Essere la pecora nera: gli eroi di Blomkamp

Questo post nasce dalla visione di Chappie, l'ultimo film di Neill Blomkamp uscito pochi giorni fa. Blomkamp era esploso come rivelazione all'epoca di District 9, poi era ricaduto con Elysium, e ora prova a riemergere con questa nuova opera. Il mezzo è sempre lo stesso: un film di fantascienza. E di quella fantascienza immediata, riconoscibile a chiunque: se c'è della sf che a volte rimane quasi nascosta, o non del tutto palese ai non addetti ai lavori, in questo caso i dubbi non ci sono: alieni insettoidi e robot umanoidi, innesti cerebrali e colonie orbitali: gli elementi di partenza delle storie del regista sono a prova di equivoco.

Ma al di là della trama, c'è qualcosa che ricorre in tutti e tre i film: i protagonisti di Blomkamp sono sempre degli esclusi, emarginati, diversi, o tutte queste cose insieme. Sono, come viene affermato chiaramente in Chappie (anche se lo si poteva già notare nei precedenti) delle "pecore nere". Individui estranei al loro contesto, in lotta per affermare la propria posizione e identità. In District 9 Wikus Van Der Merve era inizialmente un raccomandato ottuso e successivamente un ibrido umano-gambero braccato dai suoi ex colleghi. Il Max di Elysium fa parte della classe sociale di disperati ai quali è negato qualunque diritto, e anche una volta passato all'azione rimane un traditore per i suoi compagni. In Chappie le pecore nere sono numerose: il robot protagonista, una forma di intelligenza complessa nata ai margini della società e incapace di integrarsi con le altre; ma anche i suoi genitori: sia Deon che materialmente gli ha dato vita che Ninja e Yolandi che lo hanno cresciuto. Questi personaggi umani sono a loro volta degli esclusi, estranei ai canoni della società se pure in direzioni opposte. È facile trovare parallelismi tra tutti questi protagonisti, e rilevare come il loro percorso sia sempre quello di affermazione, in un primo tempo, che li condurrà poi al necessario sacrificio finale, quando riescono ad accettare il loro ruolo di pecora nera. Se inizialmente c'è una contrapposizione tra essi e il nemico (umani contro alieni, ricchi contro poveri, criminali contro robot), andando avanti il confine sfuma, ed è difficile riconoscere chi sta da una parte e chi dall'altra.

C'è anche un altro aspetto che accomuna i tre protagonisti, Wikus, Max e Chappie: il conto alla rovescia. Tutti infatti stanno subendo un qualche processo che limita le loro possibilità di salvezza entro un limite di tempo brevissimo: Wikus si sta trasformando in un gambero alieno, e dovrà trovare il modo di invertire il processo prima di completare la mutazione; Max ha ricevuto una dose letale di radiazioni e ha pochi giorni per trovare la cura prima di venirne consumato; Chappie ha una batteria in esaurimento che non può sostituire e ha bisogno di trovare il modo di trasferirsi in nuovo corpo prima di perdere la coscienza faticosamente acquisita. Se la corsa contro il tempo funziona da una parte come meccanismo narrativo, imponendo azione e rapidità nello svolgimento della trama, certamente ha anche un suo valore a livello di sviluppo dei personaggi. Di fronte a un conto alla rovescia così stringente, molti scrupoli devono essere ignorati, le questioni morali si ridefiniscono, e l'autoaccettazione deve avvenire velocemente.

Se queste tematiche erano già presenti nei primi due film, in Chappie emergono con maggiore chiarezza. Non solo perché vengono esplicitate, ma anche perché il focus qui è ancora più interno al gruppo delle pecore nere. Chappie cresce conteso tra due diverse ideologie di vita, entrambe contrarie al Sistema. Non è una sorpresa quindi che la sua formazione lo conduca a dilemmi e soluzioni controverse, anche contraddittorie. In tal senso la presenza di personaggi "estremi" come i Die Antwoord sicuramente non è casuale: oltre all'origine sudafricana (come Blomkamp stesso), i due incarnano anche al di qua dello schermo un fenomeno di difficile definizione, dal punto di vista musicale, comunicativo, sociale. Anche il fatto che nel film mantengano gli stessi nomi che hanno nel nostro universo narrativo vuol dire qualcosa. Pecore nere tra le pecore nere.

