Doctor Who 14x03 - Boom / L'algoritmo della morte

Moff's back baby!

Vedere il nome di Steven Moffat sulla title card è stato subito un momento di grande sollievo.  Non ho mai fatto mistero del fatto che Moffat sia il mio scrittore preferito di DW, quello che maggiormente riesce a sfruttarne le potenzalità, e probabilmente anche quello che utilizza di più le gimmick fantascientifiche (dal che forse deriva il mio maggior interesse). Ma del ruolo e della scrittura di Moffat ho parlato già in un video su Story Doctor OFF quindi vi rimando a quello se volete approfondire il mio punto di vista. Qui rimaniamo su Boom.

 

In piena tradizione Moffat (don't blink, don't breathe, don't dream) questo episodio mette il Dottore nelle condizioni di non fare qualcosa: don't move, nello specifico. Bloccato su una mina (premessa affine a quella del film Mine), il Dottore è costretto a non muoversi e non usare nessuno dei suoi strumenti di risoluzione più tipici: il tardis, il cacciavita e la corsa. Gli rimane solo la parola, che insomma, per il Dottore non è poco.

Da qui inizia quindi la progressiva opera di convincimento prima di Ruby, poi dei soldati chierici che stanno combattendo la guerra, per intervenire e fermare il conflitto, così che la mina si disattivi prima di eliminare lui e buona parte del pianeta. È quindi tutta una battle of wits, dove il Dottore non solo è fermo ma anche vittima degli attacchi degli altri, e impossibilitato a intervenire per salvare Ruby. Non capita di frequente che Dottore e companion vengano colpiti, quindi vederlo succedere fa sempre una certa impressione.

L'abilità di Moffat (come dettaglio meglio nel video linkato sopra) sta nel collegare tra di loro i vari elementi di worldbuilding e relazioni tra i personaggi in modo da rendere appassionante e ricca di rivelazioni quella che è sostanzialmente una conversazione ferma in un unico posto. Nelle mani di altri sceneggiatori già l'idea di base sarebbe bastata per costruire tutto l'episodio, ma qui si riesce anche ad ampliare il raggio e includere il discorso sulla guerra e la sua inutilità, sulla disumanità e l'insensatezza dei conflitti che possono essere portati avanti senza criterio da algoritmi automatizzati. E non mancano anche i momenti emotivi, a partire dalla canzone iniziale fino alle catchphrases ripetute.

Volendo trovare un punto da criticare, forse la bambina sembra fin troppo ingenua e impermeabile a quello che succede intorno a lei, soprattutto all'età che dovrebbe avere pare che ragioni come un'infante di due-tre anni, e questo la fa risultare spesso irritante. Ma fortunatamente la storia non si concentra troppo su di lei e non viene utilizzata come oggetto per ispirare compassione, quindi questo fastidio rimane trascurabile.

Anche se i precedenti fondamentalmente mi erano piaciuti, questo è il primo epsiodio dai tempi di Capaldi che avrei voglia di rivedere. E ci voleva Moffat. Voto: 8.5/10



Rapporto letture - Marzo/Aprile 2024

Primavera di letture variegate. Alcune non ve le aspettate, garantisco. E alcune altre se le rispettive autrici sapessero di essere accomunate in un post darebbero di matto. Così va la vita.

Premetto che odio Italo Svevo e la sua collana di libri da tagliare. Mi dispiace, non la reggo questa idea, questo feticismo per l'oggetto-libro da prof di lettere di liceo classico. Infatti le pagine non tagliate di Lingua madre non le ho aperte io, ma sono stato aiutato da una persona con più pazienza e passione per la cartoleria. (Mi si dice che IS ha smesso di fare i libri così e le ultime uscite hanno le pagine normali: grazie). Ciò detto, ho voluto legger questo romanzo di Maddalena Fingerle per una congiunzione particolare: il completamenteo della mia Trilogia delle Lingue (vedi sotto) e la sua presentazione che avrei dovuto condurre a fine marzo (vedi ancora più sotto); also: funghi in copertina. La storia di Lingua madre è quella di un giovane bolzanino cresciuto in un paese di bilinguismo che però proprio nella lingua trova tutto il suo disagio, infatti non riesce a sopportare l'uso "sporco" che viene fatto delle parole, e questa sua fissazione diventa un'ossessione che porterà a risvolti drammatici nel finale. L'idea è valida e si aggancia bene al concetto di identità e appartenenza, e l'ossessività del protagonista è ben resa, tuttavia ho avuto l'impressione che la parte centrale della storia vagasse un po' a vuoto, attendendo il momento in cui le cose si sarebbero poi compiute verso la fine. Comunque una lettura piacevole e stimolante anche per lo stile ben controllato. Voto: 7/10

