Arrivo in extremis, ma eccomi finalmente con il rapporto lettura di fine estate 2021. Solita premessa sul fatto che l'estate per me non è un periodo di maggiori letture, anzi praticamente l'opposto, in questo periodo tanto più che avevo alcuni progetti da completare in quelle settimane (tipo il nuovo romanzo?) ed eventi che mi hanno portato via tempo (tipo presentazioni del nuovo romanzo?). Comunque, qualcosa abbiamo portato a casa.
Iniziamo con quello che sia un inedito assoluto per
Unknown to Millions: una rilettura! Credo siano davvero vent'anni buoni che non rileggo un libro, perché ho sempre l'idea (giustificata ogni volta che vedo gli scaffali della libreria) che non ci sia tempo sufficiente per leggere cose già note. In questo caso però mi sono permesso un'eccezione, perché con tutto l'hype intorno a
Dune non potevo presentarmi impreparato. Non sto qui a ripetere l'adorazione totale che ho per questa saga, o almeno per quella di
Frank Herbert, perché le fanfiction dei suoi eredi sono una cosa ignobile, come ho avuto modo di
spiegare ampiamente proprio qui sul blog in tempi non sospetti. Ho deciso quindi di rileggere il romanzo originale, per prepararmi alla visione del
film di Villeneuve e anche per farne l'
analisi strutturale su Story Doctor. Non mi metto a fare recensioni adesso, sarebbe come recensire
I promessi sposi. Dico solo che riletto "da adulto" (la mia lettura iniziale della saga risale ai 15-17 anni) e con un'esperienza di vent'anni di lettura, formazione, scrittura, ecc, questo libro regge ancora alla grande. Nonostante alcuni difetti che le moderne convenzioni narrative condannerebbero (tipo i POV che saltano da un paragrafo all'altro tra i personaggi), la ricchezza e profondità del testo è davvero impressionante. E tutto questo pur avendolo ancora letto nella vecchia traduzione degli anni 70, senza nemmeno andare alla versione originale. Rileggendolo ho capito molto di più e molto meglio certe cose che forse a 15 anni ancora non potevo cogliere... forse come è successo allo stesso Paul quando ha scatenato la sua jihad, e solo dopo si è reso conto di cosa è successo davvero. Insomma, mi sento di dire che qui stiamo davvero parlando di un capolavoro che attraverserà le epoche. E forse ora grazie a Villeneuve raggiungerà tante altre persone, magari tutta una nuova generazione di lettori che saranno iniziati al Golden Path.
Bi-lal kaifa!
Passiamo poi a un po' di sana manualistica, che di solito non commento perché le ritengo letture "professionali", ma in questo caso mi sembra interessante fare qualche riflessione su
La scrittura non si insegna, il pamphlet anti-corsi di scrittura di
Vanni Santoni. So che a presentarlo così dico una bugia, ma niente di più grave di quanto fa Santoni stesso nel titolo, quindi non mi sento in colpa, perché il paradosso e la provocazione sono evidenti quando si pubblica un libro in cui si sostiene di non insegnare scrittura nonostante al tempo stesso si tengano corsi di scrittura. Lo capisco, è un gioco a cui gioco anch'io sui miei canali, è così che funziona l'aggancio iniziale. In realtà il punto di questo manualetto non è quello del titolo, o almeno lo si può ritrovare solo in parte. L'impressione iniziale è che Santoni sostenga che la scrittura si assorbe per osmosi, e che leggendo tanti bei libri ci si scopra capaci di produrre libri altrettanto belli, infatti buona parte del volume è dedicata a liste su liste di libri da leggere, soprattutto per quanto riguarda la narrativa moderna occidentale, dato che, bene o male, il canone del romanziere contemporaneo è quello. Ma la questione è più complessa di così, e l'autore stesso riconosce in qualche nota a più di pagina che lo studio e la conoscenza di modelli narrativi sono utili per la progettazione e produzione di storie. L'equivoco di fondo che si può creare intorno a questo manuale a mio avviso è su cosa si intende per "scrittura", perché qui l'impressione è che ci si riferisca principalmente alla scrittura di opere di literary fiction, quella roba