Nessuno pensa che Neill Blomkamp abbia inventato qualcosa. La fantascienza da sempre si occupa di temi sociali, usando il meccanismo dello straniamento e del cambio di prospettiva per descrivere quello che c'è raccontando di qualcosa che non c'è. Ma è interessante notare come questo filo conduttore possa potenzialmente unire tutti i film, in un'ideale "trilogia" a cui forse nemmeno lo stesso regista ha pensato di dare un inquadramento unitario.

Coppi Night Special Edition 05/04/2015 - Oldboy

La "special edition" consiste nel fatto che domenica scorsa era pasqua, quindi non si è svolta secondo le solite modalità. Non era sera ma le sei del pomeriggio, non c'era la pizza ma un blandissimo tè per far defluire i resti di agnello, non eravamo in 5-7 membri del Club ma due. Ma insomma, la domenica un film va visto, e così siamo andati su questo.

Oh, attenzione, non sto parlando dell'old Oldboy, ma il new Oldboy, quello di Spike Lee di qualche anno fa. Avevo già visto il primo film, quello del regista coreano, e abbiamo scelto di vedere questo proprio per fare il confronto, per vedere come la traslazione nel contesto (culturale e cinematografico) americano influenzasse la riuscita del film. Il risultato è poco incoraggiante.

Partiamo dalla premessa che io non sono un amante del cinema orientale, tutt'altro. Limite mio, per carità, ma le poche volte che mi è capitato di vedere film coreani, cinesi o giapponesi (inclusi quegli horror morbosi che poi vengono remakizzati puntualmente in USA) non sono mai rimasto troppo convinto. Questione di allenamento forse, o di comprensione di un linguaggio differente. Oldboy però non mi era dispiaciuto, per quanto alcuni aspetti mi continuassero a rimanere oscuri, posso dire che era riuscito a colpirmi e disturbarmi, in un modo che pochi film sono riusciti a fare (mentre, per dire, Lady Vendetta dello stesso regista mi ha lasciato piuttosto indifferente).

In questa versione yankee però, qualcosa si perde. La storia è essenzialmente la stessa: il protagonista viene tenuto recluso per un lungo tempo senza saperne il motivo, dopodiché viene liberato e deve cercare di capire chi è stato e perché. Qualche combattimento, l'incontro con un paio di personaggi chiave, la rivelazione finale e il twist. Il tutto qui però è meccanico, sembra far parte di un piano già studiato ed eseguito perfettamente: il che ha senso, dalla parte del villain, ma non dal protagonista. La lucidità e prontezza con cui lui agisce, dopo vent'anni di prigionia a mangiare ravioli cinesi e senza mai vedere la luce del sole, è piuttosto inverosimile. Nella versione originale era molto più evidente lo stordimento, la paranoia, l'ansia che comprensibilmente pesano sull'uomo, rendendolo allo stesso tempo fragile e letale. Qui invece sembra ritornare come se fosse Batman addestrato da Raz Al Ghul. Anche la spiegazione finale è leggermente diversa, così come la reazione alla rivelazione, ma a quel punto fa poca differenza.

È chiaro che questo film non aveva l'intenzione di essere una copia fedele dell'altro, quindi non si può giudicarlo in base a quanto si assomiglino. Tuttavia ho il dubbio che anche al netto del paragone non rimarrebbe poi tanto di valido: forse un buon film d'azione, ma nulla più. Credo che il problema di fondo sia proprio che chi ha realizzato il film non si sia impegnato troppo per dare intensità alla storia, pensando che "beh, tanto l'altro lo conoscono già".

Rapporto letture - Marzo 2015

Nuova mesata di letture, stavolta siamo rientrati in media rispetto al mese scorso con 4 buoni libri digeriti nel corso di marzo. Anche stavolta buon assortimento di autori italiani e internazionali, passati e recenti, e pure di generi, dalla fantascienza all'horror al mainstream.