Poi, la tragedia. Scusa Maddalena  per averti messo sopra e sotto Colleen Hoover. È andata così signori, a gennaio sono stato ospite dell'evento Ape Booktok a Viterbo (se volete recuperare c'è il video qui) e dopo l'amabile chiacchierata, la host Arianna mi ha regalato non uno ma due libri: La Strada di McCarthy e It Ends With Us di Hoover. Se non avete familiarità con questo titolo, si tratta di uno dei maggiori successi mondiali degli ultimi anni, inquadrabile nel genere "dark romance", ovvero storia d'amore tormentata di protagonisti coi probbblemi, e trallaltro è da poco uscito il trailer del film che arriverà tra qualche mese, perché ovviamente ci fanno il film. Colleen Hoover è amatissima e odiatissima e questo libro in particolare ha ricevuto grande visibilità soprattuto negli ambienti booktok, nel bene e nel male. La storia è quella di una ventenne che si trasferisce a Boston e qui trova l'amore a prima vista di un neurochirurgo megaricco e strafigo che normalmente non si innamora ma per lei fa un'eccezione. Ah, e ogni tanto alza le mani. Quindi il racconto segue l'evolversi di questa relazione tossica con il partner abusivo e il modo in cui la protagonista giustifica le sue azioni. Ora: il tema è delicato, e certasmente bisogna essere sempre cauti ad approcciarlo. E Hoover scrive di merda, è la scrittura tipica delle fanfiction. Il libro quindi non è bello. Tuttavia, rispetto a cosa avevo sentito dire, ovvero che fosse diseducativo perché romanticizzava le relazion tossiche, che minimizzava le violenze e gli abusi, che promuoveva la sottomissione delle donne, ho trovato tutt'altro. La storia è raccontata dal punto di vista di una ragazza che, proprio perché si trova in un rapporto tossico tende a giustificare le violenze del partner, almeno fino al momento in cui si rende conto di quello che sta succedendo e quidi riesce a troncare. Non mi sento di poter confermare che sia diseducativo e pericoloso, anzi l'ho trovato fin troppo didascalico nel veicolare questo messaggio. Del tipo che non lo si può proprio mancare, non c'è verso che non si capisca cosa vuole dire. Ci sono tanti motivi per odiare questo libro e Colleen Hoover, ma il fatto che promuova gli abusi domestici, no, davvero. Al netto di tutto ciò, è comunque una sofferenza di lettura, quindi non gli si può dare più di un voto 4/10

Come dicevo, a fine marzo mi sono trovato a presentare l'ultimo romanzo di Maddalena Fingerle alla libreria Il giardino delle parole di Pistoia (passateci, nda), e per questo mi ero preparato leggendo Lingua madre ma poi ho dovuto leggere anche quello oggetto della presentazione, cioè Pudore. Questo romanzo racconta la storia di una ragazza abbandonata dalla sua compagna, che però non riesce a staccarsi da questa relazione e mantiene il legate cercando trasformarsi in lei: si veste come lei, si trucca come lei, si mette una parrucca come la sua, prova a parlare come lei (ma non ci riesce). In tutto questo possiamo vedere che la protagonista comunque ha una vasta schiera di problemi psicologici e relazionali, molti dei quali derivanti dal suo rapporto con la famiglia che da una parte detesta ma dall'altra non riesce a lasciare. Anche qui, la sensazione che avevo avuto con l'altro libro è simile, ovvero un'idea di base forte, una scrittura capace di trascinare nell'ossessione, e una risoluzione finale improvvisa e drammatica... ma nel mezzo un po' di vuoto, quasi che non si sapesse come riempire il tempo che deve passare dalla situazione iniziale della stori alla sua conclusione. Quasi come se avesse potuto essere un racconto, o al più una novella, piuttosto che un romanzo. Sommato al fatto che qui la situazione è molto più quotidiana e non c'è quella traccia di bizzarria dell'altro romanzo, Pudore mi è parso inferiore al precedente, e per me si assesta su un voto 6/10

