The Wimshurst's Machine - Mondo9 Soundtrack

Come sa chi frequenta questo posto, nella rubrica più inutile del blog (quella dedicata alla musica, ndr) mi prendo l'impegno di segnalare roba insolita, di nicchia, con particolare predilezione per tutto ciò che è strumentale e/o elettronico. Tant'è che ho voluto parlare dell'album del thereminista italiano Vincenzo Vasi, oppure del viaggio pop-folk di Tryfux. E se vi state chiedendo chi sono, vuol dire che sto facendo bene il mio lavoro.

Il caso dei qui presente The Wimshurst's Machine (TWM per gli amici) è ancora più intricato del solito. Infatti sono entrato in possesso di questo album all'Italcon di un paio di settimane fa (vi ricordate?), anzi il cd in oggetto è l'unico acquisto che ho fatto nella mezza giornata passata nel centro congressi di Bellaria. Questa anomalia si spiega col fatto che quando mi trovo in un ambiente che contiene decine di oggetti che focalizzano il mio desiderio di possesso vado in overload ed entro in una sorta di modalità di sicurezza che mi porta a teneremi le mani in tasca. Ma con la musica, beh, con la musica non ho difese così efficaci, e così alla fine questo ho voluto prenderlo.

Forse non vi è nuovo il titolo di questo album: non è una roba scritta, qualcosa di fantascienza? Ebbravi, anche se non era difficile: Mondo9 è il titolo sotto cui si riunisce una serie di opere ambientate nell'universo narrativo sviluppato da Dario Tonani a partire dal racconto Cardanica. Alla serie di Mondo9 appartengono 9 (guardacaso) racconti dello stesso Tonani (che presto saranno riuniti tutti in un unico volume pubblicato su Urania), qualche decina di racconti di altri autori ispirati a queste storie, parecchie illustrazioni realizzate da Franco Brambilla e, da qualche mese, una colonna sonora realizzata dai TMW. Ma come, mi metto a parlare di una colonna sonora? Ma mica è musica vera, no!? Guess what, non è la prima volta che lo faccio, perché ho parlato ad esempio di Krieg und Frieden, o LISm, o Global Player...

Ammetto di non aver saputo niente dei TMW prima di questo disco, ma stando alle informazioni rintracciabili in giro si tratta di un gruppo italiano specializzato proprio in colonne sonore, che si ispira in buona parte alle tematiche di fantascienza e in particolare allo steampunk (come si deduce dal nome stesso della band). La lunga discografia di oltre 10 anni di attività è recuperabile sul loro sito, e merita sicuramente una scorsa.

Nel caso di questa soundtrack, si parla di un totale di 9 (guardacaso) tracce, i cui titoli riprendono nomi e temi della serie (troviamo citate le navi Robredo, Afritania e Chatarra). Ci troviamo nei pressi di un genere electro arricchito e/o contaminato da sonorità ambient e componenti acustiche. Di fatto, il tipo di musica che ci si aspetta per la colonna sonora di un film o di un videogioco. All'interno dell'EP il tono cambia più volte, passando da pezzi sincopati ad altri più soft. Uno degli elementi che ricorre più spesso è la compresenza di elementi elettronici ed acustici, che risultano efficacemente evocativi per uno dei temi chiave di tutto Mondo9. Anche nei brevi pezzi di interludio (come Lament of the Cogwheels) si sente emergere questa compresenza di vita biologica e meccanica, tra loro antitetiche ma difficili da scindere. In altri come Nightmares of Chatarra o Escape from the Robredo è più marcata la componente elettronica, mentre Mountains of Mourn calca invece l'accento su suoni più caldi e... vivi?

Come in molti altri dischi presentati in questo blog non è detto che l'ascoltatore casuale riesca a cogliere tutte queste sfumature, a maggior ragione considerando che la Mondo9 Soundtrack assume pieno significato solo dopo aver già letto le storie di Mondo9, ma l'ascolto di qualcuno dei pezzi potrebbe essere un incentivo a scoprire l'universo narrativo di Tonani. O magari vi piace la musica di per sé, chi lo sa?

