Fine estate impegnativa con diverse letture forzate per impegni e un paio di discorsi antipatici che mi tocca fare e porteranno ad argomenti più estesi, altrove da qui.
In realtà inizio con un recupero, perché mi ero dimenticato nel rapporto letture precedente che ad agosto avevo letto pure Solaris. O meglio, riletto, perché il capolavoro di Stanislaw Lem lo avevo già letto tanti anni fa, forse troppi, non abbastanza per essere in grado di capirlo davvero. Per questo ho pensato che fosse il caso di provare a rileggerlo (nella nuova traduzione pubblicata da Sellerio) per vedere come mi sembrava adesso che sono forse un po' più maturo del diciannovenne (o anche meno) che lo ha letto la prima volta. E vabbè, che vi devo dire. Mica avete bisogno che vi parli io di questo libro, no? Per me è tutto quello che la fantascienza dovrebbe essere, fare e dire. Lem si conferma una delle mie guide spirituali, l'obiettivo che non raggiungerò mai come scrittore. Sono anche in difficoltà a dare un voto perché, davvero, con che diritto assegno un numero a una cosa del genere.Iniziato durante l'estate ma finito a inizio settembre, Tomorrow and Tomorrow and Tomorrow è una lettura su cui ero partito con una certa diffidenza. Avevo sentito parlare di questo "romanzo sui videogiochi" di Gabrielle Zevin, ambientato tra la fine degli anni 90 e il 2000, e temevo un'operazione notalgia per millennial malinconici. Invece si è rivelato meglio costruito di quello che pensavo, con la storia dei due amici game developer che lavorano assieme dai tempi della scuola fino all'età adulta, perdendosi e ritrovandosi, litigando e facendo pace, mentre il mondo attorno a loro cambia insieme alle loro vite. È un libro che rappresenta bene il rapporto tra due persone che collaborano da una vita, e tra i quali scorre anche un filo di romanticismo che però non trova mai soddisfazione. Mi è sembrato che nella parte finale andasse a forzare un po' la situazione, quando uno dei personaggi secondari fa una brutta fine, mi è sembrato un meccanismo artificioso per portare nuovo conflitto tra i protagonisti, ma in generale è trattato tutto molto bene, con un uso intelligente del narratore onniciente (probabilmente ne parlerò sul canale) e il giusto spazio al game design. E soprattutto, niente notalgia per i perduti anni 90. Voto: 8/10Quelli che seguono sono i tre romanzi finalisti del Premio Mondofuturo, la prima edizione di un premio letterario per romanzi di fantascienza organizzato nell'ambito del Trieste Science+Fiction Festival di cui sono stato giurato. Li ho letti tutti nel corso di settembre perché appunto dovevo fornire la mia valutazione in tempo. Devo ammettere che non è andata benissimo, i tre finalisti (selezionati da una commisione interna) mi sono sembrati tutti poco adeguati, di certo non il meglio che si potesse trovare nella fantascienza italiana del 2023 (di questo ho parlato durante le riunioni con la giuria, ed è stato preso in considerazione, per cui non sto accoltellando nessuno alle spalle). Iniziamo dal primo, Prigionieri dell'effimero di Nino Martino, a mio avviso il peggiore in assoluto. Il romanzo è ambientato sul pianeta utopico di Sogno III (che però, in un'occasione diventa inspiegabilmente Mango III, wtf!?), occupato da una comunità che potremmo definire di hippy spaziali dediti ai giochi di ruolo (tanto che obbligano tutti gli stranieri in visita a partecipare a una sessione di roleplay perché così possono tracciare la loro personalità). Su questo pianeta perfetto è avvenuta la morte di una scienziata/poetessa, che si sospetta essere un omicidio ma di cui non si riesce a scoprire moventi e colpevoli. Dell'indagine sono incaricati due fratelli, agenti di una qualche forza d'ordine interplanetaria (e figli dei protagonisti di storie precedenti dell'autore) che sono l'esempio più efficace di bamboccioni privilegiati dal nepotismo. I due