Il terzo libro della Trilogia delle Lingue (il primo, se ve lo state chiedendo, era Lingua nativa) è Lingua Ignota di Hildegard Von Bingen / Huw Lemmey / Bhanu Kapil, che è il primo libro che leggo della casa editrice Timeo che fa roba fuori di testa (tipo il romanzo di Nicolas Jaar, di cui ho parlato occsaionalmente anche qui nelle sue vesti di dj [quando ancora su questo blog parlavo di musica *sigh*]). Ho messo tutte queste autrici perché Ildegarda di Bingen e le sue visioni sono l'ispirazione principale, intorno a queste è costruita sia la biografia poetica di Bhanu Kapil sia il racconto postapocalittico di Huw Lemmey. Difficile dire con precisione cosa si trovi in questo libro: rivelazione, fine del mondo, morte, rinascita, comunicazione, anticapitalismo, misticismo, epifania, femminismo, vuoto. Devo dire però che seppure affascinato dal tema e dal personaggio centrale, il libro mi è parso un po' disgiunto, i tre blocchi messi insieme (c'è anche una sorta di ted talk finale) non sembrano davvero coesi, e anche se ruotano intorno a Ildegarda sembrano puntare in direzioni diverse. Il racconto principale (quello di Lemmey) forse è un po' diluito e si trascina un po' troppo, e forse ha anche una bassa densità di Hildegard. Insomma, mi piace l'idea di aver letto questo libro e di poter parlare di questo libro, ma non sono sicuro che consiglierei la lettura di questo libro. Voto: 6.5/10

Siccome non vogliamo farci mancare una presentazione al mese, ad aprile mi sono trovato a presentare alla libreria Ornitorinco di Firenze (andateci, nda) due tardigradi di Eris: Creature dell'assenza di Bernareggi/Riva (di cui avevo già parlato [peraltro linkando il post noto ora che era nello stesso periodo in cui leggevo la biografia dello stesso Nicolas Jaar citato sopra]) e Il focolare è una bestia affamata di Angelo Maria Perongini, che mi sono letto per l'occasione. Si tratta di una novella ambientata nel giorno di natale, con il protagonista fuori sede che torna a casa della mamma piuttosto controvoglia per il pranzo coi parenti, e qui si instaura la solita dinamica di conflitti familiari causati soprattutto dal rancore della sorella per l'averla abbandonata con la mamma demennte senile. Sembrerebbe che tutto ciò non abbia niente di fantastico, quando verso metà la nipotina sparisce e la casa stessa inizia a manifestare strane proprietà. Nel complesso, la migliore definizione che ho trovato durante la presentazione è stata "Parenti serpenti incontra The Others". Forse ci mette un po' a ingranare, ma poi accelera bene nella parte finale. Voto: 7/10

Satollo di tutta questa narrativa, ho deciso di prendere qualche lezione da Philip Pullman e mi sono letto il suo Daemon Voices, che non è un manuale vero e proprio ma una raccolta di articoli, saggi, interventi, introduzioni che l'autore di Queste Oscure Materie ha tenuto nel corso della sua carriera, su temi assortiti intorno alla scrittura, i libri per ragazzi, il fantastico, le fiabe, la poesia, l'arte e Paradise Lost. Ho trovato degli spunti interessanti, che credo approfondirò altrove, probabilmente sul canale youtube per dedicargli lo spazio che meritano. A parte forse tutti i pezzi dedicati alla poesia di Milton (interessanti per carità, ma un po' offtopic), credo che sia un volume utile soprattutto a chi vuole scrivere fantasy e ha bisogno di farsene una prospettiva dall'esterno del genere, visto che Pullman stesso non si dichiara appasionato di fantasy e anzi ne sarebbe rimasto volentieri fuori fino a quando non si è accorto che ne stava scrivendo uno.