Come tutti gli altri album dei TMW, Mondo9 Soundtrack si può acquistare (e ascoltare) dal sito della band, o sui soliti store come Amazon e affini. Potete inoltre seguire le novità del gruppo sulla loro pagina facebook. Se invece vi interessano le altre istanze di  Mondo9, il punto di partenza è la pagina ufficiale dedicata alla serie. Buon ascolto/lettura/visione.

Futuri n. 5

Mentre l'onda d'urto di DTS continua ad avanzare a più riprese (sabato scorso la presentazione a Rimini, altre in arrivo nei prossimi mesi, le recensioni continuano ad affluire... presto preparerò una nuova rassegna stampa), continua l'attività anche su altri fronti. In particolare il mio racconto Pixel, che mi sono autopubblicato su Amazon già qualche tempo fa, ha riscosso l'attenzione dell'Italian Institute for the Future, ed è stato incluso a chisura del numero 5 della rivista Futuri, in uscita in questi giorni.


http://www.instituteforthefuture.it/futuri5-cyberculture/


Questo numero di Futuri è dedicato alla Cyberculture (come si legge in copertina), è quindi abbastanza chiaro come Pixel si inserisca nel tema della distinzione tra realtà e simulazione. Cioè, risulta chiaro dopo che lo avete letto. Sia che abbiate già letto Pixel o meno, questa è una buona occasione per scoprire anche la rivista che contiene numerosi contributi interessanti, dai possibili scenari futuri di evoluzione della società (sotto l'aspetto tecnologico, sociale, ambientale) all'approfondimento del rapporto tra civiltà analogica e digitale. In chiusura al volume alcuni consigli di lettura e il mio racconto. Per il sommario completo potete sbirciare sulla pagina fb dell'Italian Institute for the Future.

See you on some other reality.

Coppi Night 03/05/2015 - Quella casa nel bosco

Un paio di settimane fa per il mio turno avevo proposto una selezione di potenziali film horror meritevoli di visione, tra i quali aveva prevalso The Mist. Tra i vari titoli proposti c'era anche questo, che non aveva passato la fase di votazione ma che invece stavolta ha prevalso sui film proposti dagli altri. In effetti io me l'ero già visto (non molto tempo fa, forse solo pochi mesi) e sapevo quindi di avere a che fare con un film intrigante.

Quella casa nel bosco (The Cabin in the Woods) si apre apparentemente come un qualunque b-movie horror con protagonisti un gruppo di ragazzi dalle personalità assortite (e stereotipate): la bella scema, la pura, il campione, lo scemo, lo studioso. I cinque partono per una vacanza in una sperduta casetta su un lago, ma poco dopo il loro arrivo vengono attaccati da una famiglia di zombie sadici. Sulle prime l'inquadramento così netto dei personaggi nel cliché può risultare quasi irritante, ma poco per volta le cose iniziano ad assumere un senso differente, quando si capisce che i ragazzi sono controllati e in qualche modo pilotati da una misteriosa organizzazione che li ha scelti appositamente per il loro ruolo di stereotipo. Verso metà film avviene appunto la svolta, quando i sopravvissuti all'attacco di zombie realizzano di non essere semplicemente vittime di una maledizione dall'oltretomba ma di qualcosa di ancora più oltre. I protagonisti in effetti non sono solo i ragazzi ma anche i membri dell'organizzazione che li controlla, una delle tante con gli stessi scopi distribuite su tutto il mondo.

La cosa davvero interessante di questo film, al di là della storia in sé, è che riesce in qualche modo a giustificare e dare una radice agli stereotipi del genere horror, riadattandoli più al concetto di archetipo, lo stesso al quale appartengono i ragazzi. Anche i comportanti delle vittime sono sensati in questo contesto, tanto che quando uno dei protagonisti propone "rimaniamo sempre uniti" deve essere opportunamente indirizzato per passare al più consono "dividiamoci" che ci si aspetta in un horror. Non si tratta tanto di una parodia, quanto di un tentativo di razionalizzazione di un meccanismo che ormai diamo per scontato, abituati a un tipo di prodotto che in media non si sforza nemmeno di proporre qualcosa di diverso. È questa componente metatestuale, oltre all'efficace umorismo, a rendere la visione estremamente piacevole e stimolante. Questo, e la scena in cui gli ascensori si aprono...