che si cura tanto di "scrivere bene" ma che poi se non c'è niente da raccontare tutto sommato va anche bene perché la scrittura è bella. Il discorso sulla scrittura di Santoni è soprattutto un discorso sullo stile, sulla costruzione di un "voce autoriale" e quello, sono abbastanza d'accordo, non si insegna, perché deve essere un percorso personale. Percorso che, però, non può prescindere anche dallo studio e dall'apprendimento, e va da sé che se c'è qualcuno che impara, da qualche parte c'è qualcuno che insegna, magari non in maniera diretta ma attraverso lezioni trasmesse oltre le barriere dello spazio e del tempo. Non credo che Santoni sarebbe mai contrario alla lettura delle
Lezioni americane di Calvino, per dirne una. E di conseguenza, non potrebbe esserlo nemmeno rispetto al
Viaggio dell'eroe. Che poi un particolare modello/mauale/insegnante sia più o meno valido, utile o farlocco è normale. Ma la scrittura, come tutte le discipline, si impara eccome, un po' per osmosi, un po' per imitazione e un po', anche, per studio attivo. Questo stesso volume peraltro illustra numerosi principi e convenzioni della scrittura moderna, a volte coniando dei termini per definirli (come le
banality, quelli che io chiamo
giornalistismi) a volte omettendo l'etichette comunemente adottata dal resto del mondo, come per l'universale
shodontell. Se affrontato con questa premessa, credo che questo sia comunque un manualetto utile, di lettura velocissima e con consigli preziosi, oltre che lunghe e approfondite liste di lettura.
E veniamo alla lettura tosta del bimestre, ma mi sento di dire, dell'intero anno. Tosta perché mi ha completamente devastato, mi ha sconvolto come non mi capitava davvero da anni. Ho amato tutta la saga della War With No Name di
Robert Repino, e aveva alte aspettative per
Malefactor, ma dio mio, non così. Ho pianto come un idiota soltanto a leggere il titolo dell'ultimo capitolo, e se ci ripenso ora che sono qui a scriverne mi torna su il magone. Facciamo un passo indietro: la saga della Guerra Senazome inzia con
Mort(e) che avevo letto anni fa e mi aveva tanto esaltato che gli avevo
dedicato un post intero. È la storia della guerra tra umani e animali, una
Fattoria degli animali senza l'allegoria politica e con molta più violenza. Il nemico principale sono le formiche, la Regina che medita per migliaia di anni il suo attacco e poi scatena i suoi soldati contro la civiltà umana, al tempo stesso "elevando" tutti gli animali facendoli diventare versioni antropmorfe, bipedi, senzienti e parlanti, e desiderosi di ribellarsi ai loro padroni. Il primo libro non racconta della guerra, che vede gli umani sconfitti in pochi mesi, ma segue le gesta di Mort(e), un gatto domestico che si chiamava Sebastian ed è diventato un eroe di guerra, ma per tutto il tempo non ha smesso di cercare Sheba, la cagnolina con cui condivideva la cuccia. Mort(e) avrà un ruolo determinante negli equilibri della guerra, un ruolo che la Regina ha previsto, perché la Regina conosce tutto, anche la sua stessa disfatta (curiosamente, si trovano tematiche molto simili a quelle di
Dune). Dopo
Mort(e) sono usciti
Culdesac, una novelette ambientata durante la guerra, e il secondo romanzo
D'Arc, che prosegue la storia dieci anni dopo la fine della guerra, portando nuove minacce (sempre manovrate dalla Regina nel passato) e nuovi protagonisti, tra cui appunto Sheba, o meglio, D'Arc. Dopo di che arriviamo a questo
Malefactor, che continua a poca distanza dal secondo libro, portando all'estremo il conflitto tra i tanti animali e i pochi umani che hanno ereditato il pianeta dopo la guerra. La cosa straordinaria che ho trovato in questo romanzo è la profonda
