5 cose da non dire a uno scrittore esordiente

Disclaimer: voglio rassicurarvi, non è che da oggi Unknown to Millions diventa un buzzfeed con titoli acchiappacitrulli tipo "la loro reazione è epica" o "il numero 2 vi sconvolgerà". Di fatto, il post che segue non lo avevo scritto per pubblicarlo qui, era nato per finire su un blog collettivo che ha cessato l'attività. Ho pensato quindi che, piuttosto che lasciarlo orfano, avrei potuto trovargli una nuova casa qui. Ma con tutta probabilità sarà il primo e ultimo post "X cose che Y" che vedrete qui sopra. Da domani si torna ai discorsi noiosi senza elenchi puntati. Godetevela finché dura.

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La tradizione vuole che gli scrittori siano una razza volubile e permalosa. Forse in parte è vero, e magari esistono anche studi seri che dimostrano una correlazione tra certi tratti caratteriali e la predisposizione alla scrittura. Ma è altrettanto probabile che questo stereotipo si sia diffuso quando la gente ha iniziato ad accumulare reazioni di sufficienza (o anche scontrose) ai suoi tentativi di conversazione con gli autori.

Ma perché gli scrittori in genere hanno questo tipo di reazioni? Può darsi che in realtà si tratti della naturale risposta alle continue sollecitazioni, tutte uguali, che ricevono ogni volta che la loro attività diventa argomento di conversazione?

Non serve andare a intervistare i grandi della letteratura per avere conferma. In effetti qualunque giovane (in termini editoriali) scrittore “esordiente” (con tutte le riserve che si possono fare sull’utilizzo di questo termine), quando parla del suo lavoro, si trova spesso a subire gli stessi commenti, domande, battute. Sia chiaro, nessuno mette in dubbio la buona fede della controparte, che di solito ritiene di intervenire in modo amichevole, originale, anche simpatico. Il problema è che pressoché tutti gli interlocutori dello scrittore utilizzano gli stessi commenti, magari con formulazioni diverse ma sempre con lo stesso senso. Viene quindi naturale, la centordicesima volta che ci viene posta la solita domanda, rispondere con un grugnito.

Nella mia pur limitata esperienza di autore, ho già potuto riscontrare questa cosa. Pur essendo uno che tende a tenere per sé le sue attività letterarie (nel senso che non sono di quelli che si presenta dicendo “Piacere, scrittore”), ci sono situazioni in cui l’argomento è inevitabile: presentazioni, premiazioni, convention, spedizione di manoscritti via posta… in certi casi appare evidente a tutti di trovarsi davanti a uno scrittore, e allora scatta uno dei soliti commenti. Personalmente, i più ricorrenti (e di conseguenza i più odiosi), sono questi cinque.


    “Dovresti scriverci un libro”

Questa credo che sia la più ricorrente, anche perché una volta che l’interlocutore ha acquisito la nozione che scrivi, potrà ripresentartela in ogni occasione gli capiti qualcosa di interessante. Di solito viene proposta come nota finale al racconto di un aneddoto, a significare qualcosa del tipo “che cosa straordinaria che mi è successa”. Spesso poi l’evento eccezionale che merita di essere narrato è aver trovato il carrello della spesa con la monetina già inserita.

Si presenta anche nella variante “ho avuto un’idea straordinaria per un libro ma non so scrivere, te la racconto così la scrivi tu”. Purtroppo no, non funziona così. Le idee, anzi, sono la parte più facile. Se avessi una macchina da scrivere telepatica in grado di buttare giù in forma organica tutte le idee che vorrei sviluppare, sfornerei un libro alla settimana.

La risposta più efficace in questo caso cenno affermativo e un mezzo sorriso. Imbarcarsi a spiegare come si arriva alle idee da sviluppare e cosa comporta lavorare su un testo risulterebbe presuntuoso, quindi meglio evitare.


    “Mi fai avere una copia?”

Il verbo "regalare" di solito non lo usano, ma è sottinteso. Perché se vuoi una copia, sai già dove acquistarla. Ma se la chiedi a me in questo modo, stai ambiguamente chiedendo che te la regali, o almeno che te la presti per farti valutare se valga davvero la pena. La formula è anche usata, magari in buona fede, come forma di cortesia. Come dire “rispetto il tuo lavoro e voglio dimostrarti che mi interessa”, ma in questi casi di solito non è così, il libro regalato finirà nel portariviste dell’ingresso e li rimarrà fino al prossimo trasloco.

La risposta, subito pronta, deve essere “il libro lo trovi qui”, citando un sito, una libreria, o il banchetto a venti centimetri dietro di lui. Sconsigliato portare con sé le copie dell’opera, perché si rischia che passino di mano senza nemmeno accorgersene. E poi se insegui il malfattore e reclami l’importo dovuto, passi per venale o simoniaco.