Cominciamo con Christopher Priest, autore di cui mi sono promesso di approfondire la produzione dopo aver letto The Adjacent. Ho voluto quindi leggere Inverted World, una delle opere più apprezzate di Priest. E meno male che l'ho fatto, perché si tratta di una delle cose migliori che ho letto da qualche anno a questa parte. Questo mondo alla rovescia inizia in una città (che si chiama Earth/Terra), autosufficiente e semovente. All'inizio può sembrare solo un'ambientazione curiosa, ma lentamente si scopre che la città è strana perché vive in un mondo ancora più strano, dove ad esempio il tempo si misura in spazio (gli anni si contano con le miglia percorse dalla città). Tutto viene appreso gradualmente, seguendo il percorso di formazione del protagonista/narratore Helward, che prima di entrare a far parte della Gilda a cui ha richiesto l'ammissione deve prima imparare qualcosa di tutte le altre che regolano il funzionamento di Terra. Le cose si fanno davvero complesse quando Helward deve riaccompagnare alcune donne ospiti della città ai loro villaggi, perché è qui che si inizia a comprendere la vera natura del mondo. Lo sforzo immaginativo necessario per seguire la narrazione è intenso, ma di grande soddisfazione. Alla fine poi la rivelazione che chiude la storia torna a invertire tutto, stavolta in più di un senso. Tutto questo rende il romanzo un'opera davvero eccezionale, in grado di catturare il lettore e renderlo partecipe, insieme ad Helward, del percorso di apprendimento (del mondo ma anche di sé) che conduce al definitivo cambio di prospettiva. Voto: 9/10


Passiamo poi a un libro della Factory I Sognatori: Terra degli orsi è stato scritto da Alessandra Favilli, autrice pisana o giù di lì che è stata tra le prime del gruppo che ho conosciuto più di un anno fa, in occasione della mia prima presentazione di Spore. È anche curioso notare che ho finito questo libro il giorno stesso in cui ho visto per la prima volta un orso (allo zoo di Pistoia, nda). In questo libro seguiamo la storia di tre donne: una dottoranda contemporanea impegnata in un progetto di monitoraggio degli orsi in Trentino, una signora di fine 800 impegnata nell'affermazione dei diritti delle donne, e una delle suddette orse introdotte in Trentino. Le tre storie si intrecciano, andando a costruire un incastro in cui si riescono a rilevare alcuni elementi in comune: a unire le tre donne è la definizione della libertà, la ricerca di un'affermazione di sé e del proprio ruolo. Da apprezzare il fatto che le parti raccontate dal punto di vista dell'orsa non ricorrono a una banale antropomorfizzazione dei pensieri dell'animale. Forse manca una chiusura più completa della storia di Anna, la donna di fine 800, che pur avendo un collegamento con le altre non sembra raggiungere un compimento altrettanto efficace. Probabilmente non si tratta del genere che riesco ad apprezzare di più, ma rimane comunque un libro interessante e ricco di spunti. Voto: 6.5/10


Mi sono preso il lusso di leggere Pashazade, terzo libro pubblicato da Zona 42, solo dopo aver visto pubblicato il mio libro, in una sorta di tacito ricatto. Questo romanzo di Jon Courtenay Grimwood, primo di una trilogia, è ambientato in un'Alessandria ucronica, collocata in una linea temporale in cui la prima guerra mondiale non è mai avvenuta e l'Impero Ottomano ha continuato a mantenere la sua influenza in tutto il nordafrica. Il protagonista è appunto il pashazade, il figlio di un emiro, giunto dagli Stati Uniti per il matrimonio combinato a sua insaputa. In realtà ZeeZee/Ashraf si trova invischiato tra omicidi e intrighi politici dei poteri che cercano di contendersi il controllo della città. La storia segue una molteplicità di personaggi, ma senza dubbio il protagonista è il più intrigante dei tutti, un antieroe sempre in bilico tra la ricerca della giustizia e del proprio interesse, ed en passant della propria identità. È interessante che il contesto ucronico rimanga un elemento di fondo, ovvero che non sia preponderante nello svolgimento della storia, come di fatto sarebbe se il romanzo si svolgesse nella linea temporale che tutti conosciamo. L'unica cosa che non ho ben compreso è il legame tra la storia presente e i capitoli del passato di ZeeZee. Si tratta in ogni caso di una storia avvincente che lascia con la voglia di leggere le parti successive delle avventure di Raf, Zara e la volpe. Voto: 7/10