umanità dei personaggi, e non lo dico per fare una battuta, ma questi gatti, cani, castori e pipistrelli parlanti sono così veri e vivi che davvero si sente di averli accanto, di essere cresciuti con loro. Dopo essersi separati, Mort(e) e D'Arc sono costretti a tornare insieme per affrontare una nuova minaccia, e ancora c'è il progetto a lungo termine della Regina, che sapeva tutto, vero agente del caos che continua a distruggere tutto in un ciclo infinito di guerre. Il ciclo deve essere spezzato, se gli animali vogliono sperare di vivere in pace, ma per riuscirci bisogna essere pronti a compiere dei sacrifici. Mort(e) è invecchiato, la sua mente si sta dissolvendo dopo lo scontro con i Sarcop del libro precedente, e non ne può più di combattere, ma c'è una cosa che lo guida: l'amore, profondo e incondizionato per D'Arc, e non è uno stucchevole amore romantico, è la dedizione totale a qualcuno che ti ha cambiato la vita. Ho letto le interviste di Repino, e racconta di come Sebastian e Sheba siano stati la sua ispirazione, questo gatto e quella cagnetta che dormivano nella stessa cuccia, che si proteggevano a vicenda dai pericoli di un mondo minuscolo, che era tutto ciò che conoscevano: è questo che Mort(e) e D'Arc continuano a fare, solo che il mondo adesso è e norme, e i pericoli coinvolgono tutti. È questo che si sente, la forza e la dedizione di creature che sono disposte a tutto pur di proteggere ciò che hanno caro: esiste una forma d'amore più nobile di questa? Potrei stare davvero per ore a parlarne, se solo non mi venisse da tirare su col naso. Credo di aver imparato tanto da questa saga, e ci sono citazioni che continuo a ripetermi:
the water flows / i know you, where have you been? / don't worry. don't be sad. i am strong. i will not leave you. / you and i will meet again, in the darkness, where you and i will be the only light. Credo onestamente di non aver letto nessuna serie così potente e coerente, e sicuramente sarà perché tocca tematiche a cui sono molto sensibile, ma Sebastian ormai è uno dei miei eroi assoluti. Rinnovo di nuovo l'appello agli editori in ascolto a dare un'occhiata a questa saga, leggere il primo libro (che funziona già di per sé, non è incompleto) e magari pensare di tradurlo. Mi offro di lavorarci io come traduttore a tariffe ridicole, se vi preoccupano i costi. Ma vi prego, vi prego, portatelo ai lettori, #traduceterepino. Io tutto quello che posso fare è parlarne (e forse lo farò ancora) e assegnare a
Malefactor, in rappresentanza di tutta la saga, un inedito
voto 10/10.
Ok torno a scrivere dopo aver fatto una pausa perché davvero mi stavo rimettendo a frignare, e ora posso parlare dell'ultimo libro letto a settembre, un titolo di Zona 42 che è il libro precedente al mio, il romanzo
Dono di
Alessandro Baoli, autore poco più che esordiente che però ha impressionato così tanto l'editore che hanno voluto subito portarlo a bordo della Zona. È una storia postapocalittica, ambientata in una Roma (mai nominata, ma si intuisce) bruciata da un sole letale, conseguenza estrema del cambiamento climatico fuori controllo, al quale sono sopravvissuti solo alcuni sparuti gruppi di umani. E anche qui ci sono gli animali, e sono in guerra con gli uomini, perché in questa nuova epoca di sofferenza gli uomini sono prede di scimmie e serpenti, che hanno intelletto e piani forse più sofisticati dei pochi disperati rimasti. La storia è narrata in prima persona da Dono, che è uno schiavo grato di esserlo, totalmente dipendente e adorante del suo padrone, che è per lui un semidio. La storia segue questo gruppo di derelitti che cerca di raggiungere una possibile fonte di salvezza, ma è soprattutto una storia di perversione estrema, perdita di tutto ciò che crediamo ci renda umani meritevoli di salvezza. I protagonisti non sono eroi, ma non sono nemmeno supercattivi, sono creature abiette e misere, e forse Dono proprio perché si compiace della sua posizione infima è il più onesto di tutto, nonostante menta a sé stesso e agli altri. In un certo senso sembra di leggere la storia di una di quelle bande di punk cattivi di Kenshiro, vista dalla loro prospettiva. La trama non è certo complessa ma la scrittura è forte e personale, e anche se si notano alcune sbavature di inesperienza, l'insieme riesce a trasmettere un senso soffocante di ansia e disperazione e tanto, tanto
caldo.
Voto: 7/10