riconoscibile come un alter ego dell'autore) che si lascia prendere dall'ipocondria e rischia a causa di questo di rovinare tutto ciò di buono che ha nella sua vita, incapace com'è di riconoscerlo. Il problema che ho rilevato semmai è che la storia è un po' squilibrata, perché più di metà libro si sofferma su queste sue paranoie esagerate, quasi caricaturali, e quando finalmente parte per il suo viaggio materiale e interiore di autoconsapevolezza, che è la parte più interessante della storia, rimane troppo poco spazio per svilupparlo a dovere. Alla fine poi, pur riconoscendo quale sia il suo problema di fondo, non dà una vera dimostrazione di averlo superato o di aver capito come superarlo, ma nonostante questo riottiene la fiducia dei suoi amici che pure lo avevano forzato a intraprendere questo percorso. Insomma il nucleo di una storia di crescita c'è, ma non è sviluppato nel migliore dei modi e avrebbe potuto essere molto più significativo. Comunque, dato che la storia non si prende troppo sul serio, quantomeno non si ha quell'impressione irritante da mappazzone che attira le attenzioni del premio strega, quindi si legge comunque con piacere. Voto: 6/10
E parlando di storie di formazione arriviamo a Catena alimentare, ultimo romanzo di Stefano Tevini, autore di cui ho già letto un paio di cose e di cui apprezzo lo stile e le tematiche sociali e politiche che è capace di affrontare nelle sue storie. Tevini ci porta in un mondo che potremo superficialmente etichettare come distopia ma che tutto sommato ha ben poco di diverso da quello in cui viviamo, perché si tratta solo di un'estremizzazione di certe tendenze a cui siamo ben abituati: la continua competizione sociale e professionale, la sovraesposizione mediatica, la perdita di empatia nei confronti degli altri, la mercificazione delle relazioni. La storia segue Gootchi, un "fallito" che potrebbe essere la trasposizione moderna di quello che era Fantozzi ai suoi tempi, con la differenze che in questa storia quando la gente prende una gomitata nei denti sputa sangue e schegge di smalto. Il senso di scollamento dalla realtà è aumentato dai nomi grotteschi (Gootchi, Renò, Gooroo) che richiamano brand ben conosciuti (cosa che ha un'evidente affinità con quello che ho fatto io in Seocrazia), per cui siamo di fronte a una versione del nostro mondo riconoscibile ma distorta. Gootchi compie un vero e proprio arco di trasformazione con tutte le sue tappe, ma il suo è un percorso che lo porta a un'affermazione retta dalla sopraffazione degli altri. Da vittima si trasforma in carnefice e scopre il piacere di questa nuova posizione di potere, si rende conto come mangia o vieni mangiato sia il paradigma su cui ha costruito tutta la sua esistenza (e su cui si basa l'intera società), anche quando lui è partito proprio dal gradino più basso della piramide sociale (o alimentare?). La sua progressione è disturbante, fatta di un'escalatione di violenza fisica e psicologica ai danni di tutti coloro che lo circondano. In un certo senso, Gootchi esce vittorioso dal suo percorso di crescita, ma la sua vittoria comporta l'acquisizione di valori riprovevoli per chi legge la sua storia. Eppure, da un altro lato, siamo portati a empatizzare con lui, perché capiamo che quella era la sua unica via di uscita da un'esistenza di miseria. Ovvero, quando hai toccato il fondo, l'unica cosa che ti resta da fare è scavare il terreno sotto i piedi dei tuoi nemici e farli sprofondare più in basso di te. Tevini sa scrivere in modo molto evocativo e si avvale anche della sua esperienza di wrestler professionista nella descrizione efficace delle sequenze di combattimento, estremamente vivide, e ottien così un romanzo forte, capace di mettere a disagio il lettore ma lasciandogli addosso una traccia tangibile. Voto: 7.5/10
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