protagonisti infatti sono degli inetti totali, non hanno una singola qualità o expertise, non arrivano a una sola deduzione logica ma lasciano che sia la loro IA ginoide (che ha accesso a tutte le informazioni del mondo e capacità di calcolo infinite) a mettere insieme i pezzi, mentre il resto viene svolto in videochiamata dai genitori che se ne stanno nella loro villa a prendere il tè. L'unica cosa che sono in grado di fare i fratelli è punzecchiarsi a vicenda (a volte con uno strano innunendo erotico), chiedere alla IA di fare qualcosa al posto loro, osservare i corpi delle donne (umane o robotiche o olografiche non importa) che per qualche ragione hanno sempre queste vesti leggere che scoprono i seni, e guardare dalla finestra della loro astronave a fine capitolo in modo che si possa concludere con uno scorcio di uccelli che volano contro il tramonto. La parte investigativa è del tutto assente, priva di qualsiasi tensione perché ogni cosa viene risolta offscreen, piena di red herring che non portano da nessuna parte e risolta poi semplicemente con un interrogatorio che sarebbe potuto facilmente svolgersi al giorno 1. Le brillanti deduzioni proposte sono in realtà le informazioni di base che gli investigatori avrebbero dovuto avere sul caso, per esempio il fatto che la vittima fosse una poetessa di fama interplanetaria con un fandom di cultisti dovrebbe stare nei file dell'indagine, no? E invece no, quando lo scoprono pare una grande rivelazione. Ci sono sicuramente degli spunti fantascientifici che hanno un qualche valore ma non sono niente di diverso da quello che si leggeva nel 1945 e sono accrocchiati dentro una storia che non li supporta, quasi per ficcare temi "importanti" (l'arte, la vita, la morte) e dare così di riflesso profondità al libro. Una cosa che mi ha fatto particolarmente incazzare per la sua illogicità è che la tipa che è stata uccisa (una nigeriana nerissima con i denti bianchissimi, cosa che ci viene fatta notare a ogni occasione) era una biologa che seguiva la terraformazione del pianeta, ma al tempo stesso una poetessa "effimera" nel senso che le sue poesie diffuse in rete avevano un codice intrinseco che le faceva sparire dopo un giorno. Ecco, proprio perché lei usava questo codice di autodistruzione dei suoi post su tumblr, è capace di ricavare che nel codice genetico delle piante di Sogno III è presente un gene che porta all'autodistruzione nel giro di qualche generazione. Cioè capito, è come dire che siccome so come fare un header in html allora se leggo il DNA di un cammello so quali geni compongono la testa. E tutto ciò riguarda solo quella che è la costruzione della storia, ma la scrittura stessa è di un livello infimo. Ripetitiva, farraginosa ma al tempo stesso vuota, e i dialoghi in particolare sono spesso surreali, i personaggi hanno delle interazioni inconsequenziali, parlano tra loro come se metti Siri e Alexa a rispondersi a vicenda. Ci sono poi alcune espressioni lessicali curiose, come per esempio l'uso reiterato di "qualche cosa" in vece di "qualcosa", che forse era prassi nel ventennio, ma oggi, ecco, la lingua corrente è un po' aggiornata. Nota di demerito per il male gaze rivolto a questi corpi sinuosi e capezzoli sporgenti che emerge in ogni capitolo, e quella punta di paradigma colonialista con le razze non bianche ritenute "esotiche". Un romanzo veramente brutto sotto tutti i punti di vista, che non rende assolutamente giustizia al livello della fantascienza contamporanea. Voto: 4/10Secondo libro della tornata era Il dio elettrico, del pressoché esordiente Federico Tamanini. Qui la storia inizia da una IA globale che prende il controllo e decreta che la sopravvivenza dell'umanità richiede dei sacrifici, impone quindi a ogni nazione di scegliere una possibile strada per evitare l'estinzione: vita sotterranea, svolta ambientalista, emigrazione su Marte ecc. La premessa, per quanto