Rapporto letture - Aprile 2015

Aprile è stato un mese dedicato interamente al racconto di fantascienza. Non che l'abbia fatto volutamente, ma in qualche modo mi sono trovato a scegliere tra i vari volumi a mia disposizione (alcuni in attesa da anni, altri acquisiti da poche settimane) solo raccolte, di uno o più autori.

La prima antologia che ho voluto leggere sostava sugli scaffali da parecchio, credo almeno 5-6 anni. Non avevo mai trovato la disposizione mentale per iniziare a leggere la raccolta di Tutti i racconti 1947-1953 di Philip K. Dick, ma alla fine mi sono deciso. In realtà non sapevo bene cosa aspettarmi, perché pur avendo già letto molto di Dick non sempre mi sono ritenuto soddisfatto. Si tratta di uno di quegli autori che a mio avviso si "impara ad apprezzare", come ad esempio anche Stanislaw Lem. Tornando alle origini della sua produzione temevo di perdere un po' quella maturità artistica che appunto ho imparato a riconoscere ed apprezzare. In parte avevo ragione, ma fortunatamente non mi sono ritrovato troppo spiazzato. Buona parte dei racconti qui contenuti infatti sono storie di fantascienza molto regolari, dall'avventuroso alla hard sf, con qualche intrusione di fantastico e mistery. Solo in alcuni si scorgono i temi per i quali Dick è stato in seguito (molto in seguito) ricordato. Il livello medio dei racconti è buono, ma difficilmente eccellente, sembra di leggere una tipica antologia di racconti di fantascienza della golden age: per alcuni decisamente mediocri (Il teschio, Il cannone) ce ne sono altri notevoli (Roog). Questo mi ha permesso quindi di gradire almeno in parte le storie anche se non erano quello che mi aspettavo. Ho anche notato che qui Dick ha sfruttato un paio di idee che mi ero appuntato e avevo intenzione di usare per scrivere dei racconti, in particolare in Tony e i coleotteri e Cavie. Queto comporta che dovrò cassare le idee dalla mia to-write-list, o quantomeno integrarle notevolmente. Perché ormai non c'è più niente da inventare... voto: 6.5/10

La seconda raccolta letta invece l'ho acquistata meno di un mese fa, forse non ho saputo resistere al Dalek in copertina. In Intanto, da qualche parte nello spazio sono raccolti i racconti di fantascienza selezionati dalla piccola casa editrice Gorilla Sapiens (che normalmente non pubblica sf). Mi sembrava quindi un esperimento interessante leggere cosa avesse da proporre. In effetti sono rimasto abbastanza sorpreso, perché anche in questo caso non ho trovato esattamente quello che mi aspettavo. Questo perché io ho una mia idea di "antologia di fantascienza", che evidentemente però non è condivisa dai curatori di questo libro. Attenzione, non dico che siano brutti i racconti contenuti, solo ho qualche difficoltà a considerarli effettivamente di fantascienza. O meglio ancora, lo sono per gli elementi narrativi presenti (automi, astronavi, androidi), ma lo sono meno per lo sviluppo e lo stile delle storie, che raramente ha a che fare con la speculazione scientifica e più spesso vira verso il surreale, o il satirico, o il nonsense vero e proprio. Non che non si possa scrivere sf surreale, o sf satirica, ma in questo caso sembra che queste siano le uniche strade percorribili, il che mi pare anomalo. Insomma, sembra di leggere una raccolta di fantascienza messa insieme da qualcuno che non legge fantascienza, il che probabilmente è molto vicino alla realtà. Quindi rimane un buon libro, ma non è il libro che consiglierei a chi mi chieda una buona raccolta di racconti di fantascienza di autori italiani. Voto: 7/10


