È passato così tanto tempo da un post con gli ultimi acquisti musicali che avevo quasi dimenticato che esistesse una rubrica del genere su questo blog. I motivi non li sto a ripetere, che sennò sembra che mi lagno sempre, ma se scavate nel passato li trovate. Fatto sta che nelle settimane scorse ho sentito l'esigenza di acquisire nuova musica, e a motivarmi è stata essenzialmente l'uscita di un disco in particolare, dalla quale poi ho colto l'occasione per aggiungere altra roba.
Iniziamo quindi da chi ha reso possibile questo post, ovvero Dominik Eulberg. A settembre di quest'anno, otto anni dopo l'uscita di Diorama, Dominik ha pubblicato il suo nuovo album Mannigfaltig. Non che fosse rimasto fermo in questo tempo, perché di EP ne sono usciti parecchi, ma finora nessuna raccolta organica di tracce come questa. Mannigfaltig ovvero "molteplicità" se riesco a interpretare abbstanza il tedesco, trae ispirazione come sempre nel caso di Eulberg dal mondo naturale. Ogni traccia infatti è dedicata a un animale, nello specifico ogni titolo è il nome di una creatura che (sempre in tedesco) contiene nel proprio nome comune un numero da uno a dodici. Lo stile di questo autore è inconfondibile e non riesco a capacitarmi di come pur producendo una techno a volte anche abbastanza dura ma ricca di calore, Eulberg riesca a far risuonare davvero l'armonia di questo mondo naturale come lui la percepisce. Sfido chiunque ad ascoltare Goldene Acht e non percepire la fiera leggiadria di questa farfalla, oppure non venire sopraffatti dalla maestosità dei ghiacciai a cui è dedicata Elfenbein-Flechtenbarchen. Questo è un disco da secondo-terzo-quarto ascolto, perché se al primo passaggio certe tracce possono sorprendere, in seguito si riesce a capire meglio ciò che rappresentano. Dominik Eulberg si conferma così uno dei miei artisti preferiti, una mente profonda e ingenua allo stesso tempo.
Parlando di bestie, mi ricollego con James Holden, qui presente nell'imaginaria compagnia di un collettivo denonimanto The Animal Spirits, con un album intitolato, appunto The Animal Spirits. Un disco di difficile collocazione, da parte di un autore che praticamente da solo ha inventato un nuovo genere di musica elettronica, la neotrance, e poi con la stessa nonchalance l'ha abbandonata, uno che si è permesso nel suo primo album di inserire una traccia intitolata Intentionally left blank, con cinque-sei minuti di silenzio, alla John Cage. Insomma, da Holden ci si può aspettare l'inaspettato, e qui lo troviamo perché le tracce contenute in questo album per certi versi sembrano delle improvvisazioni, intrecci di IDM, electro-jazz e ambient. Musica piacevole ma straniante, che a volte come in Thunder Moon Gathering sembra non prendersi troppo sul serio e altre invece come con The Animal Spirits forma una cappa di claustrofobia difficile da reggere. Si sente comunque la presenza di un'ispirazione che si collega in qualche modo a suoni naturali, ritmi da raduni pagani nei boschi sotto la luce della luna.
Propaganda è un album del 2017 di Oliver Huntemann che mi ero perso. Una collezione di tracce techno-electro oppressive e cupe, una variazione sul tema introdotto già tempo prima in Paranoia, come già la copertina suggerisce. Tracce da titoli poco rassicuranti come Kamikaze, Malaria, Egoist, Doppelganger. Non c'è niente in questi pezzi che metta a suo agio l'ascoltatore, anzi la generale sensazione di inquietudine è il nucleo intorno a cui si sviluppa tutta l'opera. Viste le prove precedenti di Huntemann probabilmente non si può dire che si tratti di materiale di grande originalità, ma la capacità di evocare certe atmosfere è innegabile.
Discorso simile si può fare anche per Drown, ultimo album dell'anno scorso di Fritz Kalkbrenner. Anche qui si avverte per lo più una sensazione di urgenza e ansia. La differenza sta nel fatto che finora il meno famoso dei fratelli Kalkbrenner si era invece contraddistinto per il calore dei suoi pezzi, che declinavano la techno quasi in chiave folk, con testi ricchi e avvolgenti, e l'aggiunta di strumenti come armonica, sax e sitar. In Drown invece è tutto diverso: non c'è un solo vocal in tutto l'album, le sonorità sono asciutte, asettiche, l'ispirazione è una tech-house precisa e impersonale, come già i titoli dei pezzi composti da singoli verbi fanno intuire. Si farebbe fatica ad attribuire questi pezzi a Fritz Kalkbrenner, se non ci fosse il suo nome sulla copertina. Difficile dire se si tratti di un'evoluzione cercata dall'autore, oppure di un esperimento in un territorio a lui meno familiare, proprio per dimostrare di potersi sganciare dall'immagine che finora si era creato. Di per sé forse questo album non sarebbe così innovativo, tutt'altro, ma considerato all'interno del percorso artistico del suo autore acquisisce tutto un altro significato.
gran bei consigli.
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