certo non originale, ha comunque un potenziale, perché conduce a un mondo diviso in zone in cui ognuna pratica una strada diversa sotto il giogo di quest'entità malevola, un po' come se AM di Harlan Ellison per qualche motivo avesse a cuore la continuazione dell'umanità ma non perdesse il suo odio per i creatori. Purtroppo a partire da qui la trama si fa dispersiva, con un tentativo di romanzo corale che però rimane solo fuori fuoco, dato che le vicende di buona parte dei personaggi non hanno nessun impatto sulla storia e si concludono senza una vera risoluzione. Inoltre il finale è un deus ex machina terribile, con l'IA onnipotente che viene battuta perché il suo programmatore aveva già previsto un codice per disattivarla alla bisogna e doveva solo trovare il modo di avvicinarsi, per cui tutte le azioni costruite fino a quel momento appaiono del tutto irrilevanti dato che la soluzione c'era già. Di buono c'è che alcune sequenze di azione sono condotte benino e alcuni personaggi hanno storie personali abbastanza interessanti, ma tutto ciò rimane annacquato nella mediocrità del resto. La scrittura anche qui ha difetti macroscopici, con sezioni di infodump (una in apertura al libro che descrive tutta la situazione, tanto che sembrava il riassunto della stagione precedente di una serie tv) e problemi anche a livello di sintassi, spesso nei dialoghi non si capisce chi parla i soggetti delle frasi balzano da una frase all'altra. Anche le mere convenzioni tipografiche sono ignorate, per esempio nella formattazione dei dialoghi. Una convenzione banale come quella di usare il corsivo per i pensieri inframezzati ai dialoghi qui è ribaltata, con i dialogue tag che decrivono le battute in corsivo, e i pensieri tra virgolette (wtf!?). Roba che basterbbe aver letto due libri negli ultimi trent'anni per aver notato come viene svolta di solito. Naturalmente su questi aspetti la responsabilità va imputata all'editore, perché se decidi di pubblicare un testo che magari ha delle imperfezioni tecniche, ti incarichi di metterlo a posto, e invece qui non è successo. Nel complesso non mi sento di squalificare troppo il libro, perché l'autore è alle prime armi e qualche spunto interessante è presente. Questo è uno dei casi in cui l'intervento di un buon editor avrebbe potuto tirare fuori da un'opera grezza e approssimativa un prodotto quanto meno discreto. Non posso assegnargli la sufficienza ma ho una moderata fiducia nelle possibilità di Tamanini, se avrà la pazienza di mettersi a studiare e lavorare meglio sui suoi testi. Voto: 5/10L'ultimo finalista del premio è considerato uno dei maggiori esponenti della fantascienza italiana, e appartiene a quella cerchia di "autori urania" che spesso vengono presi a rappresentaione dell'intera scena fantascientifica. Di Piero Schiavo Campo credo di aver letto un paio di racconti (sulle antologie estive di questi anni) ma Il viaggio della Electra Persei è il primo romanzo. Anche questo si apre con un lungo infodump che è letteralmente il riassunto delle puntate precedenti perché fa riferimento a fatti e nozioni derivanti da Il sigillo del serpente piumato, con cui questo romanzo condivide l'ambientazione in una galassia che sfrutta il paradigma della simulazione, in cui esistono esseri e poteri sovrannaturali che corrispondono agli sviluppatori del nostro universo. In questo la storia si svolge come una space opera classica, con protagonsita un diplomatico che si ritrova coinvolto in traffici loschi e assiste alla distruzione della Terra. Per ripristinare il pianeta natale deve accettare la sfida di uno di questi esseri superuniversali, che sfortunatamente anche qui si conclude con l'intervento di un deus ex machina... indovina? Un'IA superintelligente, anche qui. Ci sono idee interessanti, come gli scacchi infiniti e il pianeta che riproduce l'inferno dantesco, ma anche questi sembrano rimanere al