Concludo con una raccolta horror: Oscure Regioni (volume uno) è un'antologia di dieci racconti di Luigi Musolino, pubblicata da RiLL. Musolino è un autore che conosco (anche personalmente) da alcuni anni e di cui ho già letto molti lavori. Alcuni dei racconti qui contenuti li avevo letti in altre raccolte, o addirittura sui forum su cui probabilmente sono nati. Il tema di questo libro sono miti e leggende del folklore italiano, con una storia per ogni Regione (qui ce ne sono 10, ecco perché si tratta del volume uno, presumibilmente quest'anno uscirà il secondo): abbiamo così streghe, creature dei boschi, chimere, mostri del sottosuolo e così via. In molti casi le leggende sono state "incupite", accentuando gli aspetti più oscuri e tralasciando quelli più favolistici. Ne esce quindi una mitologia fatta di incubi ed esseri malvagi, e l'idea che ne viene fuori è ben lontana da quella del Bel Paese... forse l'unica cosa che manca a questo libro è un'appendice in cui vengano illustrate le leggende a cui sono stati ispirati i diversi racconti, sarebbe stato interessante poter confrontare i racconti con la loro origine. Una raccolta di grande interesse, che riesce a rendere giustizia alla produzione italiana di genere, in questo caso dando letteralmente spazio a tutte le Regioni, o almeno a metà di esse. Aspettiamo la seconda parte della raccolta per chiudere il tour. Voto: 7.5/10

Coppi Club 29/03/2015 - Kingsman

Mi è sempre piaciuto questo film, forse anche perché l'ho visto per la prima volta al cinema da ragazzino e l'ho trovato molto divertente. Anche rivedendolo in seguito ho continuato ad apprezzarlo, iniziando a cogliere meglio gli aspetti umoristici. Certo bisogna anche considerare che all'epoca Will Smith era al top...

No aspetta. Non c'è Will Smith? Ah, non stiamo parlando di Men in Black? Ops, scusate la confusione è che... non so, a vedere questo Kingsman mi è rimasto questo pervadente segno di dejà vu. Allora: abbiamo un'associazione spionistica segreta che opera al di sopra di qualunque altro potere nazionale e sovranazionale, tecnologie oltre il livello attualmente diffuso (e in alcuni casi oltre la fisica), complotti globali per sterminare buona parte dell'umanità, un agente veterano che pone la sua attenzione su un giovanotto "ribelle" del tutto estraneo all'ambiente, letale mood da gentlemen, strumenti che provocano amnesia, test di ingresso e addestramento, agenti che assumono "nomi d'arte" una volta entrati nell'organizzazione, assistente cane (un carlino per la precisione)... se facessi questa descrizione, di che film pensereste che sto parlando? Non è Men in Black giusto perché non ci sono gli alieni, ma tutto il resto coincide. Le affinità sono così forti che in certi casi mi è sembrato di vedere davvero le stesse scene, ad esempio durante la scelta delle armi mi aspettavo di sentir dire "un grillo tonante".

Beh, ma almeno se è così simile a MIB che ti piace, mi sarà piaciuto anche questo, no? Eh no, non è così facile. Al di là del fatto che stiamo parlando di un caso di plagio piuttosto viscido, in realtà il film ha numerosissimi altri problemi. A partire da quest'associazione che non si capisce da dove tragga la sua autorità e immunità, che professa standard morali altissimi ma poi non si fa problemi a uccidere decine e centinaia di agenti di sicurezza proletari e mettere in salvo la principessa (della principessa riparleremo tra poco). La trama è sconclusionata e incoerente, perché non si capisce chi sa cosa e chi sa fare cosa, il protagonista (quello giovane) dopo aver terminato l'addestramento e pur non esendo stato ammesso ha acquisito capacità di combattimento a livello Jedi, gente con una mongolfiera riesce ad arrivare all'esterno dell'atmosfera terrestre nel giro di un'ora, un super villain che poi sarebbe l'alter ego malefico di Zuckerberg che elabora un piano totalmente insensato per ripulire la popolazione umana, ma che soprattutto, diosantissimo, nonostante tutta la sua genialità non capisce come cazzo funziona un interruttore, e ha bisogno di tenere il dito premuto sulla sua superconsolle perché l'apocalisse si scateni, non è che basta premere il pulsantone rosso e la fine del mondo si avvia, no, bisogna tenere il dito sopra il pulsantone rosso! Are you fucking kidding me!?

L'unico spunto interessante del film è il modo in cui la fine del mondo viene scatenata: con qualche imprecisata trasmissione il cattivo riesce ad "attivare i centri della violenza" e così la gente prende ad ammazzarsi l'uno con l'altro. Qualche bella sequenza di risse di massa ce la regala, ma è troppo poco e comunque non ha senso nell'economia del film, ché se il villain avesse voluto sterminare il 95% della popolazione avrebbe fatto prima ad avvelenare le riserve d'acqua. Senza considerare quei due-tre miliardi di individui del pianeta che un cellulare non ce l'hanno mai avuto e che quindi sarebbero immuni dal tutto.