Infine un altro libro che mi tenevo sul kindle da un po', e che ho voluto provare per approfondire la narrativa sulle api: The Last Beekeper è il primo volume della serie Silenk Skies di Rebecca J. Farnley, una storia ambientata in un mondo postapocalittico (non ho capito con certezza se è la Terra o un altro pianeta) flagellato dal cambiamento climatico, in cui insetti e uccelli sono estinti e le sparute comunità di umani si barcamenano come possono cercando di tirare fuori un raccolto (impollinando manualmente  i fiori) anno per anno. Tutto ciò finché il fratellino della protagonista non scopre una singola ape regina (o meglio, un bombo) che da sola può dare vita a un'alveare e quindi aiutare in modo determinante la sopravvivenza della comunità. Il problema è che questo sarebbe un vantaggio troppo grande che le altre tribù vorrebbero evitare, ed è la ragione per cui decenni prima si è scatenata una vera e propria guerra che ha sterminato tutte le api e insetti impollinatori. La storia è scritta con un ritmo avvincente e riesce a trascinare, tuttavia ci sono alcuni cliché relazionali che servono a forzare conflitti insesitenti, oltre che un paio di occasioni in cui è evidente che la protagonista stia sbagliando nelle sue decisioni ma il fatto che le cose fossero diverse viene presentato come una grande rivelazione, che invece non è. Nel complesso una storia onesta e soddisfacente, anche se non mi ha lasciato con una voglia così soverchiando di proseguire la saga. Voto: 7/10


Doctor Who 14x02 - The Devil's Chord / Maestro

Well, that escalated quickly...

Siamo solo al secondo episodio e già Russel T. Davies mette in campo un supervillain, con collegamenti al Toymaker battuto nello speciale del 60° che ha causato la rigenerazione da 14 a 15, e anticipazioni per quello che probabilmente sarà l'arco orizzonate della stagione che portera al season finale. Considerando che il primo episodio invece era sembrato un po' troppo frivolo, questo sembra pesare dalla parte opposta, per motrare un Dottore già spaventato e in fuga da forze più grandi di lui.

Maestro a quanto pare fa parte del pantheon di entità che rappresentano alcune delle forze fondamentali dell'universo, figlio (non so bene come intendere questa parentela) del Toymaker stesso, e incarnazione della musica stessa. È sempre ineteressante vedere rappresentate forze cosmiche di questo livello, e la scelta dell'attrice è stata assolutamente azzeccata, perché Maestro ruba la scena in ogni occasione con la sua presenza volutamente ingombrante.

Il tutto si collega bene all'ambientazione anni 60 e alla musica dei Beatles, che però sarebbe stato bello vedere meglio integrati all'interno della vicenda. C'era l'occasione per un altro episodio con personaggi storici che si trovano a dover intervenire per salvare il mondo (come Shakespeare o Mary Shelley), e anche se tecnicamente 2/4 dei Beatles fanno proprio questo, non sono davvero cinvolti all'interno della storia, per cui il loro intervento finale è un deus ex machina poco soddisfacente. Poco male però perché risoluzione a parte, la costruzione e la tensione nel resto della puntata è davvero eccellente, e riesce a portare avnati sia la minaccia del villain del giorno che la promessa di quelli futuri, oltre al mistero che si sta costruendo intorno a Ruby, la cui ascendenza probabilmente nasconde qualcosa di rilevante, che lo stesso Maestro ha notato. Non che ci fosse bisogno di un'altra companion predestinata e importantissima, ma vedremo dove porta tutto questo (forse sarà davvero la volta che compare Susan?).