livello di curiosità, non sono mai troppo approfonditi e integrali nella vicenda. La narrazione ogni tot capitoli viene interrotta da parti in cui una voce narrante (quella dell'autore?) illustra alcune nozioni sul multiverso, la probabilità, i viaggi nel tempo ecc. Informazioni interessanti, che però non è chiaro come si inquadrino nella vicenda complessiva, da che punto della storia derivino e sembrano del tutto extradiegetiche, quando ci sarebbe stato modo di farle emergere dalla storia. Nel complesso questo è un romanzo leggibile, la scrittura è precisa e pervasa da un velo d'ironia che la rende piacevole, ma non brilla sicuramente né per innovazione né per stile, sembra un po' di leggere certe cose che scriveva Farmer negli anni 60. Voto: 6/10Chiuso il sottocapitolo del premio, passiamo ad altre letture. Avevo fatto un po' indigestione di fantascienza per cui mi sono dovuto disintossicare e ho pensato di farlo con Bugifera, l'ultimo capitolo della saga del Regno di Taglia di Jack Sensolini e Luca Mazza. Se vi ricordate qualche mese fa avevo letto Apocalemme e mi aveva conquistato, e il fatto che a così breve distanza abbia letto il successivo mi sembra rivelatorio. Bugifera chiude l'esalogia (novelle incluse) iniziata con Vilupera qualche anno fa, e riprende dalla fine del precedente, con la guerra infernale che sta per travolgere tutto il Regno. A opporsi alla discesa dei demoni ci sono i Fratelli di Taglia, soldati rinnegati che si incaricano di combattere la guerra che il re aveva cercato di condurre da solo. La storia segue due piani principali, uno con i preparativi alla guerra (che intrecciano molte delle vicende e personaggi incontrati nei volumi precedenti) e l'altro con la processione (Via Trucis) con cui uno dei protagonisti viene torturato per compiere un rito demoniaco che porterà all'evocazione dell Bugifera, la "Fiera del Vespro" che dovrebbe portare il mondo alla rovina totale. Come hanno già dimostrato, gli autori hanno uno stile unico e un'intensità rara nel raccontare le gesta di derelitti e antieroi, che come dicevo per Apocalemme bilancia dramma e farsa in un modo impeccabilel che mi ricorda i migliori spaghetti western. In questo caso devo ammettere che mi è piaciuta di più la parte di processione/rituale, che ha dei momenti di estrema truculenza ma mantiene il tono epico/biblico, mentre la guerra è forse un po' affrettata nelle parti iniziali, ma diventa poi più convincente andando avanti. Nel complesso si respira un'atmosfera quasi nostalgica, si percepisce che quella che stiamo leggendo è la fine di qualcosa (di una saga, di un'era, di un regno, e di tante persone) e questo lo rende a suo modo diverso da tutti i precedenti. Apocalemme rimane il mio preferito ma questo è una più che degna conclusione. Voto: 8/10La bellezza è un libro che mi era stato segnalto fin dall'uscita perché parla di funghi che contaminano e ibridano gli umani, e l'ho finalmente letto (in preparazione del podcast sui funghi) e posso dire che sì, ha molti tratti in comune col mio Spore (che però è uscito prima, ecco). In questo romanzo Aliya Whiteley racconta di un mondo in cui le donne sono scomparse, e una piccola comunità di soli uomini viene visitata da donne-fungo che diventano compagne e amanti, perché si sa, gli uomini scoperebbero qualsiasi cosa con una parvenza di mammelle. Il romanzo si inserisce nel filone new weird, con tanti discorsi su questa "bellezza" che visita l'uomo e come la comunità viene cambiata dall'incontro, non necessariamente positivo visto il potere seduttivo quasi soprannaturale di questi funghi le cui intenzioni non sono ben chiare (e come potrebbero esserlo, sono funghi). Un buon romanzo, a mio avviso un po' preveidbile, ma forse perché sono abituato a questo tipo di storie e forse anche perché l'avevo già scritta prima io. Voto: 7.5/10
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