Ma quello che più di tutto manca a questo film è l'ironia. Men in Black funzionava perché era leggero e ironico, non si prendeva sul serio. Qui invece i Kingsman ce li vogliono far passare come un corpo di super agenti invincibili che dove mettono le mani salvano il mondo, ma il messaggio non passa. Appaiono impostati, finti, snob, proprio come i dialoghi vorrebbe farci credre che non sono. Io non mi fiderei mai di uno di loro, anzi mi ispirava molta più simpatia il cattivo, che per inciso è interpretato da Samuel L. Jackson. E il pegio è che ci provano pure, ogni tanto, a fare la battuta, ma siamo ai livelli di Colorado. No, non sto scherzando: parliamo della principessa.

La principessa di Svezia, rapita insieme a tutti gli altri nobili del globo, è tenuta prigioniera e verso la fine del film viene salvata dal giovane protagonista. Quando poi lui le dice che sta andando a salvare i mondo, lei gli chiede se possono fare sesso anale dopo. E a mondo salvato, lui si presenta con bottiglia di champagne nella sua cella. L'ultima immagine, su cui si chiude il film, è il culo della principessa di Svezia che si ingrandisce fino a riempire tutto lo schermo. A casa nostra le facevamo quarant'anni fa queste cose, e non c'era bisogno dei Kingsman, c'era Pierino.

Ultimi acquisti - Marzo 2015 (parte due)

Dopo aver illustrato album ed EP nella prima parte del post, passiamo adesso ai singoli, con i quali intendo tracce uniche arricchite al più da un remix. Si parla di diverse cose interessanti.


Cominciamo con un disco che in realtà stavo già ascoltando da alcuni mesi ma che ancora non possedevo: Awake di Santé (con un featuring per la parte vocale) è una di quelle tracce ma decise, una techno che si colloca efficacemente a metà strada tra il semplice ascolto e l'uso in pista. Agoria si diverte a giocare un po' con i suoni nel suo remix, e il disco risulta così completo. Pezzo fissa del momento, uno degli esempi non frequenti in cui il testo di un pezzo techno conferisce forza ed emotività.




Questo l'ho preso semplicemente perché era bello da vedere, si tratta di fatto del mio primo vinile stampato. Poi l'ho anche ascoltato e allora mi sono convinto: Len Faki remixa Everything di Fauntleroy, traendone la parte più psichedelica e inseerndo un paio di drop ben studiati. Ottimo pezzo da ascoltare a ripetizione, con ogni componente che assume a turno la sua importanza.






Passiamo nel reame della techno più hard, con Arrivals di Jay Lumen: due tracce che fanno a meno di qualunque tipo di melodia, concentrandosi sulle componenti essenziali, kick, hat e clap, con qualche vocal di contorno per enfatizzare i momenti topici. Un genere di musica che per quanto possa apparire ripetitivo riesce a non stancare mai, anche se non è più in auge come una ventina d'anni fa...





Dall'hard alla minimal più tipica, e il nome che focalizza l'attenzione qui è ovviamente Villalobos, che insieme a Tobias si impegna per questo EP remixando Ambiq. Non era una cosa facile, perché Ambiq è un album di Claudio Puntin, Samuel Roher e Max Louderbauer (quest'ultimo già collaboratore di Villalobos in altre occasioni) di difficile definizione, sospeso tra ambient, jazz musica astratta. Forse l'unica strada per un remix era una minimal looposa e asimmetrica, come quella in cui Villalobos eccelle. Ne esce quindi un disco lento e riflessivo, che trasmette in modo efficace le atmosfere del lavoro originale.


Concludiamo con un disco che non dovrebbe rientrare tra i miei acquisti. Dj Slugo infatti è (brrr, solo a dirlo ho i brividi) un rapper, credo anche di media fama. E non avrei mai preso questo se non avessi notato sul retro che la musica di questo pezzo è in effetti di Nicolas Jaar, il che cambia tutto. Ghetto è un pezzo deep house sul quale il suddetto Slugo canta alcune semplici frasi di classica impostazione rap. Ma a fare la differenza è appunto Jaar, e il fatto che il lato B del vinile presenti la versione dub, che non eccelle magari in virtuosismi di nessun tipo ma è più che suffficente a giustificare l'acquisto.