Concludiamo il mese con il numero 69 di Robot, che essendo dell'estate 2013 mi era effettivamente rimasto sullo scaffale più del dovuto... della parte saggistica niente di particolare da rilevare (solo che i resoconti delle convention di Pohl mi sembrano alquanto noiosi visto che si concentrano sulla sua vita personale di cui faccio volentieri a meno). Per quanto riguarda i racconti ci sono alti e bassi: buone le storie di Giovanni De Matteo (viaggio nel tempo e senso della storia contemporanea italiana) e Jay Lake, qualche dubbio in più sulle altre presenti. In particolare il racconti di Valeria Barbera, anche questo incentrato sui viaggi nel tempo, mi è sembrato forzatamente contestualizzato nell'ambiente camorristico, con personaggi al limite del macchiettistico e un assunto fantascientifico di base che in realtà sembra più funzionare come la maledizione di un genio dispettoso. In definitiva niente di memorabile ma lettura mediamente interessante. Voto: 6/10

Coppi Night 26/04/2015 - Snowpiercer

Da un paio di settimane mi sta andando abbastanza bene nelle serate del Coppi Club, perché sto trovando l'occasione per vedere dei film che avevo in watchlist già da qualche tempo. Stavolta ho potuto vedere Snowpiercer, sul quale avevo sentito pareri discordanti, dall'entusiasta al deluso. Dopo aver sperimentato direttamente, posso dire che la mia collocazione è un po' a metà strada tra questi due estremi.

Il film è sicuramente interessante, visivamente molto suggestivo e di sicuro stimolante anche dal punto di vista dei temi. Si tratta di una delle varie distopie che ultimamente vanno alla grande (c'è che dice che il recente successo del genere distopico deriva da un diffuso senso di disillusione, ma di questo parleremo in altra sede), qui forse esasperata nel livello allegorico, visto che tutta la presunta umanità sopravvissuta è stivata in un unico treno che viaggia da 18 anni intorno al mondo, con una specifica e rigida suddivisione in classi sociali.
 
Ora, come ho già detto ci sono degli aspetti interessanti, ma in altri casi il plot si piega un po' troppo alle esigenze della sorpresa o della simbologia. Il viaggio dalla coda del treno alla testa, passando per i vari livelli di benessere e funzionalità, risulta avvincente, perché a ogni nuovo scompartimento scopriamo nuovi ambienti, occupanti e potenziali minacce, come in un videogioco. D'altra parte viene anche da chiedersi come il treno, per quanto autosufficiente, possa mantenere certi sistemi come un acquario (peraltro a galleria con pareti trasparenti), un allevamento di galline e tanti altri meccanismi. Inoltre è piuttosto insolito che ci si preoccupi tanto della sopravvivenza del treno (inteso come macchinario e come ecosistema) e non ci sia il minimo interesse per il mantenimento dei binari su cui esso viaggia, a maggior ragione considerando che non c'è più alcun tipo di civiltà al di fuori che possa occuparsi delle rotaie. Difficile credere che in diciotto anni di glaciazione non ci sia un solo tratto interrotto o deformato. Io in realtà mi sono anche domandato a cosa servisse in effetti che il treno si muovesse, visto che trattandosi di un ecosistema autosufficiente probabilmente avrebbe potuto benissimo rimanere fermo alla stazione e mantenere a tempo indeterminato tutta l'umanità.

Insomma, il film si guarda volentieri, ma non regge a un'analisi più approfondita della trama. I successivi twist infilati a partire da metà in poi non sono così imprevedili per lo spettatore minimamente smaliziato. Il finale poi non mi è sembrato così in linea con i temi stessi della storia, e anche abbastanza fuori personaggio per i superstiti. Ma oh, ci sta benissimo che sia io troppo esigente, il film tutto sommato mi è piaciuto anche se mi aspettavo qualcosa di più intenso.