Sono curiosi in questa puntata anche i diversi momenti di rottura della quarta parete, che iniziano prima dei titoli quando Maestro si rivolge al pubblico e suona il tema di DW, e in seguito con le altre occhiate o occhiolini rivolti agli spettatori, così come la battuta sulla musica diegetica, che apre tutto un altro livello di metanarrazione. La cosa viene poi ulteriormente rafforzata dal momento (luuungo momento) musical finale, che sembra piuttosto self-aware. Viene da chiedersi se tutte queste occorrenze siano semplicemente da considerare rispondenti al tono di questo episodio, dominato dalla presenza poliedrica di Maestro, oppure se ci sia qualcosa di più profondo che dovrà ancora emergere e si potrebbe ricollegare al "the one who waits" che dovrà rivelarsi. Personalmente credo che non ci sia molto di più oltre la battuta occasionale, e dubito che DW diventerà uno show metanarrativo come a volte dimostra di essero per esempio Rick&Morty, anche se non sarebbe la prima volta che il Dottore si rivolge al pubblico.

The Devil's Chord quindi è una puntata solida, che riesce in questo caso a unire la frivolezza tipica di DW con la tensione più drammatica. Un'ottima controparte di questa doppia season (series?) premiere. Voto: 7.5/10


Doctor Who 14x01 - Space Babies / La stazione spaziale dei bambini

Togliamoci subito il dubbio: lo so che la chiamano "stagione 1" affermando il fatto che questo sia un reboot, ma non prendiamoci in giro, non è davvero così e quindi qui proseguiremo la numerazione precedente, per cui questa diventa la stagione 14.

È però importante tenere presente che di fatto questa si propone come una "stagione 1" e quindi questa in pratica è una season premiere. Lo si nota dalla lunga introduzione con cui il nuovo Dottore spiega a Ruby i rudimenti della sua lore: Timelords, Tardis, viaggio nel tempo e nello spazio, eccecc. Naturalmente per chi conosce già DW tutto questo è superfluo, ma non risulta troppo pesante ed è giustificato dalla presenza a bordo della nuova companion.


Arrivando all'avventura vera e propria, personalmente posso dire che l'ho detestata. Non per la storia in sé (che ha i suoi problemi) ma perché ci sono dei neonati parlanti. E mi dispiace, io lo trovo uncanny alla massima potenza, non riesco davvero a vederli come cute o come divertenti: sono terrificanti e basta. Partendo da questo punto, è difficile riuscire a empatizzare con il resto della puntata, ho comunque provato a seguire tutto con distacco come se non fosse uno film dell'orrore.

Possiamo dire che la storia è effettivamente sciocchina, ma sappiamo bene che DW è anche questo: il camp è uno dei valori che la serie esprime al meglio, quando vuole, grazie anche a una lunga tradizione di scenografie implausibili e prop fatte in casa. Va bene così, lo amiamo per questo. Semmai, il dubbio è più sulla conclusione, che diventa eccessivamente melodrammatica, percorre territori già visti (quante creature erano "l'ultime della loro specie", anche ignorando il Dottore in sé, e sono state quindi infine risparmiate?) ma lo fa in maniera didascalica, senza davvero portare a una rivelazione o risoluzione autentica. Si arriva al finale wholesome senza davvero guadagnarcelo, ma solo perché il Dottore è di buon cuore (e questo Dottore, pare che lo sia più del solito).

Niente da dire sul Dottore in sé come personaggio e performance, certo dobbiamo ancora conoscerlo, ma l'interpretazione di Ncuti Gatwa è abbastanza caratteristica e personale, e finora è sembrato credibile e anche riconoscibile rispetto agli altri. L'assortimento con Ruby funziona... forse anche troppo. Considerando che si sono conosciuti letteralmente ieri nella cronologia della serie, sembra che siano fin troppo affiatati e in confidenza, e Ruby stessa è quanto mai disposta ad accettare l'incredibilità di ciò che la circonda senza porsi troppe domande. Ovvio che avere la companion che chiede continuamente cosa succede risulta noioso, ma così sembra invece di avere a che fare con qualcuno che già faceva questo di mestiere.

In definitiva, un episodio nel range del mediocre, certo non brutto ma nemmeno brillante. E forse qualcosa di azzardato per essere considerato "season premiere" visto che spinge un po' troppo in quella campiness che da DW ci si può aspettare, ma che forse non è digeribile da tutti gli spettatori, soprattutto quelli che la trovano come primo impatto. Voto: 6/10