    “Fammi un autografo così lo rivendo quando diventi famoso”

Anche questo è un tentativo di battuta che diventa irritante molto presto. Certo la richiesta di dedica e firma fanno sempre piacere, e questa formula può essere anche un augurio di un rapido successo. Ma a volte quel quando diventi famoso può essere inteso come una presa in giro, un “sì, vabbè, come se ti potesse mai prendere in considerazione qualcuno”. Che poi è anche vero nella stragrande maggioranza dei casi, ma se mi stai esprimendo apprezzamento non dovresti farmi notare che sono l’ultimo degli imbecilli. C’è anche da considerare che la frase sottintende un certo disinteresse per l’opera in sé: “di questo libro me ne frega il giusto, per cui sarò pronto a rivenderlo appena sarà vantaggioso”.

Una risposta sagace sarebbe “ok, poi tu lo fai a me così se tu diventi famoso io divento ricco”. Rivoltando la cosa l’interlocutore dovrebbe capire il senso sminuente della sua frase, ma al solito, si risulterebbe alquanto spocchiosi. In alternativa, procedere a dedica incomprensibile in modo che nel malaugurato caso in cui il successo arrivi davvero, il simpaticone non possa trarne alcun guadagno.


    “Quando esce il film?”

Anche questa a una prima analisi può sembrare una domanda innocua, e persino benaugurate. Se vuole sapere quando uscirà il film tratto dal tuo libro, vuol dire che si aspetta che abbia un successo tale da richiamare l’attenzione di produttori cinematografici.

Ma sta anche alimentando il circolo vizioso per cui il valore di un’opera si misura dalla sua popolarità, perché film tratti da libri che hanno venduto quaranta copie se ne vedono pochi. Sta, anche in questo caso, insinuando che il libro di per sé non suscita un grande interesse, ma se ci faranno un film, allora, beh, è un altro discorso.

Per carità, sarebbe grandioso un film ispirato a una tua storia. Ma è un’eventualità così improbabile che parlarne è come chiedermi quand’è che diventerai re del Congo. Tu lo sai, e lui sa che lo sai. Quindi, anche stavolta, sotto sotto ti sta sfottendo.

La risposta adatta è ammettere che ci vorranno degli anni prima di poter vedere il film, perché James Cameron è entrato in conflitto con la casa di produzione e ora si stanno contendendo tra loro i diritti con aste milionarie che finiranno per ritardare l’inizio delle riprese.


    “Ti faccio leggere una cosa che ho scritto io”

Tra tutte, questa è forse la più imbarazzante. Ha una frequenza altissima, perché ormai è noto che siamo tutti scrittori. E il giovane (editorialmente) scrittore ha l’ingenua speranza di aver finalmente trovato qualcuno che condivida i suoi sogni, capisca la sua passione e possa aiutarlo nell’impresa. Perché solo parlando con qualcuno che Ha Pubblicato, è convinto di poterne in qualche modo assorbire le capacità e l’esperienza.

Quindi non è facile rispondere “no, guarda, lascia stare, non mi interessa, non ne avrei il tempo e comunque non posso esserti utile”, perché il rischio è quello di stritolare le legittime aspirazioni di qualcuno che vuole provarci. In un mondo ideale tutti gli scrittori sarebbero fratelli, ma non è così. Non per una questione di concorrenza, il mors tua vita mea in questo settore vale fino a un certo punto (anche se molti in effetti sono convinti del contrario). Ma ci sono così tante sfaccettature, così tanti approcci al mestiere, così tante sottoculture spesso impegnate in lotte fratricide, che davvero, un autore che già arranca per sé non ha le risorse per dedicarsi a quanti gli si propongono come apprendisti.

Plurale, perché non sarà un caso isolato. Nel fitto sottobosco degli aspiranti scrittori la notizia di un nuovo autore sul mercato si espande rapidamente, e presto tutti sapranno che Hai Pubblicato. Attualmente ricevo in media 2-3 richieste al mese di letture, recensioni, opinioni, suggerimenti. Di solito rispondo che, con calma, proverò a fargli sapere qualcosa, ma non prometto niente.

Credo che non ci sia risposta migliore, come compromesso tra onestà ed empatia. Siamo tutti stati degli scrittori aspiranti con il curriculum vuoto, piange il cuore a non concedere nemmeno un appello. Ma è bene che anche le nuove leve imparino che le porte di solito sono chiuse, e spesso anzi ti si chiudono sul naso.


Ci sono sicuramente altre frasi ricorrenti e altrettanto odiose, ma nella mia esperienza queste sono quelle più gettonate. Se avete altri esempi, o suggerimenti di valide risposte a quelli qui elencati, condividete pure.

2 commenti: